A
LALLA |
A
LALLA |
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Da
mamma gej m'at fattu
candu
incora fui pitiu
da
is tempus de su sattu
e
poi de bagadiu. |
Mi
hai fatto da mamma
quando
ancora ero bambino
dai
tempi della campagna
e
poi da signorino.
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Candu
incora fui in s'infanzia,
cussa
fudi in zarakia
mi
donàda cunfidanzia
ki
potada a s'alligria.
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Quando
ero nell'infanzia
lei
faceva la domestica
mi
donava confidenza
che
procurava l'allegria.
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Fudi
incora picciokedda
de
don Luciu serbidora
diventendi
matukedda
po
Casteddu arriba s'ora.
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Era
ancora ragazzina
che
da don lucio era servitora
diventata
signorina
per
Cagliari arriva l'ora.
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in
cussu tempus fastigiada
cun
Benitu su ferreri,
mamma
dd'iada scrantaxiada
cun
su fundu de talleri.
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In
quei tempi amoreggiava
con
Benito il ferriere
mamma
la minacciava
di
colpirla col tagliere.
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No
est ora de fastigius
o
filla mia gioiosa,
arribinti
is disigius
po
ti biri giai sposa. |
Non
è ora del corteggio
o
figlia mia gioiosa
arriverà
il festeggio
del
giorno della sposa.
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Lalla
arrenegada
cun
Agatina fu partida
a
Milanu s'agodrada
ma
in su tempus fu pentida.
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Lalla
iquietata
partì
con Agatina
a
milano si è impegnata
ma
col tempo si è pentitaà
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E
candu fu benida
a
bidda po sa festa,
a
Torinu fu partida
in
d'una meri meda onesta. |
Quando
in paese tornò
in
occasione della festa
a
Torino se ne ando
presso
una padrona onesta.
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Mamma
sconsolada
po
custu cambiamentu,
pensendi
a s'acconcada
fatta
sena fundamentu. |
Mamma
sconsolata
per
questo cambiamento,
una
scelta azzardata
senza
fondamento.
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Appena
ki ti tressada
a
Milanu torradìnci,
su
postu ki ti bessada
s'orgogliu
ada binci. |
Quando
ti capiterà,
a
Milano ritornaci
il
posto che uscirà
ti
farà vincere l'orgoglio.
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Su
postu fu bessìu
a
nca vù Maria Teresa
unu
logu prus nodìu
e
prenu de arrikesa. |
Il
posto venne fuori
dove
c'era Maria Teresa
una
casa di signori
e
piena di ricchezza.
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In
cussu annu matesu
si
fudi fatta a isposa
cun
d'unu aritzesu
iada
biu sa dì gioiosa. |
Nel
medesimo anno
si
era fidanzata
con
un ragazzo aritzese
col
quale poi si era sposata.
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In
is annus de cojanza
dies
diciosas pagu at tentu
cun
pobiddu de lagnanza
e
vida de trumentu. |
Negli
anni di matrimonio
ha
avuto pochi giorni lieti
il
marito era una lagna
e
la vita da tormento.
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De
riferimentu est istada
po
amigus e parentis
cun
totus s'est prestada
in
tempus differentis. |
Ha
aiutato tutta la famiglia
senza
chiedere compenso
con
un cuore di meraviglia.
Di
tutti ha il consenso.
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A
totus adì agiudau in famiglia,
sena
domandai cumpensu,
De
coru una meraviglia
e
de totus su cunsensu. |
Ha
aiutato tutta la famiglia
senza
chiedere compenso
con
un cuore di meraviglia.
Di
tutti ha il consenso.
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De
maridu separada
at
crexiu sola is filus,
de
Italia ispatriada
po
ddus tenni prus tranquillus. |
Dal
marito separata,
ha
cresciuto da sola i figli
dall'Italia
è espatriata
per
tenerli più tranquilli.
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S'est
puru amobadiada
traballendi
in sa beccesa,
sa
religioni dda consolada
po
is perdonus de arravesa.
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Si
è pure ammalata
ln
vecchiaia lavorando,
la
religione l'ha consolata
e
il perdono va isegnando
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De
candu a picciokedda
de
domo c'est bessida,
de
fai sa zarakedda
incappa
s'est stasida. |
Quando
ancora ragazzina
di
casa fuori è andata
per
fare la servina,
forse
ora si è stancata.
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At
sistemau is fillus
mancai
pagu cuntentus,
ma
bivinti tranquillus
e
non teninti lamentus. |
I
figli ha sistemato
anche
se poco contenti
si
son tranquillizzati
e
non hanno più lamenti
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Cusano
Milanino, 8 Dicembre 2011 |
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martedì 27 dicembre 2011
A LALLA tradotta
venerdì 25 novembre 2011
A Tony Scano
A Tony Scano
Oi Gonnadramatza est in luttu,
Tony Scanu est partiu,
ddu prangidi a sunguttu,
adiosu fillu miu.
Sesi istau fillu bonu
et prenu de talentu,
po sa bidda veru donu,
in s'abbisongiu sempri attentu.
In d'onnya ricorrenzia
fusti sempri promudori
ponendi in s'occorrenzia
is formas de s'onori.
D'onnya cosa in bidda nosta
tui ddasi annoditzada,
in primu pianu tui dda posta
et poi ddasi immortalada.
Sa bidda intera tottu
t'est riconoscenti,
po finzas dopu mottu
ti portada in sa menti.
Sa mulleri et is fillus
ddu pranginti in dolentia
is paesanus prus tranquillus
ddis donanta passientia.
Antonyxeddu adiosu,
de coru ti saludu
tui potzas teni gosu
in cussu mundu mudu.
Antonio Giuseppe Abis
24 Novembre 2011
giovedì 20 ottobre 2011
BIOGRAFIA
Abis Antonio Giuseppe
(Gonnostramatza 1951 - )
Antonio Giuseppe Abis è nato a Gonnostramatza in provincia di Oristano nel 1951. L'amore per gli usi e i costumi della sua terra lo ha appassionato fin da bambino. E' vissuto nel suo paese natale fino al conseguimento della maturità per poi trasferirsi a Milano dove ha coltivato con molta determinazione due grandi passioni: gli studi giuridici, che lo hanno portato al conseguimento della laurea in giurisprudenza, e l'arte culinaria, che ha avuto modo di approfondire lavorando nell'ambito della ristorazione. Se pur in terra "straniera" non ha mai smesso di amare ed utilizzare con passione la lingua del suo paese natio e custodire gelosamente gli usi di quel popolo singolare che tanto ha amato da celebrarlo nelle sue opere. Nel 2010 ha pubblicato una raccolta di poesie in lingua sarda: LA POESIA DI GONNOSTRAMATZA e due racconti autobiografici: IS ARRAGODUS; FILLU DE ANIMA
RECENSIONE DI "IS ARRAGODUS"
IS ARRAGODUSAntonio Giuseppe AbisPrezzo: €12.90 978-88-567-2861-3 Numero pagine: 63 |
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Una storia autobiografica che prende le mosse da un paesino dell'entroterra sardo negli anni a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta. Le tradizioni, gli usi e i costumi di un mondo lontano raccontati con le parole di un ragazzo che le ha vissute sulla sua pelle, con quella immediatezza e semplicità di chi affonda nei ricordi mentre scrive. È la forza della tradizione che spinge Antonio Giuseppe Abis a parlare delle sue origini, delle sue radici, usando tutto il fascino di una lingua fatta di suoni che sembrano venire da molto lontano, duri e forti, come la gente di quella terra avara che i contadini corteggiavano per ricevere dei frutti. Ma sono i rapporti umani che si portano in primo piano in questo racconto: rapporti veri, segnati dal dolore, anche se a volte chiusi dietro a riti e cerimonie che servono a dare una voce a sentimenti che difficilmente riescono a trovarla; rapporti che parlano di legami familiari profondi, che solo la morte può scalfire. Un racconto profondamente sentito, che in alcuni momenti sembra rivelare un sottofondo di nostalgia per quel mondo ormai lontano.
Antonio Giuseppe Abis è nato a Gonnostramatza (OR) nel 1951. Dopo la maturità si è trasferito a Milano, dove ha conseguito la laurea in Giurisprudenza e dove ha lavorato nell'ambito della ristorazione.
In copertina: foto dell'Autore.
mercoledì 19 ottobre 2011
" IS ARRAGODUS" COPERTINA
IS ARRAGODUS di Antonio Giuseppe Abis
Della Prof.ssa Maria Germinario Calzi
Mi ha teneramente portato alle radici dell' essere “speciale”del suo autore. Ho seguito con partecipata condivisione la faticosa e lenta costruzione della sua identità, raccogliendo i valori che gli ha trasmesso l'intera geometria di una famiglia allargata, dove, ognuno sapeva mantenere il proprio spazio e, all'occorrenza, fare un passo indietro per non sovrapporsi.
Elevatissima espressione di civiltà di una cultura primigenia atavica, fatta di gesti e di silenzi, di sentimenti forti e coesioni ancestrali, rafforzati da canti nuziali e lamenti funebri.
L'autocontrollo dominante delle due sagge figure femminili (perché di matriarcato si tratta) molto attente a non esorbitare anche nel dare consigli, specie se non richiesti, crea nella sua narrazione sobria e asciutta, in un'età smemorata come la nostra, la naturale epopea della trasmissione di una memoria che non è solo legata alla navigazione del suo vivere, ma costituisce l'architrave della famiglia patriarcale tradizionale, che, al di là di qualche tratto oppressivo di bambini non facilmente sostenibile, nel suo reciproco aiuto organizzativo e affettivo faceva transitare pressoché liberamente le crescenti nuove aspettative delle immature vite in espansione.
Povera scuola dello stato orientata in senso pseudoconoscitivo contrapposto all'energico dinamismo del quotidiano formativo familiare, fatto di apprendimenti esperenziali, di praticità, di raccordi continui alle molteplici variabili della vita naturale e animale.
La scansione del tempo, determinata dalle continue attività manuali, anche ordinarie, sottese dall'amalgamante “rosario”, sembra allontanare dalla permanente presenza delle problematiche terrene per trasferire ad un divino sempre incombente, pensieri semplici e profondi nello stesso tempo.
INTERVISTA
Questo
racconto è nato come sfogo a un grande dolore.
Ero
un ragazzo di 15 anni e non riuscivo ad accettare la morte di mia
madre.
Fu
nonna Margherita ad incitarmi a scrivere per raccontare quella
vicenda dolorosa che non mi lasciava vivere.
Per
dare un senso logico al racconto, ho dovuto allacciarmi alle vicende
della vita che hanno preceduto la morte di mia madre.
Si
tratta del periodo della mia infanzia, quando ancora i piccoli erano
considerati davvero tali e bisognava avere un forte rispetto per i
grandi. Il rispetto per le persone, era il cardine della vita
sociale, il rispetto per la saggezza degli anziani, che era
considera la colonna portante della convivenza civile, era quasi una
sacralità.
Io
ho avuto la fortuna di avere come madrina di battesimo una persona
anziana molto saggia e abile , durante la malattia di mia mamma e poi
dopo la sua morte si prese cura di me in modo assolutamente puro e
cristiano.
Io
ero il suo figlio d'anima, per tale motivo la coscienza imponeva che
mi venisse trasmesso tutto l'amore e le premure che mia madre non
aveva fatto in tempo a darmi.
Di
sicuro,mia nonna non si era risparmiata nei doveri di madrina. Quella
che narro nel mio racconto è una delle tante storie vissute dai
ragazzi della mia generazione fra gli anni cinquanta e sessanta.
Storie
di contadini, pastori, bovari, dense di sacrifici, primo fra tutti,
quello di dover trovare il tempo per andare a scuola.
Non
ricordo solo una vota di aver fatto i compiti o studiato a casa:
leggevo, scrivevo e ripetevo le lezioni seduto davanti ai buoi che
brucavano l'erba.
Per
guadagnarsi il rispetto bisogna essere istruiti, ripeteva mia mamma,
ed io questa frase la interpretavo nel senso materiale del termine:
ero il più piccolo di sette figli e avevo bisogno di guadagnarmelo
davvero quel rispetto, se volevo sopravvivere alla legge del più
forte.
Questa
parola magica ,“ istruzione,” mi ha poi accompagnato nel
prosieguo dei miei anni e mi ha fatto amare sempre di più lo studio
che non solo mi ha cambiato la vita ma mi ha anche arricchito
interiormente.
Il
racconto è stato scritto di gettosubito dopo la more di mia madre,
ma ora ho deciso di riprenderlo in mano e pubblicarlo, perchè ho il
grande desiderio di far conoscere a mia moglie che non è sarda e
alle mia figlie i luoghi e le persone di una Sardegna antica che
scandiva ogni vicenda della vita con riti,tradizioni e costumi, ora
non più esistenti
Ora
i costumi si usano solamente per le sfilate folkloristiche, una volta
erano l'abbigliamento quotidiano; la lingua sarda veniva parlata da
tutti , anche dagli intellettuali ed era musicale e poetica perfono
nella bocca degli analfabeti: era davvero lo strumento che consentiva
di esprimere appieno tutti i sentimenti.
La
vita veniva celebrata in ogni circostanza, gioiosa e dolorosa e la
partecipazione della comunità era sempre corale ed intensa.
Nelle
vicende di morte,la solidarietà sopratutto quella delle donne, era
davvero speciale, il morto veniva pianto col rito de s'attitidu, una
sorta di poesia cantata e pianta allo stesso momento, attraverso la
quale veniva declamato al defunto l'ultimo.saluto..
Una
storia davvero singolare quella della Sardegna antica che dopo secoli
è cambiata improvvisamente ed è per questo che desidero raccontare
alle mie figlie e alle nuove generazioni come si viveva in Sardegna
nel periodo della mia infanzia.Pertanto ritengo sia doveroso , per
me, documentare questo cambiamento, perché solo le persone come me
che hanno fatto a tempo a conoscere la vita della Sardegna antica
possono darne testimonianza alle nuove generazioni.
RECENSIONE DEL RACCONTO "Fillu de Anima"
RECENSIONE DELLA PROFESSORESSA MARIA GERMINARIO CALZI
Antonio Giuseppe Abis, l'autore de Fillu de anima, riprende il suo articolato narrativo, sempre in controtendenza, essendo la sua tenace aspirazione a tenersi ben lontano dal linguaggio e dalle idee della modernizzazione letteraria sempre più avanzata, non certo perché del nostro tempo non ne accetti il cambiamento, ma per la maturata consapevolezza che la vera innovazione trasgressiva, oggi, è riposta nella riscoperta della tradizione, quella non scritta, che ci consente di meglio penetrare il mistero del vivere. E' il suo un personalissimo modo per confermare di esserci e per esprimere gratitudine di esserci sempre stato nel calendario di quel tempo vissuto a Gonnostramatza, sempre attento alle più riposte sinuosità della sua gente, scrupoloso custode dei fondamentali archetipi del suo vivere. Abbeveratosi alla sorgente di quella civiltà pastorale (non bucolica) e contadina, aprendo il taccuino delle sue preziose memoria, ci rende partecipi del vissuto di quella piccola comunità, il cui cuore pulsante respira nella proiezione della sua composita famiglia, primigenia realtà di secolare avvicendamenti umani, di incroci matrimoniali allargati ai paesi vicini. Nell'intricato dedalo di esperienze faticosamente vissute, si affaccia in dinamico equilibrio la parità dei sessi non alterata dalla industrializzazione non pervenuta; le donne per essere anche portatrici di nuova vita si impongono nel circolare gioco delle parti nel loro ruoli ben definiti ma non invalicabili. In questo paese isolano quasi astorico (se non fosse per le ricadute delle guerre e della pestilenza che generano vittime impreviste) l'umanità che lo abita non disdice il suo destino, si affida, mai rassegnata, alla sua tenace voglia di vivere e migliorare e il troppo tragico e il poco gioioso che avanza, nel fluire ininterrotto del tempo nutre gesti, relazioni, corrobora parole in lingua naturale, perfeziona operatività tramandate,sollecita emozioni e sentimenti che si fanno per noi strade di senso. La parsimonia non in contrasto con la generosità permette alla famiglia di aprirsi ad altri come alla forestiera amabilmente integrata, nonna Margherita, divenuta parte integra non supplementare; nella galleria di molteplici vite oscure mai comunque banali, irrompe il binomio mamma Ninna – nonna Margherita, due creature in sintonia empatica, più forti della non speranza, espressioni, la prima, di una civiltà più avanzata (sa leggere e ricamare, amministra anche il frantoio), l'altra sa tessere, cucire, coltiva la terra, segue gli animali domestici, sa lavorare la farina e fare il pane, è analfabeta, ma è in legame organico con gli esseri umani, con la natura, con i prodotti della terra, con gli animali. Sono madri entrambe, con due diverse ma complementari espressioni di maternità, convinte che per quanto dura la vita merita di essere vissuta e difesa sempre; sanno accettare con gratitudine e ricambiare con generosità, usano la loro intelligenza naturale e le voci profonde del cuore reciprocamente rafforzandosi nell'essere se stesse nel logorante cammino, facendosi ragionevole scudo di credi millenari come attestano i testamenti spirituali e la consegna ultima di tutta la loro vita. Non guida il racconto la voce professorale, ciò che arriva dai professori non sempre è chiaro agli allievi, né spendibile nella vita, chi ha titolo ad educare, anche nella veste di madre supplente è l'analfabeta nonna Margherita che possiede una peculiare identità personale, fino a scoprirne il marchio quasi a fuoco, titanica volontà sempre impegnata a costruire il futuro (non per sé), radicalmente innervata nei semplici mezzi della sua corposa saggezza, padrona riconosciuta di molteplici attività pratiche assorbite e perfezionate, sempre piegata alla protezione di Dio che veglia dall'alba al tramonto e si presenta nei quotidiani gesti: la croce sul pane quotidiano e su quello fatto per gli sposi e per i morti e nei riti devozionali; nei momenti tragici e solenni, quel Dio che si fa calmante del dolore esistenziale è anche il sorriso che riscalda i cuori tormentati dal gelido freddo di un destino opprimente, quando non basta più la morbida orbace bianca a ripararsi. Sono pagine che non si sfogliano, si leggono attentamente per addentrarvisi come negli scavi archeologici, avvalendosi anche della suggestiva e sintetica lingua naturale, soprattutto quella in versi che scioglie il grumo di antiche e ancora vive memorie e che valorizza l'alfa e l'omega del senso del vivere.
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