sabato 9 novembre 2013

Commento a La vedova Nubile


Caro Beppe,
ai nostri figli e più ancora ai nostri nipoti dell'era digitale, al nuovo che avanza con i nuovi codici di linguaggio e di vita individuale e sociale immessi nel quotidiano flusso contemporaneo, la tua ansia profonda di raccogliere, recuperare e allungare la memoria perchè si sappia e non si dimentichi chi eravamo, che cosa eravamo appena 60 anni addietro, è il vero compito della letteratura, il tuo lascito.
Nel tuo procedere appassionato di ricerca non si avverte contrapposizione ma, direi quasi una illuminante meditazione sul passato che si fa fatica, oggi, perfino ad immaginare, con i suoi linguaggi i suoi segni, le sue voci, i suoi canti, le analisi dei suoi vissuti, un'interiore accordatura generazionale che tende soltanto all'affermazione dell'essere, soprattutto nella dimensione femminile.
Estranei al tuo vocabolario le attuali “ crisi, austeriti, depressione, precariato, spread, perchè tu segnali che la vita è la vita che esige pezzi di scarto, che intesse passioni divoranti che nessun psicologo può curare, perchè la vita anche senza il sostegno del welfar non si fa travolgere perfino quando si presenta più feroce della morte.
Le tue eroine sono sempre le donne, mamme e figlie, anche se diversamente ferite, custodiscono inalterato il naturale amore per la vita, per i bambini anche se non nati e le accidentali e inattese nascite o morti sono raggi di luce o tenebre oscure che scombinano gli equilibri faticosamente raggiunti, facendo emergere rancori primordiali, indegnità vituperevoli, amarezze incurabili.
Le macerie della guerra e lo spirito della ricostruzione tzia Costantina e Gaia Fatteri le reggono bene sulle loro spalle, non siamo ancora nel mondo delle sartine e delle macchine da cucire ma alla sapienza della manifattura, alle maestre tessitrici, alle grandi interpreti di una cultura artigianale millenaria che colleziona permanentemente prodotti rari ed eccezionali la cui differenza nei dettagli creativi e cromatici segna l'orgoglio e la biografia vivente di ogni lembo di terra.
Le due donne escluse dal censorio codice di vita sociale, si autoproteggono con il loro talento, con l'umanesimo del lavoro, non si lasciano vivere, ma vivono nell'inesauribile voglia di un cambiamento che si attagli al loro abito mentale.
Sono le protofemministe sarde che non inseguono facili scorciatoie sottoposte solo all'antica virtù dell'austerità e sobrietà, Sono la variabile umana che sa di valere, che riflette inconsapevolmente la visione di vita della morale di kant “chi sa fa verme non può poi lamentarsi di essere calpestato”.
Sfugge loro
la catarsi finale e un bradisismo emotivo coglie ogni lettore chino sulle frustate a sangue di quel balordo prepotente che chiude il respiro di una vita che prepotentemente insegue ad occhi aperti sogni per sé e per il proprio figlio.
Anche il lamento funebre non aiuta a disperdere le note dolenti della perdita sostanziale di una memoria che si incarna nell'orgogliosa identità etnica della propria terra, della tua terra, che da trapiantato in terra lombarda, senti più viva in te, ne custodisci il respiro umanissimo e tragico e l'avvolgi di filiale comprensione.
Maria Calzi Germinario

Lettera al papa



Caro Papa Francesco,

sono Antonio Giuseppe Abis, nato in Sardegna 62 anni fa ed emigrato a Milano da oltre 40 anni.
Della Sardegna conservo non solo tutti i miei ricordi di gioventù, ma anche la formazione culturale e mentale.
Recentemente ho scritto un romanzo dove racconto una storia autentica sarda che riflette molti aspetti della vita di quel popolo singolare
Aspetti che evidenziano i motivi dominanti della tragicità della vita sarda: quella vita che, forse, poteva essere diversa se vissuta senza tener conto di quei codici censiti nella notte dei tempi dai nostri antenati.
Quel rispetto dei codici che porta alla trasmissione delle tradizioni e degli usi comportamentali e rituali, contraddistingue la Sardegna, ma allo stesso tempo la imprigiona in una realtà senza tempo.
Mi chiedo se una formazione più cristiana poteva cambiare il destino di quelle vite, protagoniste di storie, che si sono avvicendate nei secoli.
I soggetti delle vicende che ho narrato recitano un ruolo che si ripete nel tempo, con lo stesso linguaggio perifrastico, con gli stessi rituali quasi scaramantici e, immancabilmente, rimangono vittime di un destino che quel popolo, eletto da Dio ma nominato dagli uomini, aveva già previsto.
A Sua Santità che nella sua visita pastorale in Sardegna ha dedicato molta attenzione e interesse verso il popolo sardo e la sua terra, voglio sottoporre questa mia storia che non è molto antica, ma che il popolo sardo ha già vissuto tante volte.

Con la massima devozione ed ammirazione
Antonio Giuseppe Abis




Cusano Milanino, 5 Novembre 2013


Antonio Giuseppe Abis, via Cervino , 39 Cusano Milanino (MI)
Tel 026133259 - 3383459028

LA VEDOVA NUBILE
FIUDA BAGADIA





ABIS ANTONIO GIUSEPPE




Dedica
Alle donne del mio paese,
che mi hanno dato ispiratziune in questo racconto, e con la loro forza e la loro determinatziune si sono battute per cambiare la loro conditziune sociale mantenendo integro l'amore per la propria terra.


































































































PREFAZIONE
Fiuda Bagadia - La vedova nubile è il titolo che racchiude il senso di questo racconto di Antonio Giuseppe Abis. Vedova nubile è infatti un concetto particolarissimo e quasi ossimorico e per comprenderlo bisognerebbe esplorare quei territori sardi tanto cari all’autore. Il punto di partenza è infatti il sentimento e la lealtà delle donne. Anche in un tempo lontano, negli anni della guerra, non era solo il matrimonio a sancire la profondità e la perpetuità di un legame. Si poteva essere uniti e sposati anche nell’animo, le donne erano fedeli e devote ancor prima che venisse fatta loro la proposta ed è questo che rende la Sardegna una terra tanto ancestrale quanto dinamica e moderna. Questa lealtà femminile, la totale dedizione all’altro, è la caratteristica principale e la forza di Gaia, la protagonista del racconto. È quindi la forza della donne ciò che colpisce del romanzo, sono le donne a decidere, dominare e progettare. Non fragile vittima degli avvenimenti, ma è la donna-stratega al centro della narrazione. Tale ispirazione proviene da molto lontano, da un’antica grecità nella quale Penelope esprimeva la sua totale devozione all’amato non con i pianti e con l’inerzia, ma progettando e pianificando, difendendosi dai Proci con la famosa arte di disfare la tela. Proprio nella tela va ricercata un’altra importante tematica di Fiuda Bagadia. L’arte della tessitura rappresenta la capacità femminile di provvedere alle cure domestiche e nello stesso tempo la propensione delle donne all’intreccio e alla trama. Erano loro a tenere le fila degli avvenimenti, loro a costruire gli eventi e a rimaneggiarli. Il matriarcato sardo si evidenzia fin dalle prime righe del racconto, già dalla descrizione del rapporto tra Gaia e la madre, fino a raggiungere il complicatissimo rapporto che riguarda l’altro personaggio femminile della vicenda, la suocera di Gaia. Gli uomini erano sempre il tramite e mai la mente. L’uomo sapeva esprimere forza bruta e primordialità, come si può notare dall’analisi dalle figure dello sposo e del suocero della protagonista. La forza bruta maschile, che arrivava talvolta a sfociare nella più efferata violenza, poteva spesso essere un modo per punire la raffinata arte della prevaricazione femminile. È da evidenziare infatti la capacità con cui un uomo riesca a essere l’autore di un romanzo nel quale vengono esplorate le doti femminili, emerge ancora l'attaccamento alla terra e alle donne del suo paese, maestre per lui di preziosi insegnamenti. Si racconta di luoghi in cui era la donna ad avere il ruolo centrale e decisionale ed è questo il filo conduttore della narrazione. L’arte femminile poteva essere espressa anche attraverso la negazione del perdono. È singolare infatti che in un contesto di spiritualità e vicinanza a Dio, si mediti vendetta e si serbi rancore; anche qui sembra quasi che Abis tragga ispirazione dalla grecità pagana, nella quale gli déi non conoscevano il perdono incondizionato ma sapevano finemente ordire trame e allestire il progetto di un sentimento di rancore. Sentimenti di rancore dominano luoghi come Arradeli, un paese che conserva le caratteristiche remote e mitizzate, ma che allo stesso tempo si colloca in una realistica primordialità di contatto con la terra. In luoghi come questo, non è inusuale ascoltare le fascinose narrazioni di un verismo- fiabesco, storie crudeli e inquietanti. Leggendo queste righe, sembrerà di riconnettersi alla cruda visceralità di quei luoghi, scandendo quelle frasi si avrà l’impressione di essere catapultati in un mondo costruito sulle leggende metropolitane, un mondo però terribilmente vero. Un mondo in cui vigono leggi rovesciate e sentimenti di tragedia. Ed è proprio con il canto tragico di un mondo edulcorato da riti celebrativi, scandito da avvenimenti drammatici e dalla poeticità lirica, che il romanzo trova il suo culmine, come a determinare la centralità della tragedia. Tutto ruota intorno alla tragicità e all’appassionato sentimento straziato delle donne, che non può che essere espresso attraverso i versi funebri delle prefiche.



Margherita Abis




























CAP 1
Gaia Fatteri
Cadeva la sera di San Michele, calda e serena, l'estate volgeva al termine ma si percepiva ancora il riverbero delle giornate assolate. Arradeli si preparava a festeggiare il suo patrono e le massaie si prodigavano a pulire la porzione di strada adiacente alla propria abitazione.
Diventava quasi una competizione fra chi puliva meglio la propria porzione di strada per poi disporre le proprie tessiture al passaggio della processione del Santo Patrono. Il selciato delle strade veniva lavato come non mai, perché al momento del passaggio della processione veniva praticata s'arramadura1
Gaia Fatteri dopo aver pulito la strada che le competeva, si era seduta sul gradino di basalto del suo uscio di casa, stremata dalla stanchezza, si mise le mani sulle tempie come per controllare i suoi pensieri.
Pensieri che la disturbavano, negli ultimi tempi li sentiva come un abito liso che la metteva a disagio quando lo indossava. Poi l'atmosfera della festa anziché procurarle allegria le dava fastidio, non vedeva l'ora che passasse tutto, i suoni e i canti della piazza la irritavano: eppure quella sera stessa doveva ricevere una visita che poteva cambiare la sua vita. Quella sera sapeva che avrebbe ricevuto una proposta di matrimonio.
Ma era convinta di non volerlo questo cambiamento, ci aveva pensato e ripensato, prendere un marito, giusto per sistemarsi non le andava a genio. Zuanny Algheri era un brav'uomo, gran






























1 Formare un tappeto di petali di fiori.





lavoratore di buona famiglia, era suo coetaneo, aveva fatto con lei le scuole elementari, ma non era una persona che le interessava. Da ragazzo era molto bello ma sempliciotto e bonaccione, tant'è che la prima donna che gli aveva messo gli occhi addosso se l'era sposato, poi era rimasto vedovo con un bambino piccolo del quale la madre di Zuanny si prendeva cura. Ma non era questo il problema che le impediva di accettare la proposta di Zuanny, lei continuava a pensare al suo amore perduto e nel suo cuore non c'era spazio per nessuno.
Lo spazio bisognava crearlo, le diceva sua madre, non si poteva vivere pensando sempre a una persona che non c'è più. Facile a dirsi ma allontanare dal cuore e dai pensieri la persona amata non è possibile, eppure aveva provato degli espedienti, anche drastici, ma non avevano funzionato. Ora si trovava ancora al punto di partenza, col cuore infranto, con scelte di vita importanti da fare, sua madre che non smetteva di dirle che doveva accettare la proposta. Ora si sentiva stanca, non solo dal peso di questi pensieri, ma anche per la fatica fisica della giornata: aveva quindi deciso di mettersi a letto e di affidare a sua madre il compito di governare la visita del suo pretendente. Tzia Costantina ci sapeva fare in questi frangenti, avrebbe chiesto il tempo per riflettere e lasciare quindi aperta la possibilità di una visita ufficiale della madre di Zuanny.
Appena Gaia si mise a letto, Zuanny bussò alla porta: «Si podidi?2» «Intrai a chi adessi3!» Rispose tzia Costantina precipitandosi ad aprire. «Scusate il disturbo tzia Costantina, so che l'ora è tarda ma



























  1.  Si può?
  2.  Entrate pure.



vorrei parlare con Gaia, se me lo consentite.» «Figlio mio! Proprio adesso si è messa a letto, era molto stanca, stamattina si è alzata presto che doveva finire un lavoro al telaio e non si è fermata neanche per pranzare, nel pomeriggio ha pulito tutta la strada di fronte casa per l'arramadura della processione di domani, perdonala Zuanny, le riferirò tutto io domattina.» Sul volto di Zuanny era evidente lo sconcerto per lo sgarbo che Gaia gli aveva fatto non aspettandolo, dato che la visita era stata annunciata. Gaia glielo aveva detto altre volte che non era pronta per prendere marito, la batosta che aveva preso l'aveva ridotta male, ma Zuanny voleva insistere. Per lui, per la sua casa, per il suo bambino, una donna come Gaia sarebbe stata una panacea. «Siediti Zuanny» intervenne tzia Costantina porgendogli uno scranno per sedersi. «Non voglio disturbare oltre, tornerò in un altro momento quando Gaia mi vorrà ricevere, se potete, poi, farmelo sapere attraverso mia madre, ve ne sarò molto grato.» Zuanny si congedò velocemente senza accettare neanche l'invito a sedersi, aveva capito che non era stato il momento giusto per fare quella visita, Gaia si era sottratta deliberatamente a quell'incontro e lui non voleva irritarla, avrebbe mandato prima sua madre in avanscoperta da tzia Costantina, poi avrebbe organizzato la sua visita personale. Con questi pensieri attraversò la piazza S. Michele dove c'era in corso il ballo della vigilia con tutti i paesani che si accalcavano per vedere chi danzava meglio, lui doveva tornare in fretta a casa di sua madre per prelevare il bambino e portarselo a casa, stanco dall'euforia della festa. Era sua madre che si occupava del bambino, da quando era mancata la moglie erano i suoi genitori che si occupavano anche di lui, seppure anziani. La madre badava al bambino sotto ogni aspetto, solamente durante la notte lo faceva dormire da Zuanny.















Al mattino presto arrivavano da lui i suoi genitori, suo padre badava alle bestie e le preparava per andare in campagna, sua madre governava la casa, preparava la colazione e poi si portava il bambino a casa sua.
Era molto rattristata tzia Pietrina per questa vita, sentiva che il bambino aveva bisogno della mamma, ma lei non poteva sostituirla. Lo faceva divertire con i fusi mentre lei tesseva, ma non era capace di giocare con lui. C'era la necessità della presenza di una donna giovane in casa.
Tzia Pietrina, come tzia Costantina, era maestra del telaio. Andava quasi in tutte le case del paese per impiantare il telaio e impostare le tessiture. Era un lavoro molto complicato quello dell'orditura, erano in poche le donne del paese che lo sapevano fare e quindi quelle che decidevano di avviare un lavoro di tessitura per coperte, bisacce, tappeti o quant'altro, si facevano fare l'impostazione del lavoro da queste professioniste e poi le tessiture se le facevano loro.
Naturalmente queste maestre del telaio non facevano solamente il lavoro d'impostazione ma davano anche assistenza nell'iter lavorativo, tenevano sempre sotto controllo l'avanzamento del lavoro. Per questo tzia Pietrina era sempre molto impegnata, soprattutto quando seguiva delle ragazze che si preparavano il corredo da sposa, non si potevano tollerare errori nelle tessiture perché il disfacimento della tessitura è più complicato della tessitura stessa.
Badare a un bambino di pochi anni per una donna anziana che aveva anche questi impegni non era semplice. Poi doveva pensare al marito, al figlio e alle due case, e c'erano i lavori campestri femminili che non poteva delegare a nessuno.
Di certo, lei non si sentiva sovrastata dai troppi lavori di casa, ma da quello più complicato dell'educazione e della crescita del bambino. Era pure malaticcio, gli veniva spesso la febbre alta, qualche volta con le convulsioni. Questo la faceva spaventare tanto,











perché non sapeva cosa fare in simili frangenti, era una donna anziana ma non aveva mai avuto queste esperienze coi suoi figli. La tristezza più grossa le veniva quando il bambino chiamava sua mamma, lei si sentiva il cuore straziato e si faceva forza per non piangere con lui. Invece suo marito Angelico, il nonno del piccolo, piangeva più forte del bambino quando sentiva che voleva andare da sua mamma in paradiso.
Tzia Pietrina quando assisteva a queste scene diventava come una belva. Il problema non era semplice, il bambino era sconvolto, il nonno troppo emotivo e Zuanny non riusciva a governare questa situazione.
Il bambino si era appena ripreso da una convulsione, quando Zuanny era entrato in casa. «Cosa è successo?» domandò Zuanny vedendo i volti sconvolti dei genitori anziani.
«Il bambino si è giogato4» rispose pronta la madre. «Ho dovuto chiamare in aiuto Ballore Cauli, quando ho visto il bambino con gli occhi sbarrati mi sono spaventata.» In effetti zio Ballore era ancora lì che cercava di tranquillizzare tzia Pietrina e il marito per lo spavento che si erano presi.
Stava raccontando che suo figlio, Nino, quando era piccolo e gli veniva la febbre alta, immancabilmente era sopraffatto dalla convulsione.
«Basta tenere il bambino tranquillo e rilassato e piano piano passa da sola.» Non era semplice per tzia Pietrina rimanere tranquilla e a sua volta tranquillizzare il bambino.
Di solito quando il bambino si riprendeva, cercava sempre sua













































4 Convulso.

mamma, voleva andare a trovarla in paradiso. «Non d'esti bessiu ancora de su scrociu ke giai scraxiau de dolori5.» «Che male ha fatto in questo mondo questa creatura, nessun bambino si merita di vivere senza la sua mamma» concluse zio Ballore e se ne andò salutando. La famiglia Algheri rimasta sola si mise a tavola per consumare la cena della vigilia e nonostante le vicende della giornata si respirava aria di allegria: il fatto che il bambino si era ripreso e la febbre se n'era andata aveva reso tutti di buonumore. «Domani è la festa di S. Michele e gli uomini di questa casa vanno tutti in processione, quindi a nanna subito che domani dobbiamo alzarci presto» disse tzia Pietrina.
La processione si snodava dalla Chiesa di S. Michele verso la via Roma. I bambini dell'asilo vigilati da suor Liberata e suor Crocifissa camminavano in testa al corteo seguiti dalle bambine della prima comunione con il loro abito bianco.
Seguiva tziu Battista Arroderi, il sacrestano, che reggeva una pesante croce ed era seguito a sua volta da una schiera di chierichetti. Il canonico Acca con una grossa mantella dorata tenuta ai lembi da due chierichetti, avanzava come un sovrano guerriero in capo ad un esercito.
Dietro di lui la statua del santo, portata a spalla da is cunfraras6, circondata dai cantori del rosario: il gruppo delle prioresse cantava con un'intonazione sopranica prolungata da cui si riconosceva distintamente la voce di tzia Leontina.
Il gruppo degli uomini rispondeva con tono basso e profondo



























5  Non è ancora uscito dal guscio che già si strazia dal dolore.
6  I confratelli.








ma le voci sembravano unite fra loro come se fossero guidate da un unico suono: diventava una competizione quella del canto del rosario come se alla fine si dovesse portare a casa un trofeo. Il corteo dei paesani seguiva il santo percorrendo tutte le strade principali del paese.
Dalle finestre delle case pendevano tappeti e sopraccoperte ricamate per rallegrare i luoghi dove passava il santo. Gaia, affacciata alla finestra di casa sua, da dove pendeva una fanuga de pibioni7 antica, lasciava cadere dei petali di fiori sulle persone che seguivano il santo.
Intravide Zuanny che teneva la mano del suo bambino e cantava a squarciagola le strofe del rosario. Aveva anche salutato con un cenno di mano ma Gaia aveva fatto finta di non vedere. Era sempre tetra, con uno scialle di tibé ricamato, buttato sulle spalle: sembrava la vergine addolorata.
Quando il corteo scomparve dietro la curva della strada, lei rientrò in casa e si mise ad aiutare sua madre ad apparecchiare la tavola. «Faccio io mamma, oggi voglio mettere una tovaglia del mio corredo a tavola, altrimenti marcisce nella cassa.»
«Fai bene figlia mia, bisogna rallegrarla oggi la tavola, S. Michele si deve sedere con noi a pranzo e deve portarci la buona fortuna.» La tovaglia era di scacchi imbriagu8 con le iniziali di Gaia ricamate al centro con punto croce. Era un pezzo del suo corredo residuo di quando era partita suora, che non aveva portato perché le tovaglie non le avevano volute.
Il corredo che si era portata nel convento non glielo avevano restituito quando aveva deciso di non prendere più i voti. A lei però non interessava, c'era ancora il corredo di sua mamma, antico ed intatto, che lei non era riuscita a consumare. Anche tzia Costantina era una professionista del telaio e faceva





















7  Sopraccoperta tipica sarda con disegni risaltata da pippiolini.
8  Scacchi ubriaco, non regolare.


la tessitrice fin da bambina. Era proprio il suo mestiere che le aveva consentito di entrare nelle case dei benestanti del paese e di guadagnarsi da vivere. Fu proprio questo mestiere che indirettamente segnò la sua vita e anche quella di Gaia. Quando ancora era ragazza, tzia Costantina fu messa incinta da un uomo di buona famiglia del paese ed erano nati due gemelli, Gaia e Aurelio. Tzia Costantina non fece mai il nome di quell'uomo, non lo aveva rivelato neanche a sua madre. A cosa sarebbe servito rendere ufficiale quel nome? A mettere in discredito quell'uomo di buona famiglia, ma soprattutto avrebbe gettato se stessa nel ridicolo del pubblico ludibrio. Gaia, però, la rimproverava sempre per averle taciuto il nome del padre. «A cosa ti serve sapere il nome di quella bestia? Saresti sempre in difficoltà, davanti a quell'uomo e a tutta la sua famiglia, tutte le volte che l'incontreresti. Perché, sappi bene, che nessun componente di quella famiglia sarebbe dalla tua parte, ti considererebbero sempre una figlia di bagassa9.» Questo discorso Gaia l'aveva sentito fino alla nausea ma la curiosità di sapere chi fosse quell'uomo non l'aveva mai abbandonata. Quando era ragazzina i suoi compagni di scuola la schernivano perché aveva il cognome di sua madre e lei tornava a casa in lacrime e, disperata le chiedeva chi fosse suo padre. «Siamo tutti figli di Dio, gli uomini e le donne sono solo uno strumento.» Rispondeva sempre tzia Costantina, ma questa spiegazione filosofica non la convinceva, aveva bisogno di sapere quale uomo di Arradeli aveva fatto l'amore con sua madre e aveva generato lei e il suo fratello gemello. Erano passati più di trent'anni da allora e quel desiderio di sapere chi fosse il padre era andato man mano scemando nella sua coscienza.




















9 Puttana.


Un altro chiodo si era conficcato nel suo cuore e le aveva scardinato l'anima. Prima che scoppiasse la guerra si era innamorata di Lorenzo, un gran bel giovane che a sua volta aveva perso la testa per lei. Entrambi avevano grandi progetti per costruire una vita insieme. Lui era pure istruito, aveva conseguito la licenza ginnasiale ad Ales e aveva prospettive per un impiego di concetto; lei, grande professionista del telaio che le consentiva di vivere bene, tessendo i corredi delle spose. Ogni sposa che si rispettasse, allora, doveva portare in dote le tessiture artigianali che servivano per impreziosire il corredo, come i bei tappeti, la bella bisaccia, la bella sopraccoperta, che nessuno si faceva mancare. Le tessiture ordinarie, ognuna, se le tesseva da sé, ma quelle belle, le spose che se lo potevano permettere, le facevano fare dalle tessitrici professioniste e Gaia era fra quelle.
Gaia era anche molto veloce nelle lavorazioni, le persone non le faceva aspettare tanto, quando le facevano un ordine, lei lavorava notte e giorno per portarlo a termine e coi prezzi era molto onesta. Per questo la gente la preferiva rispetto ad altre, ma aveva un’abitudine singolare, non consegnava il lavoro finito se prima non glielo pagavano. Infatti lei aveva tanti pezzi del suo corredo personale che facevano parte di corredi ordinati da altri ma mai ritirati.
C'erano tutti gli elementi per costruire una bella famiglia ma la guerra aveva cambiato il loro destino. Gaia e Lorenzo non erano fidanzati ufficialmente, erano solo molto innamorati l'uno dell'altra, ma la famiglia di lui era molto ostile a quel matrimonio e si oppose.
Ma Lorenzo non riusciva a stare senza Gaia neanche un istante, di notte quando tzia Costantina si metteva a letto, Gaia, di nascosto lo faceva entrare in camera sua, situata dalla parte opposta a quella di sua madre. Facevano l'amore fino al mattino, poi lui se ne andava senza fare rumore.
L'ultima notte, prima di partire, le lasciò un biglietto con una poesia.












Quella poesia Gaia la leggeva cento volte al giorno e quando era di buonumore la canticchiava al ritmo del ballo sardo.




A su kitzi su primu pensamentu m'inci portada a tui, amori miu. larbas tuas disigiu onnya momentu po ti onai s'abidu miu.10






Su trobaxu ki movisi a mengianu po tessiri su nomini miu in su coru ti pongu sa manu po t'intenduri su sentidu ki est miu.11






In s'ora ki passu cun tui s'anima tua mi sanziat su cori mi stringit sa fida cun tui e mi pota po prenda de amori12.






Su sinnu miu ti lassu in s'intrannia e in su coru ki prusu non ci passu cunserva su tesoru.13






























10  Al mattino il mio primo pensiero, mi porta fino a te amore mio! Le tue labbra desidero in ogni momento per donarti l'alito mio.
11  Il telaio che muovi la mattina, per tessere il mio nome, sul tuo cuore metto la mia mano per ascoltare il tuo sentimento per me.
12  Nell'ora che passo con te la tua anima culla il mio cuore mi stringe la vita alla tua e mi tiene come pegno d'amore.
13  Ti lascio il mio segno nel tuo seno e nel tuo cuore se non farò ritorno
conserva quel tesoro.





Quell'ultima notte d'amore finì molto presto, lui doveva partire ma prima doveva passare a casa sua per prendersi la roba. Tzia Costantina faceva finta di non accorgersi delle visite notturne di Lorenzo. Lei non aveva mai conosciuto quel tipo d'amore ma voleva che almeno sua figlia lo conoscesse. Quando un ragazzo e una ragazza si amano davvero, devono conoscerlo fino in fondo l'amore che li lega: quando aveva capito che questi ragazzi non potevano vivere l'uno senza l'altra, aveva smesso di essere severa con sua figlia e l'aveva lasciata fare, facendo finta di non accorgersi dei loro appuntamenti segreti.
In fondo lui era di buona famiglia, benestante e colto; lei, gran brava ragazza, grande lavoratrice e rispettosa del prossimo, ma figlia illegittima. Il padre di lui però, non ne voleva neanche sentire parlare di Gaia e aveva minacciato il figlio di diseredarlo se si fosse ammogliato con quella figlia di bagassa. Questi erano gli impedimenti che vietavano a questi ragazzi di mostrarsi assieme pubblicamente e tanto meno di andare assieme in chiesa. Si vedevano di nascosto anche da tzia Costantina che indispettita per le osservazioni del padre di Lorenzo, con quella famiglia non si voleva mescolare neanche lei.
«Mai bagassas gli manchino nella sua casa!» Diventava furibonda quando Gaia parlava di quella famiglia e diceva che erano dei pezzenti, arricchiti col mercato nero del fascismo. «Io la mia vita me la sono costruita con le mie forze, senza imbrogliare nessuno e non ho fatto la bagassa coi bagasseris14 come lui.» Gaia la lasciava parlare per farla sfogare, anche lei aveva i suoi drammi, non ancora sopiti e voleva vedere la sua figlia sistemata con tutti i crismi con un uomo povero ma onesto.





















14 Puttanieri.



Sapeva che Gaia stava vivendo il suo dramma di donna sconfitta dalla vita sentimentale. Quando era arrivata la notizia della morte di Lorenzo, la sua famiglia non l'aveva presa minimamente in considerazione, non l'avevano fatta partecipare neanche ai riti del lutto paesano, lei non era consumata dal pianto ma piuttosto affogata nel dispiacere. Questo ragazzo era partito solo da una settimana che rimase subito vittima di un bombardamento. Quel giorno stesso, lei si accorse di essere incinta. Certo che non poteva andarlo a dire ai genitori di Lorenzo, ma neanche a sua madre stessa. Eppure, chi meglio di sua madre poteva capire il suo problema?
Non avvertiva il bisogno, in quel momento, di confidarsi con qualcuno, ma di trovare una soluzione al problema dentro di sé. Era consapevole che questo dramma lo doveva vivere da sola, così come da sola doveva prendere le soluzioni; lei non sapeva neanche quali soluzioni possibili avesse davanti.
L'unico svago che aveva era il telaio, tesseva ininterrottamente, senza tregua, sentiva il bisogno di non pensare e per questo doveva stancarsi fisicamente fino allo sfinimento. Quando sua madre usciva per qualche commissione e lasciava il bestiolo15 attaccato alla mola del grano, lei lo staccava e si sostituiva al bestiolo spingendo lei la macina. Questa fatica le procurava sollievo all'anima, le impediva la capacità raziocinante, lei non voleva trovare soluzioni ai suoi problemi, desiderava non esserci, staccarsi dal suo essere e lasciare tutto il suo vissuto incanalato in una direzione che non voleva conoscere. Quell'attività di sostituirsi al bestiolo stava diventando quasi un'abitudine, finché un giorno sua madre, quando rientrò dalle solite commissioni, trovò la figlia immersa in un lago di sangue.
























«Figlia del cuore mio cos'hai fatto?» «Nulla mamma, ho lasciato solo che ciò avvenisse.»
15 Asinello.


Tzia Costantina fece stendere Gaia su una stuoia di spadula16 che aveva disposto nella camera attigua a quella del telaio, le aveva preparato dei panni bagnati con acqua fredda per farsi impacchi sull'addome per fermare l'emorragia e andò a chiamare il medico.
Il problema si risolse con qualche giorno di riposo stando sempre stesa senza cuscino. Quando Gaia si riprese completamente, sua madre affrontò il discorso per confidarle le sue avventure di quando lei era rimasta incinta dei suoi gemelli.
«Quando quell'animale mi prese nel solaio delle fave di casa sua, nel quale mi aveva mandato con la scusa di prendere del filato di cotone, abusò di me in maniera così rapida e violenta che non ebbi neanche il tempo di rendermi conto.
Ci riprovò anche qualche giorno dopo ma riuscii ad evitarlo minacciandolo di dire tutto a sua moglie. Mi ordinò di sparire di casa sua e di dire a sua moglie che non volevo più lavorare nella loro casa.
Me ne andai volentieri e dissi a sua moglie che non potevo più lavorare fuori casa perché avevo avuto tanti ordini di corredi, se voleva, potevo fare qualche lavoro per loro in casa mia. Da quel giorno non uscii più di casa per la vergogna e la sporcizia che mi sentivo addosso: anch'io come te facevo dei lavori bestiali per procurarmi l'aborto, spostavo tutti i giorni il telaio dicendo a mia mamma che non trovavo la luce giusta per vedere i punti del ricamo.
Per fortuna che non era successo nulla e che tu e tuo fratello

































16 Arbusto che cresce nei fiumi, serviva per fare le stuoie.







siete nati sani e belli come fiori. Il giorno della vostra nascita è stato il giorno più bello della mia vita. Mia mamma, bonamma17, mi è stata vicina in tutti i sensi e mi ha aiutato a tirarvi su e a non farvi mancare niente.»
«Ma lui sa che siamo figli suoi?» chiese Gaia. «Non credo che lo sappia, lo potrà immaginare ma non si è mai interessato, altrimenti un modo per farsi vivo l'avrebbe trovato. Io ringrazio il Signore di avermi dato la salute, per il resto quello che all'inizio sembrava una tragedia, dopo è diventata la mia contentezza. Bisogna accettare quello che il Signore ci manda senza abbandonarci a semplici sentimentalismi e ragionare preventivamente su ogni azione che dobbiamo compiere nella nostra vita: quando si compiono atti senza ragionarci prima, arrivano sempre le disgrazie.» Questo concetto Gaia l'aveva capito bene e pagato pure a caro prezzo il fatto di aver fatto delle scelte senza aver ragionato prima. Altro errore molto triste era stato quello di chiudersi in un convento per soffocare il suo dolore. Il lavoro, la meditazione e la disciplina di vita quotidiana non riuscivano a distoglierla dai soliti pensamenti. Aveva sempre voglia di ricominciare per non commettere più gli stessi errori. Non aveva capito che il tempo vissuto era andato via, ora bisognava viverne un altro, con nuovi programmi e nuovi protagonisti: ma lei aveva voglia di rivivere il tempo passato perché quelle cose irrisolte non le consentivano di fare altri passi. Bisognava pregare tanto per trovare il modo di lasciarsi alle spalle quella porzione di vita che non c'era più e non serviva più, tranne che ad evitare errori già fatti. Si rendeva conto che la sua indole la portava ad esprimersi e a manifestare la sua personalità attraverso azioni materiali senza che ciò non fosse prima, presente nell'intelletto. L'istintinto l'aveva portata a
























17 Buonanima.




















trovare la soluzione peggiore tutte le volte che si era trovata a dover fare delle scelte importanti di vita. Aveva ragione sua madre quando diceva, che, soprattutto le donne, devono sempre prefigurarsi l'evento prima che accada, se non si vogliono commettere errori.
Sua madre rispetto a lei, anche se con due figli illegittimi, si sentiva una donna realizzata, perché i figli le avevano riempito la vita ed era orgogliosa di aver mantenuto il suo segreto e di aver cresciuto i suoi figli senza l'aiuto di nessuno, al di fuori di sua madre. Gaia, al contrario, si sentiva sconfitta, distrutta e senza speranza, voleva solamente non esistere.























CAP 2


La richiesta di matrimonio




Il pomeriggio di S. Michele tzia Pietrina decise di far visita in casa di Gaia. Si era tolta il lutto che aveva portato fino a quel giorno, per la nuora defunta: e si era messa, per l'occasione, il costume che aveva indossato per la prima uscita in chiesa per il suo fidanzamento.
Una gonna di crespo viola plissettata con pieghe alternate (pesagroca)18, il grembiule di crespo nero con un orlo a giorno ricamato con un filo del colore della gonna. Il gippone19 era di raso nero con riflessi viola, il fazzoletto di seta marrone con l'angolo ricamato a rintaglio e lo scialle di tibè nero sistemato a rettangolo sulle spalle ma col ricamo all'interno. Col suo passo lento che sembrava seguisse l'ondeggiare della gonna, tzia Pietrina arrivò davanti alla casa di Gaia, un arco in pietra verde incorniciava un vecchio portone antico con lo sportello semiaperto:«Si podidi?»
«Intrai a ki adessi» rispose tzia Costantina dal cortile dove sistemava l'asinello che aveva appena staccato dalla mola. «Avanti, avanti, venite dentro.» Anche Gaia le venne incontro nella veranda, ammirata dalla sua eleganza.
«Come siete elegante tzia Pietrina! Questo è il vostro costume da sposa?» «Il mio costume da sposa è conservato per un'altra occasione» rispose tzia Pietrina volgendo gli occhi verso il cielo. «Questo è il mio costume della prima uscita in chiesa dopo il
























18 Alte e basse. 19 Pezzo del costume femminile di Arradeli.




fidanzamento, è stato cucito da una sarta di Arradeli, tzia Genita, non te la ricordi Gaia?» «Sì me la ricordo bene, entrate dentro però, non state sull'uscio di casa!» disse Gaia facendole strada verso una stanza che affacciava sulla veranda.
Era s'aposentu bellu20 dove ricevevano persone di riguardo, era arredata con un vecchio comò, un tavolo con sopra un grosso centro fatto all'uncinetto, un canapè e delle sedie con un'impagliatura verde. La stanza era molto luminosa, si accedeva dalla veranda e prendeva luce ad ovest da una piccola finestra che dava sulla strada pubblica.
«È proprio bella questa gonna» riprese Gaia con curiosità «ha una plissettatura particolarissima.» «È tipica di Arradeli, si chiama pesacroca21, lavorava bene quella sarta, a me aveva cucito anche il costume da sposa e sono rimasta molto contenta.»
«Anche a me aveva fatto dei lavori e sui lavori in sé non ho mai avuto nulla da dire, ma sui tempi di esecuzione sì, ti faceva aspettare tantissimo...» I discorsi si avviavano su argomenti di sartoria e di tessitura, erano persone tutte competenti e appassionate di tessiture, si poteva dire che ad Arradeli erano le persone di riferimento per chi voleva avviare un lavoro col telaio, ed erano disponibili anche a tessere per altri.
Gli argomenti non mancavano, ma tutte e tre aspettavano il momento giusto per cambiare discorso. «Come sta il bambino?» chiese tzia Costantina in un momento di pausa.
«Come vuoi che stia un bimbo senza mamma? Noi siamo vecchi, lui vorrebbe sempre giocare ma non possiamo farcela! A una certa ora, di sera, gli viene la malinconia e chiede di sua mamma... Vuole andare da lei in Paradiso.





















20 Stanza di riguardo per ricevere gli ospiti. 21
Tipo di plissettatura della gonna del costume di Arradeli.




Mio marito quando lo sente piangere non riesce più a controllarsi, piange anche lui e se l'abbraccia e se lo coccola... “pulcino mio, angioletto mio”, il tuo nonno va da lei e te la riporta a casa: ieri mentre piangevano, nonno e nipote, è entrato in casa Zuanny e pure lui si è unito al coro del pianto... Finitela, ho detto io, la bonamma è stata pianta e attitata22, ne abbiamo versato tutti di lacrime, ma ora basta, questo bimbo deve vedere gente allegra, vivere in un'atmosfera diversa, che gli procuri gioia.
La situazione è drammatica comare mia, ma più di quello che stiamo facendo, non possiamo farlo.» «Il bambino dorme da voi?» «No, dorme con suo padre in casa sua, al mattino presto io e mio marito andiamo da loro, preparo la colazione per tutti e mio marito foraggia i buoi e li prepara per avviarli in campagna, io mi prendo il bambino e me lo porto a casa mia. È molto buono poveretto, gioca tranquillo, si diverte a inseguire le galline, ad accarezzare i gatti e i cani, ma quando poi arriva l'ora funesta non riesco a consolarlo.
Abbiamo bisogno di te Gaia, non tanto per il bambino quanto per Zuanny, se lui è contento, diventa sereno il bambino e torna l'allegria. La nostra casa ha bisogno di luce, Gaia, della tua luce.
Io so che donna sei e che donna è tua madre, Gaia! Ci conosciamo da sempre, ricordo quando Zuanny andava a scuola con te, eravate due angioletti... Zuanny mio, sapete bene che uomo è, buono come un pane appena sfornato, che te lo puoi prendere a morsi, grande lavoratore e molto mite, non l'ho mai sentito alzare la voce, né con me, né con suo padre.»
Intanto Gaia aveva portato un vassoio con tre tazze di caffè e una zuccheriera. «Prego, servitevi pure, bisogna mettere lo zucchero.»



























22 Pianta col lamento funebre.





Tutte e tre le donne sorseggiarono il caffè aspettando che qualcuna di esse riaprisse il discorso di prima. Fu proprio tzia Costantina a ricominciare a parlare chiedendo delle persone che l'aiutavano nei lavori di casa.
«Tante persone mi aiutano, come farei da sola a fare tutto? Ciccitta Tina, la nostra spigolatrice di sempre, pensa a portare il grano al mulino e a setacciare la farina.» «Voi non avete più il bestiolo?» «Sì, ce l'abbiamo ma non maciniamo più il grano in casa, ora il bestiolo fa il signore in casa nostra» concluse scherzando. «Ciccitta fa il pane da sola, Zuanny l'aiuta a ciuexi23, e io lo inforno soltanto; quando facciamo il coccoi, per le feste, viene comare Margherita Cotza ad aiutarci. In casa nostra si consuma molto pane, tre civraxi al giorno solo per gli operai della campagna: uno per su murzu, uno per il pranzo e l'altro per la merenda che fanno a casa alla fine giornata. A questo pensa tutto Ciccitta, prepara dal giorno prima le sacchette del pane e quelle del formaggio, il vino lo bevono solo a casa, la sera a merenda. Gli operai dopo la merenda governano il bestiame, puliscono le stalle e se ne vanno a casa loro, Zuanny deve coordinare il lavoro di tutti, organizzare i lavori in campagna e poi deve pensare al bambino... Gaia non ti vogliamo per farti fare la serva in casa nostra, tu devi fare solo la signora, abbiamo tanta gente che collabora con noi, tutte persone che sono felici di servirci, perché la nostra abbondanza non la facciamo mancare a nessuno. Tu sarai regina in casa tua, come lo sono stata io quando sono entrata in quella casa.» «Come fate a trovare il tempo per tessere?» «Io per me non faccio più niente, seguo solo qualche ragazza che sta tessendo in casa sua, ma per me tiro i licci solo



























23 Lavorazione della pasta del pane.





raramente: il telaio è impiantato, per una fanuga de pibioni, un telo l'ho fatto, uno è a metà, il terzo è da fare, quando Dio vuole lo finirò... Se campassi per consumare i corredi che ho tessuto, dovrei vivere davvero molti anni ancora...»
«I lavori vostri, quelli che ho visto, sembrano dello stile arradese, ma voi non siete villanovese?» «Io, quando sono arrivata sposa, le cose belle che ho portato erano del corredo di mia mamma, io mi ero tessuta solo le cose di tutti i giorni, quindi non mi ero mai messa nella vera tessitura di bisacce e arazzi.
Mia suocera, allora, aveva la tessitrice fissa in casa, era davvero un genio del telaio, faceva di quegli abbinamenti di colori e con punti che io non avevo mai visto prima, Mariallena Concas si chiamava, era originaria di Serzala. Questa donna mi aveva fatto innamorare di quei lavori meravigliosi e, così piano piano mi sono messa anch'io a farli, e così mi sono appassionata sempre di più.
Mia suocera aveva due serve fisse in casa ed io ero libera dalle faccende domestiche e potevo dedicarmi a questo lavoro meraviglioso: mi sono fatta un altro corredo con questo stile arradese, quello a bagas e a perraposta, che voi conoscete bene. Zia Mariallena mi aveva insegnato anche ad ordire: ora, forse, siamo rimaste in poche a saperlo fare in paese.»
Era un piacere ascoltare parlare tzia Pietrina, era una donna benestante ma molto alla mano, simpatica e col senso dell'umorismo. Si alzò dalla sedia osservando che il sole stava calando e si era fatto molto dardi.
«Spero che Gaia ascolti la nostra proposta, così potrà riportare la luce nella nostra casa, rabbuiata da tempo. Non ti pentirai Gaia! Gli Algheri sono una bella razza, sono cinquant'anni che io ci vivo assieme e ti assicuro che non mi sono pentita, anzi, se dovessi rifare quella scelta la farei ancora: Dio vi guidi nella riflessione, quando volete datemi risposta.»















Tzia Pietrina se ne andò abbracciando le due donne con gli occhi lucidi:
«A si biri melusu24.»
Le due donne rimaste da sole non dissero una parola: Gaia non aveva voglia di pensare all'accettazione di quella proposta; tzia Costantina non voleva aggiungere nulla a quello che aveva detto tzia Pietrina, per convincere Gaia. Era meglio dormirci sopra e la decisione sarebbe arrivata da sola.












24 Arrivederci.

























CAP 3


L'accettazione


Il giorno di Santa Teresina, Ciccitta Tina, spigolatrice della famiglia Algheri bussò di buon'ora alla porta di tzia Costantina, portava in un grosso canestro, fatto di giunchi, un mezzo maialetto arrostito avvolto in un fascio di mirto con i fiori bianchi ancora attaccati; di sopra c'era un grosso Coccoi25 fatto da tzia Margherita; il tutto ricoperto da una tovaglia, di scacchi imbriagu26, orlata con un grosso pizzo fatto all'uncinetto.
«Cosa porti Ciccitta?» «Ve lo manda tzia Pietrina Cabiddu.» E se ne andò frettolosamente senza neanche salutare. Gaia vedendo questo presente andò su tutte le furie: «Cosa credono di conquistarmi con un maiale arrostito?» «Non dire eresie Gaia! Comare Pietrina ha fatto solo una gentilezza, perché sa che noi non facciamo mai il maialetto arrosto, siamo due donne sole, mangiamo poco e non abbiamo neanche la possibilità di imbarcarci in una fatica immane per un pezzo di carne, non mi sembra voglia conquistarti con un maiale, non ne ha proprio bisogno, e se poi vuoi rifiutare la loro proposta, sei libera di farlo: se vuoi vado io stessa e portarle il rifiuto.» Gaia si chiuse in se stessa e non parlò più fino all'ora di pranzo, ma poi si mise ad apparecchiare la tavola a festa e ci mise sopra la preziosa vivanda e il bel pane che dispiaceva spezzarlo tanto era ben fatto. A tavola iniziò lei il discorso e chiese a sua madre come


















25 Pane di pasta dura lavorato con incisioni e frastagli. Pane tipico delle feste arradesi.
26 Scacchi ubriaco, irregolare.




dovevano comportarsi per restituire il canestro alla famiglia Algheri. «Comare Pietrina è donna intelligente e conosce la simbologia dell'oggetto della restituzione.»
«Allora spiegami questi significati, così capisco anch'io in che modo ci dobbiamo comportare.» «Dipende dal tipo di risposta che vuoi mandare a dire: se non vuoi accoglierla, restituisci il canestro con un prodotto insignificante come caffè, zucchero, biscotti; se, invece, vuoi accogliere la proposta mandi una coppia di colombi, o una di tortore o un altro animale, ma dev'essere vivo, che rappresenti la continuità della vita.»
«Come mai lei ha mandato una cosa cotta?» «Lei ha mandato un pranzo fatto di carne e pane, se tu vuoi limitare il discorso al pranzo, devi mandare una cosa che chiuda il pranzo, come dolce, caffè o frutta: se mandi una bestia viva, le fai capire che la vita continua con te.» «Se uno non possiede la bestia viva che fa?» «Se la procura!» «Allora procurala, mamma, e portagliela, prima che cambi idea.»





















Tzia Costantina restituì la corbula27 con le tortore il giorno dopo: subito dopo l'ora di pranzo si presentò a casa degli Algheri col canestro sull'anca sinistra, tenendo ferme le bestie con la mano destra. Sebbene fossero legate assieme con un





















27 Canestro.


robusto fiocco bianco, non si trovavano a loro agio, sballottate in quel nido insolito. Trovò la famiglia Algheri riunita in veranda che cercava di far divertire il bambino con un tamburo fatto con un pentolino e una testa di fuso.
«Accomodatevi, entrate dentro» disse il capofamiglia, tziu Angelicu. Nessuno in quella casa si aspettava una risposta così rapida e, tanto meno con un volatile che voleva significare l'accettazione della proposta.
Tzia Costantina porse il canestro a tziu Angelicu, lui lo prese con commozione, appoggiò per terra il canestro e le baciò le mani. «Zuanny! Assieme al bambino liberate le tortore e fatele volare nel cortile assieme alle nostre bestie.»
Zuanny non se lo fece dire due volte, slegò il fiocco che teneva assieme le due bestioline, se lo mise in tasca e, insieme al bambino lanciò in aria le tortore. «Evviva! Che sia sempre allegria, allegriaaa...» gridarono tutti in coro.
«Deus bollada po sempri28» disse il vecchio. Tzia Pietrina aveva già portato il caffè nelle tazze antiche di porcellana, che erano state di sua madre. Quelle tazze, in tutta la loro esistenza, erano state usate non più di un paio di volte: erano stati rari in quella casa i momenti belli, e questo era uno di quelli che meritava l'uso di quelle tazze. Avevano bevuto il caffè in cucina sul tavolo grande, ancora mezzo apparecchiato per il pranzo appena finito. Era una cucina molto grande con grosse caldaie di rame appese alla parete di fronte alla porta d'entrata e, un grosso braciere, sempre di rame, appeso sulla cappa del camino. C’erano dei grossi fornelli in muratura con dentro incastonate le griglie per il carbone, ma erano palesemente fuori uso perché sopra c'era





















28 Dio lo voglia per sempre.




appoggiata una cucina a gas. Sulla parete di fronte al camino c'erano appese tutte le stoviglie: in alto c'erano le pentole disposte in rigoroso ordine di grandezza decrescente e in seconda fila le padelle e ancora più in basso i pentolini e padellini.
In ultima fila c'erano tutti i mestoli di varia grandezza: spiccava, per le misure sproporzionate, un ramaiolo che serviva per raccogliere la ricotta. C'era anche l'angolo degli spiedi e quello dei taglieri. Sulla parete dove c'erano i fornelli c'era una grossa mensola di legno che reggeva le pentole di terracotta, anch'esse disposte a bocca in giù l'una di fianco all'altra in ordine di grandezza.
Era la classica cucina degli antichi Massari arradesi, con un grosso camino che conteneva dentro tutti i componenti della famiglia. In quella cucina si cucinava e si mangiava; attigua a quella ce n'era un'altra più grande, dove si faceva il pane e c'erano tutti gli attrezzi per la farina e la lavorazione del pane. Tutte la pareti erano ricoperte da crobis29, canisteddus30, canisteddas31, poinas32 e cibirus33, sadazzus34, sciadazzadoris35 e turras de farra36. C'era anche un caminetto che veniva usato d'inverno, quando facevano il pane, un armadio che conteneva i panni e le coperte per il pane e i tavoli del pane che venivano usati solo per la lavorazione del pane. Nella cucina grande c'era una parete solo per le sciveddas37 di varie misure che servivano






29  Canestri cuputi.
30  Cesta piatta grossa per setacciare la farina e mettere il pane in
fermentazione.
31  Cesta piatta di misura media per disporre is coccois.
32  Cesta piatta piccola per separare la semola grossa da quella fine.
33  Cerniglia sottile per separare la farina bianca sottilissima da quella più
grossa: serviva per l'ultimo passaggio di lavorazione della farina.
34  Setacci.
35  Trespolo di legno con due binari per far scorrere il setaccio nella lavorazione della farina.
36  Sessola di legno per il travaso della farina.
37  Conche di terracotta per impastare e lavorare la pasta del pane.


















per impastare e contenere la pasta durante la lievitazione. La cucina grande non serviva per viverci ma esclusivamente per il pane e le sue lavorazioni. Tzia Costantina guardandosi attorno in cucina si rese conto che in quella famiglia c'era tanto benessere, le cose erano ben tenute e ordinate, era evidente che le cose venivano usate quotidianamente e fatte vivere nei modi dovuti. «Grazie dell'accoglienza!» disse tzia Costantina alzandosi dalla sedia per andarsene. «Quando vorranno i fidanzati, si metteranno d'accordo per l'uscita in chiesa e la cosa sarà ufficiale.» «Dio benedica questa vostra venuta, salutatemi Gaia» disse il vecchio prendendole una mano e baciandogliela nuovamente. Tzia Pietrina l'accompagnò al portone e con gli occhi che le brillavano di gioia la salutò abbracciandola. «Salutatemi Gaia con tutto il cuore e che Dio vi benedica entrambe.» Era sopraggiunto anche Zuanny, vicino al portone, per salutarla. «Mamma! Vi sarò sempre grato per il vostro atteggiamento cordiale e sincero, stasera verrò da Gaia.» E l'abbracciò commosso. «Adiosu38» disse lei mettendosi lo scialle sulle spalle per andarsene.
La prima domenica di ottobre i fidanzati avevano deciso di fare la prima uscita in chiesa. Gaia con un vestito di seta a fiori si era fatta trovare pronta nella veranda di casa sua in attesa che Zuanny venisse a prenderla.
Avevano percorso la strada per andare in chiesa a braccetto















38 Addio.



sotto gli occhi increduli dei passanti che non si aspettavano che Gaia e Zuanny si fidanzassero. In chiesa si misero sul penultimo banco dal lato degli uomini, di fronte a loro c'era seduto il padre di Lorenzo, immobile come una statua.
Zuanny era raggiante di felicità, lei taciturna ma serena, era contenta di quel momento, l'immagine di quel vecchio davanti a lei la inquietava: “Maledetto vecchiaccio, dovrai bruciare nel fuoco dell'inferno” pensava.
Questo vecchio risentimento per molti anni le aveva invaso il cuore: certo che far riaffiorare questi risentimenti proprio in chiesa e il giorno della sua prima uscita con Zuanny era il colmo dei colmi.
In fondo, quel momento avrebbe voluto viverlo con Lorenzo molti anni prima ma quel vecchiaccio non aveva voluto, doveva pagare per questo. Durante tutta la messa non era riuscita a togliersi dalla testa questi pensieri, ogni tanto Zuanny le prendeva una mano e gliela stringeva, era calda e morbida, si sentiva bene quando lo faceva e la richiamava alla realtà.
All'uscita di chiesa avevano ricevuto gli auguri di fidanzamento da tutti i paesani, compreso il padre di Lorenzo che lei aveva ignorato deliberatamente. Erano andati a pranzo da tzia Pietrina come era d'uso e lei non si era fatta trovare impreparata in questa occasione.
Il giorno prima si era fatta fare il pane e gli amaretti da tzia Margherita e i biancheddus39 e i savoiardi (pistoccus finis) da tzia Aurelia Lisci grande specialista di questi dolci. Il padre di Zuanny aveva procurato il capretto e il maialetto da latte e li aveva cotti lui personalmente con la presenza del bambino.
Tzia Ciccitta Tina, spigolatrice di casa, aveva preparato la pasta





















39 Meringhe.


fresca: non potevano mancare is cruguxonis40 quel giorno, tzia Pietrina si sarebbe venduta l'anima piuttosto. L'abbondanza di quella casa era particolare, senza ostentazioni e senza esagerazioni: quella discrezione piaceva a Gaia come le piaceva il modo di porsi di tzia Pietrina.
Dopo pranzo tzia Pietrina la portò al piano di sopra della casa per farle vedere i suoi lavori. In uno stanzone molto illuminato c'era un telaio in castagno massiccio con l'impostazione del lavoro di una fanuga de pipioni41.
«Che telaio massiccio! L'avevate portato da sposa?» «No, io non portai il telaio quando mi sposai, mia suocera non volle, mi fece fare lei questo telaio da tziu Massimino Porcu, perché il suo vecchio telaio era andato in frantumi per colpa dei tarli e lo mise nel fuoco: questo telaio non avrà mai fine, sarà tuo Gaia e potrai tessere tranquilla quanto vorrai.» «Questo è vostro» disse lei «io il mio ce l'ho, mia madre cosa se ne deve fare anche del mio? Ha pure il suo, smontato nel solaio.» «Figlia mia! Se vuoi questo telaio è a disposizione, è grande e massiccio e durerà cent'anni, io quando avrò finito questa coperta, che sarà tua, col telaio ho finito, non ho più la forza di tirare i licci, poi avremo il tempo per ragionare e decidere cosa fare coi telai.» «La bonamma42 non aveva il suo telaio?» «Altroché se lo aveva, ma ho fatto smontare tutto e messo in una stanza in casa loro insieme a tutto il suo corredo, anche lei aveva tante tessiture, sai, erano ricchi e di un paese dove ci tenevano tanto alla tessitura, ma io non ho lasciato neanche uno straccio del suo corredo in giro, è tutto conservato insieme ai mobili e a tutto quello che aveva portato in dote: la casa è












40 Ravioli. 41 Sopraccoperta coi pippiolini. 42 Buonanima.
















grande anche lì, e c'è lo spazio per tenere tutto in disparte. Non ci mancherà il tempo per andare a vedere e sistemare le cose come vuoi tu.» Intanto l'aveva raggiunta Zuanny, bello e felice come non lo era mai stato: «Meno male che avete qualcosa in comune di cui parlare.» «Questa è una bella coincidenza, speriamo di averne anche altre, che ancora non conosciamo» disse tzia Pietrina compiaciuta. Poi erano scesi tutti al piano di sotto e Gaia e Zuanny avevano deciso di andare a salutare tzia Costantina.





























CAP 4


Il Matrimonio


Gaia e Zuanny avevano concordato di celebrare il matrimonio il 26 Dicembre, giorno di S. Stefano. Entrambi avevano bisogno di qualche mese di tempo per sistemare le cose.
Zuanny doveva sistemare la casa e Gaia il corredo e ordinare i mobili. Sarebbero andati ad abitare nella vecchia casa di Zuanny, però doveva fare alcune modifiche.
La parte dove alloggiavano i buoi l'aveva sistemata da poco e non aveva bisogno di cambiare nulla. Aveva un ingresso indipendente per la casa padronale e c'era attiguo un orto enorme. Di fronte all'ingresso c'era la stalla con sei posizionamenti per le mangiatoie, erano delle enormi ciotole di pietra verde: una grossa porta la separava dal pagliaio e sulla destra c'era una grossa cucina che aveva altre due porte: una dava su una veranda molto lunga che si collegava con la parte padronale della casa; l'altra si apriva ad ovest dove c'era un'altra veranda che dava sull'orto e serviva per mettere al riparo dalle piogge la legna per il camino e per il forno.
In questa cucina c'era anche un grosso camino, per scaldarsi al mattino presto e alla sera durante il foraggiamento dei buoi. Serviva anche per gli arrosti delle carni allo spiedo o alla graticola, per evitare di sporcare la cucina dove si viveva. In cucina c'erano appesi gli spiedi di tutte le misure, graticole e taglieri: due grossi tavoli, entrambi con un cassettone che conteneva i coltelli da macello.
Di fianco alla cucina, ma separata dal resto della casa, c'era un'altra stanza dove riponevano attrezzi agricoli dismessi, come vecchi aratri, ruote vecchie del carro dei buoi, mangiatoie in











pietra: c'era pure un vecchio telaio. Questa stanza Zuanny aveva deciso di sgomberarla completamente, farla pulire per depositarci tutte le cose de sa bonamma43: tzia Pietrina aveva accumulato tutto il corredo in due casse sarde antiche, perché Gaia di quel corredo non voleva neanche sentirne parlare. Tzia Pietrina già gliene aveva parlato, era anche quello un gran bel corredo, perché anche quella donna era figlia di benestanti sardaresi e gli arazzi, le bisacce e i tappeti non se li facevano mancare. In questi casi la mentalità della gente del paese si orientava più sulla sfortuna che sulla bellezza del corredo. Non si diceva apertamente che gli oggetti appartenuti a una donna morta da giovane potevano portare sfortuna, perciò si preferiva dire che non serviva. Gaia, con il suo corredo, comunque, non aveva nulla da invidiare a nessuno, tesseva da quand'era bambina e, in più, aveva anche il corredo di sua madre che neanche lei era riuscita a consumare. Dall'ingresso padronale della casa si accedeva ad un piccolo giardino sul quale affacciava l'intera abitazione. La parte frontale era costituita dalla veranda con tre archi, nella quale c'erano tre porte che portavano a tre stanze diverse: s'aposentu bellu44, la stanza da pranzo e la cucina. In cucina c'era una scala in legno che portava al piano superiore, sul quale si sviluppava la stessa pianta del piano inferiore. C'era la camera da letto matrimoniale, la camera del bambino (Angelo), già arredata, un'altra camera da letto e in fondo alla veranda uno stanzone con finestre a est e a ovest che doveva usare Gaia come laboratorio di tessitura. Il telaio l'avrebbe posizionato in veranda per il periodo estate/primavera e nelle altre due stagioni l'avrebbe spostato nella stanza. In quella casa non esisteva la stanza da bagno; come in tutte le
















43 Buonanima. 44 La stanza di ricevimento.






case di Arradeli, esistevano solo i gabinetti staccati dalla casa, per una questione igienica, dicevano, ma Gaia pretese che si costruisse un piccolo bagno vicino alla zona lavanderia situata nel retro della cucina e accessibile dalla veranda.
Tzia Pietrina era d'accordo sulle richieste di Gaia: «I tempi cambiano, non è più come quando ero giovane io che si andava direttamente all'immondezzaio del bestiame per fare i bisogni.»
Era una bella contraddizione quella del bagno, che doveva essere staccato dal corpo della casa per questioni igieniche, ma nello stesso cortile di casa c'erano i ricoveri dei vari animali: quello dei buoi, quello dell'asinello, del maiale e in giro per tutto il cortile le galline, i tacchini, le oche e le anatre e anche conigli.
Gaia non voleva rinunciare alla comodità e neanche alla presenza delle bestie, in fondo facevano parte del sistema di vita e costituivano al tempo stesso il benessere della famiglia.
Parallelamente alla sistemazione della casa di Zuanny, che procedeva a pieno ritmo, Gaia completava il suo corredo.
Aveva tirato fuori dalle casse tutto quello che aveva conservato negli anni.
Le tessiture le aveva tirate fuori tzia Costantina e le aveva stese sui fili dei panni e lasciate all'aria aperta giorno e notte, poi le orlature e le rifiniture le avrebbe riprese in un secondo momento per sistemarle definitivamente come si voleva per un corredo da sposa.
Gaia si stava dedicando al resto della biancheria, le lenzuola di lino ricamate erano già pronte da tempo, bisognava solo rinfrescarle con un lavaggio leggero: voleva dare un tocco finale ad un lenzuolo da mettere la prima notte.
Era un lenzuolo di tela di lino ricamato a punto ombra con le sue iniziali da una parte del risvolto e su una federa: voleva










aggiungere le iniziali di Zuanny sull'altra parte del risvolto del lenzuolo e sull'altra federa, ma aveva paura che l'inserimento del nuovo ricamo facesse trasparire la differenza del filo nuovo con quello vecchio.
Doveva fare delle prove su un altro tessuto poi avrebbe deciso cosa fare.
Man mano che sistemava le cose, le riponeva sui tavoli che aveva messo in s'aposentu bellu per mostrare il corredo ad amici e parenti prima di trasportarlo in casa dello sposo.
Gaia era tranquilla, da quando si era fidanzata non pensava più al suo passato tumultuoso e sfortunato, era convinta di essersi lasciata alle spalle quel mondo che l'aveva solamente fatta soffrire.
Un pomeriggio mentre sistemava alcune cose del corredo e sua madre era andata a fare delle commissioni, una visita inaspettata le aveva fatto perdere la concentrazione sulle sue faccende.
La matrigna di Lorenzo le aveva bussato alla porta: «Permesso? Posso disturbarti un momento Gaia?»
«Accomodatevi pure.»
«Mi sono permessa di disturbarti perché porto un nodo alla gola da troppo tempo, e ti devo parlare.
Tu sai che io non sono la vera madre di Lorenzo? La poveretta morì mettendolo al mondo e dopo pochi mesi, io mi sposai con suo padre e mi presi cura di lui, si può dire, da sempre.
Fra me e il ragazzo c'è stata sempre una bella intesa, si è sempre confidato con me, anche del suo rapporto con te.
Il giorno prima di partire in guerra aveva litigato con suo padre in modo furibondo, pensavo si mettessero le mani addosso:




















tremo ancora se penso a quel momento.
Il ragazzo voleva che suo padre venisse a chiedere la tua mano, ma non oso riferirti quello che disse mio marito, è stata una cosa vergognosa e in ogni caso non voleva che tu mettessi piede in casa sua. “Se così è non vedrai più neanche me” replicò il ragazzo e se ne andò in camera sua singhiozzando come un vitello.
Andai io a consolarlo, mi aveva detto che gli spiaceva per me ma suo padre non lo voleva più vedere, tant'è che partì, davvero, senza salutarlo.
In quel momento mi disse che voleva sposarti, ti amava troppo e in più, forse, aspettavi un bambino da lui. Mi disse che voleva che il bambino fosse riconosciuto.
Io di questo non ne ho mai fatto parola con nessuno neanche con mio marito: con Lorenzo è finita come sappiamo e del bambino io non ho conosciuto traccia ma non mi sono mai neanche interessata.
Io ti ho portato un lenzuolo che Lorenzo mi ordinò, quella notte, di far ricamare dalle suore, con le sue iniziali per te: “Gaia poi ci ricamerà le sue”, mi disse.
Io per molti anni ho tenuto conservato questo lenzuolo e non osavo dartelo, ma adesso che ho saputo che ti sposi, se non ti offendi, io te lo lascio.»
«Perché mi dovrei offendere? Se lui vi aveva detto che voleva sposarmi è come se io fossi rimasta vedova, non vi pare?.»
«Fiuda bagadia filla mia!» disse tzia Fortunata porgendole il pacco contenente il lenzuolo.
Quando la donna se ne andò, Gaia aprì il pacco per guardare il lenzuolo e si accorse che era identico a quello che aveva lei ma con le sue iniziali, anche il suo era stato ricamato dalle suore.




Aveva deciso che le due lenzuola le avrebbe usate assieme, uno sotto e l'altro sopra, senza aggiungere alcuna iniziale.
Soltanto lei sapeva che nel suo letto poteva mettere assieme le lenzuola che portavano le iniziali sue e quelle di Lorenzo.
Questo segreto non le procurava nessun disagio neanche con Zuanny, perché aveva avuto la certezza che Lorenzo avrebbe voluto sposarla, ma la morte glielo aveva impedito, lasciandola quindi vedova, anche se nubile.
Dopo aver concluso questo ragionamento si mise a piangere di gusto, quasi con soddisfazione, come se si fosse sentita ufficialmente vedova.
Nel suo pianto urlava a se stessa: «Fiuda bagadia seu abarrada45.»
Quel giorno le sorprese non erano finite: quando era tornata a casa sua madre e le stava raccontando l'accaduto, qualcuno aveva bussato ancora alla porta.
Con stupore delle donne apparve davanti a loro il padre di Lorenzo, tziu Pinu Tatti.
«Si podi sa meri46?» «Intrai a ki adessi47» «Quale buon vento vi porta in questa casa?» «Uno scrupolo antico, se permettete voglio chiedere perdono.» «Entrate!»
Le due donne, molto sorprese della visita, non avevan parole per iniziare un discorso, quell'uomo non si era mai degnato neanche di salutarle, quando le incontrava girava la faccia



























45 Vedova nubile sono rimasta. 46 Si può padrona? 47 Entrate pure.




dall'altra parte.
«Io con voi mi sono sbagliato fin dall'inizio impedendo a mio figlio di unirsi con te Gaia. Quale padre non vuole il meglio per il proprio figlio? Io per lui desideravo una principessa non una figlia illegittima: non lo dico per offendervi, cercate di capirmi.»
«Io capisco quello che state dicendo, ma se siete venuto per insultarmi ancora, potete anche andarvene.»
«Perdonami Costantina, non l'ho detto per insultare ma per dire quali erano i miei desideri per mio figlio: quando Lorenzo è morto mi sono reso conto del mio errore madornale. Non avevo considerato che lui si era innamorato di una donna che lo amava, invece io pensavo alla regina Elisabetta per lui.
Se avessi ragionato bene, come avrei dovuto, da buon padre di famiglia, avrei dovuto assecondare la sua unione con Gaia.
Io lo so che donna onesta siete stata! Avete allevato i vostri figli con molta dignità e dato loro un futuro; a Gaia avete insegnato un mestiere che le consentirà sempre di vivere bene; siete stata solo sfortunata ad aver incontrato un uomo che vi ha usato solo per i suoi comodi.
Io vi ammiro per questo e ammiro Gaia per la sua serietà, ed ora che si sposa con un brav'uomo io sono contento, avrei voluto che fosse stato mio figlio al suo posto.»
Quest'uomo concluse il suo discorso con la voce che gli tremava, dopo aver parlato con sua moglie, che era andata da Gaia prima di lui, si era convinto a chiedere scusa a quelle donne che aveva profondamente offeso tanti anni prima.
«Sono contenta che ti sia ricreduto Pinu Tatti.
Di certo non ero contenta quando tuo figlio veniva a cercare Gaia e tu ci insultavi a distanza, dicendo che ero una donnaccia. Questo non me lo posso dimenticare.


















Apprezzo la tua umiltà e ti assicuro che questo gesto mi gratifica, soprattutto in questo momento che Gaia si sta sposando, ma non posso dimenticare il trattamento che mi hai riservato nel passato.»
«Io la perdono» intervenne Gaia. «La perdono anche a nome di Lorenzo, che sicuramente, in questo momento, sta ascoltando questa conversazione, vi siete lasciati senza saluto quando lui è partito, il vostro gesto vi rimette in pace anche con lui.»
«Dio te lo paghi questo gesto, Gaia, e ti ricompensi come tu desideri.
Rimanete con Dio nelle vostre faccende, buona giornata e a si biri melusu48.»
Così andò via commosso chiudendosi il portone alle spalle.
Era stata una giornata trascorsa nel segno dello stupore e della rivelazione di sentimenti rimasti nascosti per molto tempo.
Quando Gaia aveva saputo che Lorenzo aveva rivelato ai suoi genitori che voleva sposarla, per lei era stato come se il matrimonio l'avessero già celebrato.
Era stata una doppia soddisfazione, per lei, sapere con certezza che lei era davvero nel cuore di Lorenzo.
Eppure prima di lei c'era stata un'altra fidanzata, ma per un brevissimo periodo; Lorenzo gliene aveva pure parlato ma le


















48 Arrivederci.




aveva confidato che non era stata una cosa seria e comunque anche in quella circostanza era stata lei a non volerlo. Aveva avuto un incidente con la trebbiatrice nell'aia e aveva perduto una mano e da allora non aveva più voluto sentire parlare di fidanzamento. Gaia ricordava quel brutto incidente successo a Leontina, sua madre l'aveva pianta come se fosse morta; quella disgrazia ad Arradeli aveva fatto molto clamore, e lei era una ragazza molto conosciuta, aveva una voce da soprano lirico e nelle messe solenni, in chiesa, sapeva cantare da sola tutti i canti cerimoniali; nelle processioni delle feste del paese, la sua voce rimbombava in tutte le strade quando cantava il rosario.
Era stata una sua scelta quella di non volere più Lorenzo e lui non ne aveva fatto una malattia, tant'è che si era subito consolato con Gaia e lei lo aveva amato subito con molta passione.
Una storia d'amore breve ma intensa, che aveva lasciato segni indelebili, segni destinati a rimanere perpetui in quel cuore frantumato dalle incertezze, dalla vergogna e dal disonore che la morale arradese le aveva cucito addosso.
In questa fase prematrimoniale si sentiva rinascere da queste macerie che per molti anni le avevano impedito di vivere: non aveva mai pianto né lamentato il suo dolore, aveva solo reagito, ma con scelte sbagliate e avvilenti, ma ora si sentiva sulla strada maestra, quella che attraverso Zuanny l'avrebbe portata fino a Lorenzo.
Era arrivato, però, il momento di pensare materialmente a Zuanny per il matrimonio che si doveva celebrare: lei doveva preparare il regalo che gli era dovuto, quello che per generazioni e generazioni, ad Arradeli, la sposa doveva regalare allo sposo: la bisaccia.
Tzia Costantina aveva già predisposto il telaio con la giusta orditura e sistemato i quattro licci per meglio favorire











l'intreccio dei fili e la formazione dei ricami in “a postasa”49.
Aveva scelto sempre lei, anche i motivi del ricamo, l'abbinamento dei colori: su ogni tasca, “su foddi50”, doveva ricamarci dei grossi vasi contenenti rose recise di color rosso cangiante e sulla spalla, “su coddu51” che per poterla ricamare bisognava rovesciare l'orditura, invertendo il subbio anteriore con quello posteriore, quindi smontare il telaio e rimontarlo, e intrecciare un ricamo a perra posta52. Una strategia che poche tessitrici sapevano operare per l'enorme difficoltà che comportava: un minimo errore poteva compromettere l'intera tessitura.
A Gaia i lavori di tessitura complicata non facevano paura, anzi, l'aiutavano a concentrarsi e quindi a non dar retta ai pensieri futili.
Durante la tessitura della bisaccia, Gaia con sua madre si alternava a ritmo serrato per l'intero arco della giornata, allo scopo di tenere in funzione continua il telaio e dare così continuità al lavoro che si stava eseguendo, perché le interruzioni, secondo tzia Costantina, lasciavano intravedere la diversa mano nella tessitura.
In meno di tre giorni di lavoro continuo portarono a termine la tessitura della bisaccia, furono ricamate col punto parigi le iniziali di Gaia Fatteri, di color viola cangiante, com'era d'uso ad Arradeli.
Le orlature sui bordi furono rivestite da tessuti di seta ricamati con filo d'oro.
La seta di color viola pallido richiamava i colori delle rose ricamate sulle tasche: un abbinamento di colori che parlava di





















49 A poste.
50 Le tasche della bisaccia.
51 La spalla.
52 Mezzo punto.





passione, di vivacità, e di ardore, tipicità del carattere sardo.
Era soddisfatta di quell'opera da donare al suo sposo in segno di collaborazione nella missione che stava andando a compiere.
Adesso le rimaneva da smontare il telaio e in quella stanza di laboratorio mettere in mostra il suo corredo per farlo vedere ad amici e parenti prima di trasportarlo a casa dello sposo.
Nei canestri e canisteddus53 aveva sistemato i tappeti, le bisacce e tutto il corredo di grossa tessitura; sui tavoli aveva disposto la biancheria da letto e da cucina e nella stanza, chiamata s'aposentu bellu, tutte le terraglie e le cristallerie.
Nei giorni che precedevano il trasporto del corredo alla casa dello sposo, quella casa sarebbe sembrata una fiera: la gente che vi transitava per curiosità o per dovere, ne approfittava per portare anche il presente di nozze.
La matrigna di Lorenzo le portò dentro una poina, una bisaccia tutta infiocchettata.
«Tieni Gaia, questa era la bisaccia che la madre di Lorenzo donò a suo padre quando si sposarono: secondo le usanze, questa bisaccia avrebbe dovuta ereditarla Lorenzo, quale primogenito. Mio marito, padre di Lorenzo, ti ritiene l'ereditiera morale di questi oggetti simbolici e vuole che sia tu a godertela.
Aprila e guarda che meraviglia: ci sono le iniziali di sua madre, su una tasca una P e sull'altra una S. Non l'aveva tessuta lei, se l'era fatta tessere da tzia Marialena Concas, era la migliore maestra del telaio allora, persino Rosa Cogatzena è stata sua allieva, guarda che colori e che rifiniture... goditela figlia mia, questa ti spetta di diritto...»
Gaia rimase senza parole, non si sarebbe mai aspettata un simile gesto dal padre di Lorenzo, ma non riuscì a dire neanche












53 Cesta piatta.




un grazie a quella donna che aveva fatto crollare il muro dell'orgoglio fra le due famiglie.
Riuscì solamente a chiamare sua madre per farle vedere quel capolavoro: «Bella, bella davvero, questa è opera di tzia Marialena, conosco bene i suoi lavori, ci sono stata pure io a lavorare da lei.»
«Era della madre di Lorenzo» disse Gaia «vogliono che la tenga io, guarda questo punto strano, mamma, non riesco a decodificarlo, tu riesci?»
«È uno scacchi intravarau54, ora non si fa più, prima lo usavano come punto di separazione tra la parte ricamata e la parte grezza: è molto complicato e fa perdere molto tempo.»
«Sono contenta per il gesto, poi è anche un bel lavoro, accettate un bicchierino? Il gesto merita un invito!»
«Come ricevuto, ho molta fretta adesso, verrò a trovarti nella casa da sposa così vedo come ti sistemi, che vi possiate godere in salute quello che avete e che Dio vi benedica.»
Un'altra soddisfazione si era aggiunta alla lista dei piaceri della giornata, quest'ultima l'aveva, davvero, colmata di gioia, ora le mancava solamente di congiungere la sua gioia con la vita di Zuanny, non vedeva l'ora di diventare con lui una persona sola.
Lorenzo ormai era in cielo e la stava guidando verso la gioia, quella gioia che non aveva mai conosciuto prima e che adesso, forse, si stava avviando ad assaporare.












54 Scacchi alternato.











Anche Zuanny aveva quasi terminato di sistemare la casa: aveva fatto la stanza da bagno, in cucina aveva abbattuto il vecchio camino e il muretto dei fornelli, cambiato le piastrelle del pavimento; il nuovo caminetto l'aveva fatto ad angolo.
Per la cucina Gaia aveva ordinato un mobile massiccio per contenere tutte le stoviglie che prima tenevano appese ad un telaio di legno coi ganci.
Le stanze erano state solo sgomberate dai mobili della bonamma, e imbiancate. Le tavole del solaio le avevano lasciate com'erano, le avevano solamente carteggiate e riverniciate dello stesso colore di prima.
Nello stanzone che Gaia doveva usare come laboratorio, Zuanny aveva sistemato una vecchia cassapanca sarda dove aveva sistemato le tessiture che servivano per portare i buoi in processione “guturadas55” e le bisacce che sua madre aveva regalato al padre per il loro matrimonio. Tzia Pietrina gli aveva regalato anche le sue vecchie guturadas, che facevano parte del suo corredo.
Dovevano arrivare solo i mobili che Gaia aveva ordinato e dopo avrebbero organizzato il trasporto del corredo coi carri dei buoi, vestiti a festa con is guturadas al collo. I carri di tutti gli amici di Zuanny venivano coinvolti per questo trasporto: partivano dalla casa della sposa, caricavano il corredo sui carri come per fare una sfilata e facevano il giro di tutto il paese prima di portarlo alla casa dello sposo.
Tzia Pietrina aveva il doveroso compito di ricevere la preziosa merce e mano a mano che arrivavano i carri lanciava is arrunzus56 sul corredo come augurio di buona fortuna.
























55 Una striscia di tessitura molto ricamata che doveva fasciare il collo del bue dalla quale pendeva una campanella.
56 Petali di fiori mescolati con grano mandorle e monete, per augurare fortuna e abbondanza.




Una settimana prima della celebrazione delle nozze, arrivarono i mobili che erano stati ordinati: durante la loro sistemazione Gaia, contrariamente agli usi del paese, volle essere presente per farseli sistemare secondo il suo gusto personale.
Quando, invece, trasportarono il corredo rispettò le tradizioni, rimanendo a casa sua, prestando solamente attenzione al carico della roba che veniva sistemata sui carri.
Al ricevimento ci pensava sempre tzia Pietrina e poteva rimanere tranquilla che avrebbe vigilato bene sul corretto svolgimento delle operazioni: il giorno dopo sarebbe andata lei personalmente assieme a delle sue amiche a sistemare le cose come piacevano a lei.
Tzia Pietrina si doveva interessare del banchetto di nozze, aveva già mandato il grano a tzia Margherita che doveva macinare con la mola romana. Avrebbe pensato lei anche a setacciare la farina e poi fare il pane il giorno prima delle nozze.
Tzia Margherita era la professionista, in paese, del cocoi57 per gli sposi.
A tzia Aurelia Lisci aveva mandato le mandorle, le uova e lo zucchero per gli amaretti e i guefus; a tzia Reparata aveva dato l'incarico per fare is pistocus finis58 (savoiardi) e le meringhe.
Tzia Pietrina sapeva coordinare bene questi lavori, era abituata ad avere tanta servitù e per arrivare a tutto doveva avvalersi, necessariamente, di manodopera esterna alla famiglia.
Aveva già organizzato il pranzo nuziale e ingaggiato le persone per la cucina. La vigilia di Natale, due giorni prima delle nozze, doveva andare a casa loro il macellaio tziu Faustino Abire, per uccidere le bestie per il banchetto.









57 Pane di pasta lavorata, tipico pane degli sposi.
58 Biscotti fini, da servire col caffè.








La festa era già iniziata e nella famiglia Algheri non c'era pace per nessuno, l'euforia era nel comportamento di tutti.
Era contenta tzia Pietrina per questo impegno gioioso, più di quanto non lo fosse stata per il primo matrimonio di Zuanny: allora il matrimonio si celebrò a Ruinas, paese della sposa e la cerimonia del brindisi primo ricevimento lo fecero in casa dei genitori della sposa; da Zuanny fecero solo il pranzo e con la condivisione dei consuoceri che vollero partecipare anche all'organizzazione.
Questo aveva impedito a tzia Pietrina di sbizzarrirsi a suo modo e di essere spontanea nel suo modo di essere: il pane l'avevano voluto mandare loro e, secondo tzia Pietrina non era a livello del pane di tzia Margherita.
Questa volta, invece, sentiva di avere mano libera su tutto, e questo la gratificava per tutto il lavoro che stava facendo.
Suo marito, tziu Angelico non riusciva a contenere la propria gioia, portava con sé ovunque il bambino, spiegandogli che il suo babbo si doveva sposare e bisognava fare una bella festa e zia Gaia doveva trasferirsi in quella casa e stare a vivere con loro.
Il bambino non dimostrava segnali di inquietudine ed era molto interessato a questa festa che si stava organizzando in casa sua.
A tzia Pietrina non sembrava vero di rivedere suo marito sorridere assieme al suo nipotino: non riusciva a dimenticare quando il bambino chiedeva di andare in paradiso a trovare sua mamma; suo marito si picchiava la testa coi pugni e piangeva come un ossesso: «Ita mali at fattu su pipiu59» e piangeva come non l'aveva mai visto in cinquant'anni.
Ora, non le sembrava vero di vedere sul volto del marito la stessa contentezza del giorno in cui nacque quel bambino.









59 Che male ha fatto il bambino.









Ad aiutare Gaia a sistemare la roba andarono tre sue amiche: Maria Ghiani, Maria Laura Concu, Lisenna Pitzoni, tutte e tre nubili come volevano le consuetudini; impiegarono un giorno intero per sistemare tutto secondo le indicazioni di Gaia.
Tzia Pietrina mise a loro disposizione due donne per fare le pulizie e alla fine della giornata si presentò pure lei con le chiavi della casa in mano: bisognava chiudere tutto e andare via; fino al giorno del matrimonio la padrona di casa era lei; solo dopo is arrunzus di entrata in casa, Gaia diventava padrona.





























CAP 5

SA COJA ARRADESA




Sa coja arradesa
e' istada sempri nomonada,
usanza biatzesa
da is antigus tramandada.60






Inghizzanta in sa familia
a ci potai s’arroba,
po primu sa mobilia,
cun istrangius a maroba.61






Strexiu e fenu e pabias,
de forru e de argiolas;
pò d’ognia attrezzu is maghias,
cun tianu e cassarolas.62






60  I riti delle nozze tramatzesi
sono stati sempre nominati
costumi allegri del paese
dagli antichi tramandati.


61  Inizia la famiglia
a trasportar la dote,
per prima la mobilia
ed estranei a man devote.
62  Ceste di fieno e pale,
per le aie e per il forno
il manico per uso generale
con pentole d'uso e per adorno.





Sa moba e su bestiou,
e su trobaxiu antigu,
accanta a su maiou
po manixai su trigu.63


Sa mama de su sposu
arricidi d-onnya cosa,
po garantì su gosu,
in nomini de sa sposa.64



Su lettu ddu fadianta
parentis bagadias,
in mesu ci ponianta
is mellus ballàntias.65



Su espuru inghizzanta,
a pragontai is cumbidus,
is mamas cumbidanta,
is parentis prus antigus.66



63  La mola e l'asinello
e per tessere il telaio
compreso il canestrello
in uso nel granaio.



64  La mamma dello sposo
riceve ogni cosa,
lavoro ponderoso
in nome della sposa.


65  Il letto lo aggiustavano
nubili parenti,
nel mezzo ci ficcavano
oggetti differenti.


66  La vigilia incominciavano
a portar gli inviti,
le mamme lo portavano
ai parenti più sentiti.




Sa die de sa cojanza
inghizanta innanti de obrexi,
po poderai s’usanza
cumenti depiad’essi.67


Po bistì sa sposa,
c’iobiada una bagadia,
po cussa dì gioiosa
istimentus de alligria.68



Asutta de sa fadretta,
froccu birdi beni cuau,
in kinzu sa sarretta
po pungi s’ogu liau.69



A sa sposa cuncodrada
sa mama arracumàndada,
tui siasta fortunada,
cumenti Deus cumandada.70



l
67  Il giorno delle nozze
all'alba s'iniziava
rumori di carrozze
nella festa dominava.


68  Per vestir la sposa
una nubile parente
giornata gioiosa
con abito fiorente.


69  Sotto la camicia
un fiocco verde non sott'occhio
sulla vita cosa riccia
per pungere il malocchio.
54






Beneditta filla mia,
po mat donau onori,
t’accumpangi s’alligria
e no biasta mai dolori.71




O mama mia perdònidi!
is mancanzas ki apu tentu,
e babbu no pregonidi
po custu sentimentu.72






Arriba poi su sposu,
po ndì pigai sa sposa.
Oh fillu gioiosu!
t’arragullu un’arrosa.73

70  Alla sposa preparata
la mamma raccomanda.
Che tu sia fortunata
come Dio comanda.


71  Benedetta figlia mia
per questo grande onore,
t'accompagni l'allegria
e non veda mai dolore.


72  O mamma mia perdona
in quello che ho mancato
e babbo tu ridona
l'affetto che hai negato.


73  Arriva poi lo sposo
per prendere la sposa,
oh figlio mio gioioso
ti dono la mia rosa.




Onnya passu ki ponesi a mâu pigada,
sa fortuna s’accumpangidi in is disigius,
in beccesa s’inci porti custa strada,
in d-onnya ora s’abarinti is fastigius.74


Sa sposa cun su babbu
a cresia bàndanta.
Su sposu sezziu a cuaddu,
is parentis cantanta.75



Si scambianta i goneddus,
is isposus in s’altari.
Promittinti cun is fueddus,
po sempri seus in pari.76



Finia sa cerimonia,
ci bessinti a brazettu,
inghizza sa baldoria
e cantus a mutettu.77



74  Ogni passo fatto assieme mano nella mano
la fortuna vi accompagni coi vostri desideri
in vecchiaia queste strade vi accompagnano
ogni ora la passiate col corteggio.


75  Il padre alla sposa
in chiesa l'accompagna
col cavallo lo sposo la raggiunge
i parenti li seguono cantando.


76  Si scambiano gli anelli
gli sposi sull'altare
con parole si fanno la promessa
che per sempre si dovranno amare.


77  Dopo la cerimonia
escono a braccetto
comincia la baldoria
con canti a mutetto.


Arrunzus cun su trigu
e folla de arrosa,
su ritu prusu antigu
po mama de sa sposa.78


Cun su sposoriu fattu
augurius pru diciosus,
seganta poi su prattu
in peis de is isposus.79



Arrunzus po is isposus
in strada trassigiada,
in usu in custus logus
po sorti disigiada.80



In domu de su sposu
sa mama ddu s’imprassada,
momentu pru gioiosu
e prattu ddi s’izaccada.81






78  Lanci di frumento
con petali di rosa
il più bel momento
per la madre della sposa.


79  A fine cerimonia
gli auguri fortunati
e senza parsimonia
si rompono anche i piatti.


80  Arrunzus per gli sposi
sulle strade in processione
per gli auguri generosi
come vuol la tradizione.

81  In casa dello sposo
è la madre che li abbraccia
nel momento più gioioso
per augurio il piatto spacca.


Beni benius a domu osta,
s’accumpangi s’alligria,
in fortuna beni posta,
po festa in cumpangia.82




S’est regina nura mia,
in gust’omu de arrickesa,
guvernadda cun alligria
e no timasta arravesa.83






Saludanta is isposus,
sa bidda a su cumpletu,
usanza de is logus,
po dimostrai s’affetu.84














82  Benvenuti a casa vostra,
vi accompagni l'allegria
con fortuna ben disposta
per la festa in compagnia.


83  Sei regina nuora mia
in questa casa di ricchezza
governa in allegria
senza offender la saggezza


84  Salutavano gli sposi
i paesani al completo
gli usi più pomposi
per dimostrar l'affetto.




Sa genti de famiglia,
su prangiu at preparau,
traballanta in pariglia
cun amigus de costau.85


Sa mesa apparicciada
cun is pru bellas cosas,
sa tialla ricamada
e mazzus de arrosas.86



Costeddas e coccois,
ponianta in sa mesa,
proceddus e angionis,
in mesu a sa rickesa.87



Bella sa malvasia,
arruncanti su muscadeddu,
allirga cumpangia,
buffendi binu nieddu.88



85  La gente di famiglia
il pranzo ha preparato
lavoravano in pariglia
con amici di costato.


86  La tavola apparecchiata
con le più belle cose,
tovaglia ricamata
e a mazzi ,delle rose.
87  Focacce con coccois
in tavola mettevano
porchetta con angionis
nel mezzo l'arricchivano.


88  Buona la malvasia
ma il moscato è più sincero,
allegra compagnia,
bevendo vino nero.


Su babbu de su sposu
cun sa mulleri accanta,
prangendei de su gosu,
sa genti ringrazianta.89


Custa dìe bella
po sa familia nosta,
abarri sentinella
po sa vida osta.90



Is sobarius sempri prenus
de trigu e d-onnya lori,
saludi kena frenus
si bista cun amori.91



E totu custa genti
saludu in sentimentu,
est’istada cumpraxenti
po fai custu momentu.92









89  Il padre dello sposo
con la consorte accanto
il saluto gaudioso
lo porgono col pianto.


90  Questa giornata bella
per la famiglia nostra
rimanga sentinella
nella vita vostra.


91  I solai sempre pieni
di grano e di provvista
salute senza freni
l'amore guardi a vista







Su prangiu ddu finianta
cun du rirtu stranu,
is ki ddu bidianta,
naranta fu paganu.93


Una coppia travestida,
contada custu fattu,
de atesu fu benida
po portai s’utimu prattu.94



Abertu su fagottu,
su sposu s'ispantàda,
e ci ddi tirà tottu,
cumenti s’inciandada.95






92  E tutta questa gente
saluto in sentimento
è stata compiacente
per creare quest'evento.


93  Il pranzo terminava
con un rito strano
per chi partecipava
il rito era pagano.


94  Una coppia camuffata
raccontava questo fatto
da lontano era arrivata
per portar l'ultimo piatto.


95  Aprendo il fagotto
lo sposo è in meraviglia
addosso glielo ha rottO
scappando in parapiglia.









Cun ballus e cantus,
sa festa poi sighiada,
no amancanta is prantus,
pò ki si cummoviada.96








































96 Con balli e canti
la festa procedeva
non mancavan pianti
per chi si commuoveva.








CAP 6


Il Nubifragio


La luna di miele, gli sposi, l'avevano trascorsa sistemando la casa secondo i criteri che più erano congeniali a Gaia.
Zuanny la lasciava fare, in fondo era lei la padrona di casa ed il buon gusto non le mancava.
Avevano abbandonato ogni sorta di schema paesano nella disposizione delle cose, lasciando spazio alla praticità, necessaria per svolgere una vita non più strettamente connessa all'attività contadina.
La cucina era l'unico ambiente che avevano lasciato secondo le tradizioni, con un grosso camino con due grossi gradini sui lati per contenere tutta la famiglia. I tavoli erano quelli del primo matrimonio, li aveva comprati Zuanny prima di sposarsi la prima volta: Gaia aveva ritirato tutte le stoviglie della bonamma97 e le aveva sostituite con le sue.
Anche la camera del bambino era stata stravolta: avevano messo un letto grande e un armadio a specchio che tzia Pietrina gli aveva regalato: le tende erano state ricamate con colori molto vivaci per dare all'ambiente un tono di allegria.
Nella stanza destinata a laboratorio, Gaia aveva voluto metterci un grosso armadio per contenere tutti i suoi lavori finiti e delle cassettiere per metterci dentro i materiali per le tessiture. Non aveva voluto portarsi i tappeti antichi di sua madre, per il momento voleva arredare la casa esclusivamente con le sue tessiture, nel futuro avrebbe pensato ai ricordi di famiglia. Aveva lasciato da sua madre anche la bisaccia di Lorenzo.


















97 Buonanima.





Tutta la casa aveva preso un'altra conformazione e Gaia l'aveva personalizzata a sua immagine e somiglianza. Aveva pensato lei anche alla sistemazione della camera del bambino, era un impegno morale al quale non voleva sottrarsi; quel bambino era molto trascurato, solamente il nonno lo portava con sé per farlo divertire: lo faceva montare in groppa all'asinello e lo portava nell'orto dove poteva anche farlo correre.
Al bambino piaceva sentirlo ragliare ma il povero vecchio bestiolo lo faceva raramente e negli orari stabiliti.
«Perché raglia solo al mattino?»
«Raglia al mattino alle sette per avvertire i bambini che si devono alzare per andare a scuola, l'anno prossimo anche tu dovrai andare a scuola e ti sveglierà l'asinello!»
«Anche tu nonno andavi a scuola da bambino?»
«Io non sono andato a scuola, ai miei tempi non si usava, i bambini allora andavano a pascolare i buoi.»
«Perché io non vado a pascolare i buoi?»
«Ci andrai se Dio vuole, ma prima devi essere istruito, così capisci bene le cose.»
Il bambino discorreva sempre a lungo col suo nonno, era l'unica persona che riusciva a farlo parlare, mentre con gli altri faceva fatica ad essere spontaneo: con Gaia c'erano sfide continue fatte di sguardi, lei voleva essere gentile e autorevole ma finiva sempre con essere autoritaria. Perché negli sguardi che si incrociavano si leggeva sempre una mal tolleranza reciproca.
In fondo, il bambino era l'unico che ci aveva rimesso con quel matrimonio.
Pensavano tutti di ridare una madre al bambino e gli avevano procurato solo danno: avevano stravolto la casa intera, la sua camera completamente modificata e costretto a vivere con una









madre putativa che non lo metteva a suo agio; il padre era sempre in campagna e non lo vedeva mai; la nonna quando veniva in quella casa parlava solo di lavori di tessitura.
Il padre gli prometteva sempre che un giorno lo avrebbe portato con sé in campagna per fargli vedere come pascolavano i vitellini.
Quel giorno non arrivava mai, i vitellini stavano diventando adulti e lui sempre costretto a giocare da solo in quella veranda sconfinata.
Gaia lo rimproverava quando strofinava le ginocchia sul pavimento perché si rompeva i pantaloni, lo sgridava se rincorreva le galline e lo minacciava di dire tutto a suo padre se lanciava sassi dove c'erano i buoi.
La tristezza di questo bambino si leggeva nei suoi occhi, non lasciava mai trasparire un'espressione di contentezza, anche se poi era sempre ubbidiente e non contrariava mai nessuno, era solo molto triste.
Il 13 giugno, giorno di S. Antonio, suo padre gli promise che il giorno dopo lo avrebbe portato con sé nell'aia, per fargli vedere la trebbiatura del grano.
Questa promessa lo mise di buonumore e gli creò tanta agitazione da non farlo dormire tutta la notte.
Era il periodo della mietitura e tziu Nando Porcu doveva posizionare la trebbiatrice nella loro aia, situata dall'altra parte del fiume, per trebbiare i covoni di grano che suo padre ci aveva ammassato.
Subito dopo pranzo lui e suo padre si avviarono verso il fiume, all'altezza di Sebiada98 dove c'erano posizionati dei massi di pietra dentro l'alveo per consentire alle persone di attraversarlo





















98 Una località del fiume.




saltellandoci sopra, lo fecero anche loro divertendosi molto.
Operazione molto divertente per il bambino: fino ad allora non aveva mai visto così da vicino il fiume e non gli sembrava vero di poter toccare l'acqua coi piedi camminando su quei sassi.
Subito dopo il guado bisognava imboccare un sentiero che costeggiava le aie dei vari proprietari arradesi dove ammassavano il grano mietuto nei vari campi prima di essere trebbiato.
Era uno spettacolo vedere come i covoni di grano venivano inghiottiti dalla trebbiatrice, e questa sparava in aria la paglia e buttava i chicchi nei sacchi appesi alle bocche d' uscita del grano.
La gente era concitata come in una grande festa, gli operatori cercavano di comunicare fra loro con urla sonore sovrastate dal rumore assordante della trebbiatrice: Angelo avvinghiato alle gambe del padre per la paura e per l'eccitamento, credeva di vivere in un sogno.
Vicino all'aia di Zuanny ce n'erano altre con grossi mucchi di covoni pronti per essere trebbiati: nel giro di pochi giorni la trebbiatrice l'avrebbero trasferita in un'aia vicina per trebbiare il grano di altri proprietari già ammucchiato in covoni.
Era solo metà giugno e il periodo della mietitura era appena incominciato: i contadini arradesi, mano a mano che mietevano, trasportavano i covoni nelle aie per la trebbiatura e poi c'era s'incungia”99, il ricovero del grano nei solai delle case; era questa la vera festa dell'agricoltore, quella di avere il grano al sicuro in casa, il lavoro di un anno intero.
Quel giorno solo due massari100 avevano terminato la trebbiatura e avevano il grano al sicuro nei loro granai, gli altri


















99 Ricovero del raccolto nel solaio di casa.
100 Proprietariterrieri.





ce l'avevano ancora nei campi da mietere o nelle aie da trebbiare: vera preoccupazione per tutti se arrivasse una tempesta o un incendio.
A poca distanza dell'aia di Zuanny scorreva il fiume calmo e tranquillo e per la scarsità d'acqua che trasportava e per l'ampiezza dell'alveo su cui scorreva, tant'è che si poteva attraversare facilmente in alcuni punti saltellando su grossi massi sistemati appositamente nell'alveo.
In alcuni tratti l'acqua stagnava anche abbondantemente per la presenza di grosse buche, che formavano ampi bacini (carropus101), che consentivano al bestiame di abbeverarsi e ai ragazzini di farsi delle belle nuotate nelle ore calde della giornata: a meigama102.
Quel giorno, il caldo si faceva sentire in maniera eccessiva e afosa, l'aria era pesante, irrespirabile, il lavoro della trebbiatura, pesante e polveroso, faceva sentire maggiormente il caldo.
Il padrone della trebbiatrice, zio Nando Porcu, diceva che quel caldo eccessivo gli dava il presentimento di una brutta tempesta d'acqua e faceva notare che il cielo si stava già annuvolando.
«Angelo, andiamo via prima che ci travolga la tempesta» disse Zuanny al suo bambino mentre se lo caricava a cavalcioni sulle spalle.
Nel frattempo un tuono assordante fece tremare il suolo dove stavano e dei goccioloni d'acqua incominciarono a scendere dal cielo con una violenza inaspettata. Tuoni e lampi si alternavano come in un gioco di fuochi furiosi d'artificio: la trebbiatrice si fermò di colpo e un fuggi fuggi di persone rese, presto, l'aia deserta.
I ragazzi che nuotavano nel fiume scapparono via nudi per lo
























101 Bacini. 102 Oramedia,quellapiùcaldadellagiornata.










spavento, lasciando i vestiti sul bordo del bacino che si stava già ingrossando; Zuanny col bambino sulle spalle correva per attraversare in fretta il fiume prima che l'onda coprisse i massi che fungevano da ponte.
Proprio in quel frangente Zuanny, col bimbo in groppa,era scivolato sui massi nell'acqua cadendo nel fiume; Angelo gli era sfuggito dalle mani e la corrente lo aveva trascinato oltre le cascata di Sebiada.
All'altezza de su lisu103, dove c'era un grosso bacino, la corrente non era forte e il bambino venne pescato al volo da Enrichetto Barreddu il quale seguendo la scena a distanza, corse in aiuto.
Angelo annaspava nell'acqua terrorizzato dalla furia di quel nubifragio e in men che non si dica il prodigioso Enrichetto mise il bambino nelle braccia del padre.
«Deus ti ddu paghidi Arricchettu!»104
«Deus paga totu, fradi caru.»105
Il momento era drammatico e preoccupante, il fiume continuava a ingrossarsi e la pioggia furiosa non tendeva a diminuire: Zuanny riuscì a risalire l'argine del fiume e avviarsi verso la casa dei suoi genitori.
Nelle strade si erano riversate le donne che avevano i loro mariti in campagna e non riuscivano a rincasare.
Molti tetti delle case erano crollati, il fiume si era ingrossato a vista d'occhio e i ruscelli, affluenti del fiume, che scendevano dagli altipiani arradesi contribuirono ad ingrossare ulteriormente il fiume.
Il rigolo cocciobedda106, trovando otturato l'imbocco nella


















103 Localitàlungoilfiumecolfondaleliscio.
104 DiotelopaghiEnrichetto.
105 Diopagatuttofratellocaro.









galleria, era uscito sulla strada versari107, trascinando verso il fiume ogni cosa. Nella casa di Benigno Nacarru, che aveva ricoverato il raccolto nel suo solaio proprio quel giorno, l'ondata malefica glielo spazzò via in un baleno.
Le case che si trovavano a ridosso del fiume vennero letteralmente spogliate di tutto ciò che contenevano.
Anche tziu Luzifuru Scrutzu, che si era vantato di essere riuscito, per primo, a portarsi al sicuro il raccolto dell'anno, il fiume glielo aveva portato via interamente, assieme a dei capi di bestiame ricoverati nella stalla.
Una catastrofe, mai conosciuta prima, aveva impoverito un paese già immiserito dalla guerra, finita da poco tempo: le famiglie più colpite erano state quelle che vivevano a ridosso del fiume, non solo erano state spogliate del raccolto dell'anno ma anche degli attrezzi ed oggetti necessari alla sopravvivenza stessa: a tzia Maddalena Carta aveva portato via persino il telaio con tessiture in lavorazione. Altre volte, prima del ventotto, quando ancora non esisteva l'alveo del fiume, tutte le volte che pioveva abbondantemente, l'onda alta entrava nelle case adiacenti e le ripuliva senza complimenti, ma un cataclisma di simili proporzioni non si ricordava a memoria d'uomo; i danni che aveva provocato non si limitavano agli abitanti della riva del fiume ma a tutto il paese e la campagna circostante: le case coi tetti precari crollarono al primo impatto del nubifragio, altre più resistenti crollarono successivamente per l'intensità della furia della pioggia.
Un paese traumatizzato da una tempesta furiosa che ridusse alla fame moltissime famiglie, ma Arradeli non si arrese, si strinse in una solidarietà fraterna per aiutare le famiglie più colpite a






106 Affluente del fiume Rio Mannu.
107 La strada che copriva il ruscello che attraverso una galleria arrivava al
fiume.



vivere anche senza raccolto.
I contadini più abbienti organizzarono una questua, chiamata sa scicca de su trigu108”, da devolvere in favore delle famiglie più colpite dalla malasorte.
La famiglia Algheri devolse la metà del suo raccolto in favore di questa iniziativa.
Tzia Pietrina fece portare il bambino in cucina, fece accendere il fuoco dal marito per far asciugare in fretta il bambino e mettergli indumenti asciutti.
«Prendi fieno e numannu109 dal fienile che bruciano in fretta,» disse al marito, il quale accese non solo il fuoco nel camino, ma anche nel forno che si trovava in cucina. «Bisogna scaldare tutto l'ambiente, altrimenti a questa creatura viene la febbre, vedo che sta già tremando!»
Tzia Pietrina aveva tolto al bambino i vestiti zuppi di acqua e fango, lo aveva fatto asciugare davanti al fuoco e con gli indumenti asciutti e una tazza di latte di pecora bollente lo aveva costretto a mettersi a letto: più tardi erano entrati in quella stanza Zuanny con Gaia, si avvicinandosi al bambino avevano notato che aveva la fronte molto calda.
«Sarà il calore del fuoco, aspettiamo un altro po'» aveva detto tzia Pietrina con preoccupazione.
Tutti quanti erano preoccupati perché la febbre piano piano saliva e il bambino incominciava a delirare: tzia Pietrina aveva mandato a chiamare tziu Ballore Cauli, vicino di casa, saggio e sapiente, il quale era arrivato immediatamente.
«Zuanny! Chiama dottore Scano, il bambino non mi piace» aveva detto Gaia molto preoccupata.












108 Laquestuadelgrano.
109 Nodi di congiunzione dello stelo delle fave che veniva usato, dopo
l'essiccatura, per accendere il fuoco.






Zuanny non se l'era fatto dire due volte, era uscito immediatamente ed era ritornato assieme al dottore dopo pochissimo tempo.
Dopo una lunga ed attenta visita e dopo un interminabile silenzio, il dottore aveva pronunciato solo due parole: polmonite bilaterale.
«Cosa vuol dire?» disse tziu Angelico.
«Dabori de costau»110 rispose Zuanny disperato.
«Ci vorrebbe la penicillina, ma bisognerebbe andare a Cagliari a prenderla e non credo che questo fanciullo la possa reggere, è un farmaco pesantissimo, è meglio aspettare che reagisca naturalmente, siamo nelle mani di Dio.»
Come sentì queste parole il nonno cominciò a urlare disperato: «Che male ha fatto nella vita questo bambino, “ita mali at fattu custu pipieddu miu111”, e tu Gaia, potevi impedire a Zuanny di portare il bambino nell'aia questo pomeriggio, che matrigna sei?»
Gaia per non mancargli di rispetto non gli rispose neanche e se ne andò fuori dalla stanza e non gli rivolse più la parola.
«Figlia mia! È preoccupato per il bambino, Angelico non sa controllare, perdonalo!» intervenne tzia Pietrina.
«Mamma, mamma, mammaaa...» delirava il bambino, la febbre saliva e un po' scendeva ma il delirio era continuo, le convulsioni si alternavano con l'alzarsi e l'abbassarsi della febbre, tzia Pietrina gli applicava dei panni freschi sulla fronte e gli bagnava le labbra con un panno bagnato, come le aveva consigliato il medico, anche lei fremeva dalla preoccupazione ma non lo dava a vedere, gli uomini di casa sua erano tutti
























110 Broncopolmonite.
111 Chemalehafattoquestobambinomio.




emotivamente fragili, se avessero notato la sua debolezza sarebbero esplosi istericamente tutti assieme.
Fra una convulsione e l'altra e picchi di febbre altissimi, passarono la nottata tutti accanto al bambino delirante: chiamava solo la mamma, voleva andare da lei.
Tzia Pietrina si rendeva conto che la situazione era molto grave e come aveva detto il medico, bisognava mettersi nelle mani di Dio, ma lei non voleva accettare un'altra sconfitta, non aveva ancora dimenticato la scomparsa della mamma del bambino che adesso doveva aspettarsi ancora di peggio.
Quella mattina stessa mandò a chiamare l'altra nonna del bambino che abitava a Ruinas ma era originaria di Sedilo.
Venne immediatamente col postale di S. Gavino, vestita ancora col costume del suo paese d'origine e uno scialle nero in testa per il lutto di suo marito, venuto a mancare subito dopo la morte della figlia.
«Ita tennis fizu meu?»112 Gli prese la mano e pianse in silenzio.
Sua figlia stava chiamando il suo bambino dal cielo, lo voleva con lei, e lui voleva solo la sua mamma, non aveva mai accettato la sua scomparsa.
Anche Gaia tornò assieme a sua madre a salutare il bambino, ma non rivolse la parola a nessuno, neanche a suo marito, era troppo offesa per le parole del suocero, diede la mano alla madre de sa bonamma e la invitò a casa sua, poi se ne andò.
Non passò inosservato il comportamento di Gaia, quello era un momento che richiedeva di rimanere tutti assieme in quella stanza e fu proprio tzia Costantina a correrle dietro pregandola di rimanere, quell'angioletto stava volando in cielo: non doveva ascoltare gli spropositi del vecchio nonno e fu così che si















112 Cos'haifigliomio?





sedette in disparte accanto a sua madre ad aspettare quel momento che nessuno avrebbe mai voluto vivere.
Con un ultimo gemito Angelo chiamò sua mamma e volò da lei in cielo.
Zuanny prese il suo bambino in braccio e lo sollevò verso il cielo: «Perché Dio mi hai fatto questo, perché? Mi hai tolto il respiro, la vita mia, il senso della vita mia, come devo fare senza il mio bambino? Angiuleddu miu, angiuleddu miu...»113
Girava col bambino in braccio per tutta la casa, i nonni erano tutti e tre sconcertati e affranti ma non sapevano cosa dire.
Alla vestizione del piccolo cadavere pensò Gaia, gli mise il vestito da ometto indossato per il loro matrimonio e lo depose sul letto rivestito di drappi ricamati, corredo della mamma del bambino.
Per volontà della nonna materna rivestirono l'intera stanza di arazzi e tappeti di quel corredo, erano tessiture mogoresi che rappresentavano fiori e figure angeliche dai colori cangianti, come fossero stati fatti per quell'occasione.
Tutto quel corredo prezioso non era mai stato messo in mostra, sa bonamma non era una donna esuberante e non amava mostrare le sue cose: quel corredo così ricco e caratteristico, glielo aveva fatto fare sua madre a Serzala, più per rispettare le tradizioni popolari che per esigenze personali.
Lei stessa quando l'aveva visto in mostra tutto assieme, aveva detto a Gaia: «Tienilo tu questo corredo io non ho eredi.»
«Io non posso accettare questo corredo, a parte che non riuscirò mai a consumare neanche il mio, poi ho pure quello di mia madre, ma in ogni caso è giusto che questi lavori ritornino alla famiglia originaria.»


















113 Angioletto mio, angioletto mio.





«Vorrei solo che in questa casa rimanesse traccia del passaggio di mia figlia e del suo bambino, se questo non volete che accada, lascerò tutto alla chiesa, per il momento è servito ad allestire la stanza da dove questo angioletto ha spiccato il volo per andare dalla sua mamma, il resto conta poco.»
Le due nonne vestite a festa con i costumi d'allegria, perché per i bambini non si portava il lutto, intonarono, alternativamente, il canto de s'attitidu114: prima la nonna materna poi quella paterna alzarono il loro canto solenne commuovendo la folla che partecipava al funerale.







«Fizu de coro meu
dae mama sesi annadu
a sa oghe de su ceu
tue asi iscurtadu.1


No potu tenni assentu
in custa nefasta die
no passat su momentu
ki deo no pensu a tie.2














Anghelu! Dae mamma ses partidu
ponende a babbu tuo in sa tristesa,
su logu at lassadu allikididu
sena tennere contu de s'ispesa.3




Arradeli cun arradesa zente
benidos po custu fizu amadu
vos ringratziu po essere presente
in s'ora ki s'anghelu est ispiobadu.4




Como ca ses prontu po partire
e sa zente ti cheret saludare,
a nos ki tui bies sufrire
cumente nos debimos consolare.»5






















tzia Pietrina sentendo la sua ex consuocera salutare il bambino col suo attitidu, diede anche lei sfogo, a quel dolore represso, col suo pianto antico.


«Fillu miu, fillu miu
t'inci sesi andau,
lestu, lestu ses partiu
e no at mancu saludau.6




A babbu tuo affrantu
at lassau tristu e afrigiu,
cun dolorosu prantu,
iscuru fillu miu.7




Pipieddu miu gioiosu
sa prenda de innocentia
pipieddu miu diciosu
tui m'at lassau dolentia.8












In custa die scuriosa
cannuga de dolentia,
obrescia dolorosa
e iscurigada cun avvilentia.9




A babbu ki ddu cittidi
in custu prantu dolorosu
sa vida sua scummittidi
po su fillu suo gioiosu.10




A nonnu beccitteddu
ca no ddi parri beru
po custu pipieddu
ddi beni disisperu.11




















Angiuleddu miu gioiosu
sa luxi de sa vida
spacciau est d-onnya gosu
in d-onnya die nodida.12




Sa vida nosta intera
ariseu s'est consumada,
d-onnya primavera
po nosu est ispacciada.13


































Zuanny miu sconsolau
at perdiu s'alligria
cun su coru scramentau
no tenni pru genia.14




A mamma dda cicasta
in s'ora de crocai
D-onnya orta dd'invocasta
narendi de torrai.15




O nura mia bonamma
impari a su pippiu
tui ca sesi bella mamma,
miraddu a fillu miu.»16




















Gaia ospitò a casa sua l'ex suocera di Zuanny, era molto provata dagli ultimi dispiaceri, nel giro di due anni le erano morte tre persone care: la figlia, il marito e il nipotino.
Era una donna di Sedilo, di nome Pasqualina, ma di soprannome la chiamavano “sa cabilla131”, aveva sposato in seconde nozze un proprietario terriero originario di Serzala ma si erano stabiliti a Ruinas per le proprietà che aveva in quel territorio.
Si era fermata in casa di Gaia per guardare quel che era rimasto del corredo della figlia, perché secondo gli usi locali, quando moriva una sposa e non lasciava eredi, il corredo doveva ritornare alla sua famiglia.
Tzia Pasqualina si era presa solamente un lenzuolo di lino, tessuto in casa e ricamato da lei, lo voleva per il suo ultimo viaggio.
«Vorrei regalare is cilonis e is poribangus132 alla chiesa, così quando celebreranno delle cerimonie importanti, chi li riconoscerà penserà a mia figlia. Gli arazzi usali tu Gaia, sono stati fatti a Serzala, il paese di mio marito.»
«Io vorrei consumare il mio corredo, non vi offendete, magari lo possiamo mettere per un po' nella camera di Angelo, poi si vedrà. Le bisacce e is guturadas le faccio usare a Zuanny.»
«La bisaccia de totu mosta133, vorrei che la tenessi tu, quella la regalai io a mio marito, quando ci sposammo, me la feci tessere qui ad Arradeli, allora qui c'era una donna specializzata per quei lavori, al mio paese non c'era questa usanza, le bisacce da noi, si usavano solo da mettere in groppa ai cavalli per andare in campagna ma non ricamate come le vostre: per questo












131  Barbaricina.
132  Coperteecopritavoli.
133  Tutta ricamata.












preferisco che questo gioiello di tessitura rimanga nel paese dov'è nato; custodiscilo tu Gaia, te ne intendi e potrai darlo ai figli che avrai.
Intanto puoi far vivere questa roba, dato che mia figlia non è riuscita, è un peccato farla marcire in una cassa.»
«Farò del mio meglio tzia Pasqualina, vi ringrazio del vostro buon cuore e della vostra generosità, voi cercate di stare bene e venite a trovarmi quando volete.»
«Dio ti ricompensi tutte le opere, fiza mea.»134 La vecchia cabilla si congedò col suo lenzuolo avvolto nel
grembiule ringraziando ripetutamente Gaia.
Erano giorni tristi per la famiglia Algheri, Zuanny usciva presto per la campagna salutando a malapena, i suoi vecchi suoceri erano ancora sconvolti per l'improvvisa scomparsa del bambino.
Il nonno si svegliava nella notte urlando e piangendo.
Per loro era cambiata la vita. Prima la loro giornata era organizzata in relazione ai bisogni del bambino che riempiva la loro casa con la sua presenza.
Tziu Angelico era nervosissimo, sembrava addirittura che ce l'avesse con Gaia, come se lei fosse stata la responsabile delle disgrazie della famiglia.
In questo clima di tristezza e soprattutto di mancanza di dialogo in famiglia, Gaia non ebbe il coraggio di dire a nessuno, neanche al marito, che aspettava un bambino.
Aveva deciso di andare in casa della suocera e farglielo almeno capire.
Tziu Angelico si parò davanti come per impedirle il passo: «Il


















134 Figliamia.












mio bambino è morto per colpa tua, cosa mi dovevo aspettare da una figlia di madre buona che sei!.»
Gaia a queste parole si sentì rizzare i capelli, un simile insulto non se lo sarebbe mai aspettato.
«Il bambino non è morto per colpa di nessuno e tanto meno mia e non sono disposta a tollerare simili ingiurie e se succederà ancora vi taglierò il rispetto.»
Tziu Angelico alzò il baculum che aveva sempre in mano e la colpì sulle spalle: Gaia si voltò di scatto, lo prese per il collo della giacca e con uno scossone lo scaraventò a terra.
«Voi dovevate morire vecchio imputridito, non il bambino.»
Tzia Pietrina assistette paralizzata a questa scena, non le uscì di bocca neanche una parola e fu proprio l'inerzia di questa donna a sconcertare ancora di più Gaia.
La suocera era stata sempre dalla sua parte in ogni circostanza, ora invece l'aveva vista come una nemica, col suo atteggiamento l'aveva fatta sentire come se lei davvero fosse la responsabile della morte di Angelo.
Gaia era scappata via da quella casa senza aggiungere una parola, dirigendosi da sua madre, aveva bisogno urgente di raccontarle tutto. Come sempre era l'unica confidente che l'avrebbe ascoltata con attenzione e avrebbe trovato una soluzione a questo problema drammatico. Sapeva già cosa le avrebbe risposto, ma aveva bisogno di vederla e soprattutto di sentirla.
«Mamma! Sapeste cosa mi è successo!» le aveva detto ansimando mentre entrava in veranda dove sua madre era seduta su uno scranno.
«Calmati prima! Sei agitatissima, beviti un bicchiere d'acqua, poi mi racconti.»














Si era alzata lei stessa per prenderle un bicchiere d'acqua dalla brocca che aveva in un incavo nel muro della veranda stessa.
«Cosa può essere successo di più grave di quello che già è successo?.»
«Non lo so neanch'io quello che sta succedendo, io sono così confusa che non riesco a capire come possano succedere cose così assurde!
Dopo che è partita tzia Pasqualina, sono andata a trovare i miei suoceri perché volevo renderli partecipi del fatto che sono incinta....»
«Io lo devo sapere in questo modo che aspetti un bambino?.»
«Mamma, non lo sa neanche mio marito ancora, oggi volevo dirlo a tutti e avevo deciso di dirlo subito ai miei suoceri per tirali un po' su di morale, dato che non riescono a fare altro che piangere!
Mai mi fosse venuta in mente questa iniziativa! Come sono entrata in casa loro, mio suocero mi ha subito aggredita accusandomi di essere stata la responsabile della morte del bambino, perché non ho impedito a Zuanny di portarlo nell'aia il giorno del nubifragio.»
«Gaia! È gente traumatizzata dal dolore, bisogna lasciarli parlare e basta.»
«Dici bene, lasciarli parlare e basta, ma mi ha percosso col baculum e dopo non ci ho visto più, l'ho preso per il collo e l'ho scaraventato al muro, sua moglie, che ha assistito a tutta la scena, da quando mi ha insultato e poi percosso, non ha detto una sillaba, brutta vecchiaccia! Meno male che mi voleva bene, Gaia di qua, Gaia di là, e adesso muta come un pesce, non lo ha visto il marito che mi ha percosso?»
«È sempre suo marito e viene prima di te, e poi gli hai tagliato il rispetto!






















Nella mentalità antica, mancare di rispetto a una persona anziana non era accettabile, lo scostumato veniva tagliato fuori da ogni rapporto; ecco perché lei non ti ha difeso ed entrambi non ti parleranno più. La cosa che devi fare subito è correre da tuo marito a spiegargli come sono andate le cose, prima che lui vada dai suoi genitori e gli diano una versione dei fatti diversa dalla tua.»
In effetti quando Gaia tornò a casa sua per parlare col marito, lui era dai suoi genitori, i quali, come aveva previsto sua madre, avevano riferito al figlio che quel povero vecchio era stato insultato e malmenato da quella figlia di buona donna...
Zuanny non aveva fatto fatica a credere a sua madre, prendeva sempre le difese di Gaia, anche quando aveva torto, se ora se l'era presa con lei, doveva averla combinata grossa. Era andato via dalla casa dei genitori furibondo, non poteva credere a quello che aveva sentito, prendersela con quei poveri vecchi non aveva proprio senso.
Come era entrata nel cortile di casa sua, Gaia gli era venuta incontro con un sorriso forzato.
«Hai pure il coraggio di ridere?» le aveva detto mollandole un ceffone, con tutte le forze, in pieno viso.
«Allora questo è un vizio di famiglia! Ma con me non funziona, se ha funzionato con la tua bonamma, con me hai sbagliato indirizzo, perché con me hai finito ogni rapporto.»
Aprendo il portone di casa era uscita urlando: «Non osare cercarmi, perché oggi sei diventato nuovamente vedovo, io sono già morta per te.»




























Gaia era tornata a casa di sua madre, non volendo più vedere Zuanny, né la sua famiglia, nonostante le insistenze di tzia Costantina per farla ritornare dal marito.
«Se non lo vuoi fare per te, fallo per la creatura che deve venire al mondo.»
«Proprio per lui lo voglio fare, non voglio che abbia a che fare con quella famiglia di animali, che nasconde dietro una corazza di bontà quella cupidigia schifosa che annienta le persone, non voglio che mio figlio viva con quelle persone, meglio fare la fame che ostentare benevolenza.»
Diverse volte Zuanny aveva cercato di andarla a trovare, ma lei lo aveva respinto sempre: lei non era andata in casa Algheri neanche quando era morto tziu Angelico e non aveva voluto riprendersi neanche la sua roba dalla loro casa. Non ci era andata neanche tzia Costantina, voleva sostenere sua figlia in quella difficile vicenda. Quando era nato il bambino non aveva avvisato né Zuanny, né sua suocera.
Gaia aveva ripreso a tessere col telaio di sua madre, il lavoro non le mancava, questo le serviva per sostenersi finanziariamente e per distrarsi dalla brutta situazione che stava vivendo.
La sua vita era costellata solo di errori, tutte le volte che in quella casa era comparso un uomo, all'infuori di Lorenzo, aveva provocato solo danni.
A partire dall'uomo che aveva violentato sua madre fino a Zuanny, non c'erano stati che guai in quella casa, ora voleva cambiare registro e dare un'impronta diversa alla sua vita e a quella di suo figlio. Per il momento era ancora piccolo ma nell'età scolare voleva portarlo in città per farlo studiare e abbandonare quella miseria intellettuale del paese.
Vivere in un centro così piccolo come Arradeli rendeva difficile scrollarsi di dosso le vecchie mentalità che minavano la vita


















stessa delle persone; continuare ad accettare la violenza occulta sulle donne significava tornare a vivere nel medioevo. Si rendeva conto che questo risultato poteva derivare solo da un'educazione ab origine e che i bambini dovevano assimilare quando ancora erano in fasce i principi del rispetto reciproco fra le persone. Il suo Renzino era ancora molto piccolo, non ancora in grado di percepire la mentalità arcaica di quel paese, di cultura conservatrice dei principi tradizionali e consuetudinari che non consentiva l'accettazione dell'evolversi del progresso. Il desiderio di Gaia era quello di cambiare il decorso storico, nel suo paese, dell'accettazione della violenza, soprattutto da parte delle donne. Bisognava estirpare questa mentalità gretta che si annidava nella mente delle persone e lei voleva fare la sua parte per il suo Renzino. Per fare questo doveva mandare a scuola suo figlio in un centro urbano cittadino che lo obbligasse da subito a rispettare gli altri.
Questo programma di vita pensato da Gaia per suo figlio le imponeva di accantonare dei risparmi per poterlo realizzare a tempo debito.
Di questi suoi desideri, Gaia parlò con sua madre, la quale non condivideva l'iniziativa di trasferirsi in città per far studiare suo figlio.
Lei aveva passato tutta la vita ad Arradeli, non era mai andata a scuola eppure aveva cresciuto lo stesso due figli.
Avevano fatto anche le scuole nuove ad Arradeli e non bastavano più per acculturare i ragazzi?
Secondo tzia Costantina, i ragazzi vogliono andare a scuola per non andare a pascolare il bestiame, ma qualcuno lo dovrà pur fare quel lavoro.
La verità era che se lei avesse assecondato le iniziative di Gaia, avrebbe finito la sua vecchiaia da sola senza avere accanto la sua famiglia.




















La cosa che la incoraggiava, per il momento, era il fatto che il bambino era ancora molto piccolo e doveva rimanere per forza, ancora per qualche anno, accanto a lei.
Avere quel bimbo intorno a lei le faceva provare una sensazione che non provava da quando era piccola Gaia. Non tutte le disgrazie vengono per nuocere: nonostante quel cataclisma che aveva distrutto due famiglie, con quel bambino a casa sua era entrata una nuova ventata di allegria.
In un caldo pomeriggio d'estate tzia Pietrina aveva fatto visita a casa di Gaia per vedere il bambino.
«Perdonate la mia intrusione, ma era da tanto tempo che volevo venire a trovarvi: Gaia! Cos'è successo in casa nostra? La fine del mondo?»
«Vorrei farvi la stessa domanda! Cosa è successo mamma Pietrina? Sono stata io a causare tutto questo? Così sosteneva vostro marito, mi aveva attribuito persino la colpa della morte di Angelo, per questo mi ha malmenato sotto i vostri occhi e voi non avete alzato un dito, eppure potevate fermarlo, pendeva dalle vostre labbra: ho fatto bene, quindi, a togliere il disturbo!»
«Io quell'episodio ce l'ho sempre davanti ai miei occhi, non sono riuscita a dire una parola perché ero sconvolta per quello che era successo, sono rimasta ammutolita per lo sconcerto. Tu poi eri scappata, era successo tutto in pochissimo tempo, senza lasciarmi il tempo di rendermi conto. E come facevo a contrariare mio marito? Ci avrebbe ammazzati tutti assieme, era fuori di senno, dopo la morte del bambino non è stato più capace di ragionare e in poco tempo se n'è andato anche lui.»
«Non siete rimasta ammutolita quando è venuto Zuanny da voi e gli avete raccontato i fatti distorti, perché non gli avete detto la verità? Vi dirò di più, se aveste sminuito il fatto, vi avrebbe fatto onore, invece lo avete incoraggiato a malmenarmi. Perché lui, rientrando a casa con gli occhi fuori dalle orbite, mi ha dato


















uno schiaffone che mi ha girato la testa dall'altra parte, se non fossi riuscita a divincolarmi e scappare, mi avrebbe ammazzata. L'atteggiamento di vostro marito l'avrei anche perdonato, ma l'istigazione che avete operato su vostro figlio non la posso tollerare. Pensate, quel giorno ero venuta da voi per annunciarvi che aspettavo un bambino, sareste stati i primi a saperlo, ancora non l'avevo detto neanche a mio marito, volevo farvi una bella sorpresa, per attutire quella tristezza che avevate in casa. Poi me l'avete fatta passare quella voglia.»
«Cosa posso dire? Non lo so neanch'io, è successo tutto all'improvviso, senza neanche che me ne rendessi conto: quel maledetto nubifragio ha segnato proprio la fine per la nostra famiglia. È proprio vero che le disgrazie non uniscono le famiglie, ma le separano.»
«Di questo potete ritenervi responsabile, perché potevate intervenire su vostro marito e ancora di più su vostro figlio. Invece avete pensato alla mancanza di rispetto che ho avuto io, nei confronti di vostro marito. Io ho mancato di rispetto, ma dopo che sono stata insultata e percossa col baculum e voi eravate lì senza parole, questa è la vostra colpa e di questo potevo anche perdonarvi, per la vostra età e la vostra mentalità, ma non posso perdonare il ruolo che avete avuto incitando vostro figlio a picchiarmi.»
«Non perdonare me Gaia, ma perdona Zuanny, fallo per il bambino.»
«È per il bene del bambino che non lo perdono, io non voglio far vivere il mio bambino in un ambiente dove il padre percuote la mamma, io voglio farlo vivere in un clima sereno e pacifico e senza violenza. Chi è abituato ad alzare le mani lo fa sempre e voi lo sapete bene, io non tornerò in quella casa, starò con mia madre anche se in povertà, ma non m'importa, perché la vera ricchezza che voglio dare a mio figlio è una vita serena e senza violenze.»
















«Come può essere felice un bimbo senza il suo babbo? Se tu Gaia hai deciso di fare questa scelta, io non posso dissuaderti, ma se cambi idea lo sai che puoi ricomporre la famiglia: io non parlo per me, che posso rimanere a casa mia, ma penso a questa creatura costretta a vivere senza padre, pur avendolo.»
«Io non voglio più sentire parlare di Zuanny, se il bambino, quando sarà grande, vorrà scegliere di stare con suo padre io non glielo impedirò, ma per il momento voglio che se ne stia a distanza.»
Tzia Costantina aveva portato il bambino da far vedere all'altra nonna, lei commossa gli aveva preso una manina, baciandogliela: «Sa bona sorti ti basidi, fillu miu135.»
«Adiosu!136» E se ne era andata asciugandosi le lacrime.


































135 Labuonasortetibacifigliomio.
136 Addio.








CAP 7


Il perdono negato


Il nubifragio del '48 aveva creato molti problemi ad Arradeli e ai suoi abitanti: alla miseria materiale che si era creata, bisognava aggiungere quella morale, quella sorta di miseria che abbruttisce le persone e le rende scorrette nelle relazioni umane. Quell'evento catastrofico che aveva coinvolto tutto il villaggio, aveva cambiato nuovamente anche la vita di Gaia: dalla vita serena che aveva fatto con Zuanny per poco tempo, era passata tumultuosamente ad un altro genere di esistenza, forse meno serena ma più proiettata verso un futuro, che nel suo piccolo voleva cambiare.
Era consapevole delle cose che non le piacevano della sua vita e di quella del suo bambino, ma voleva gettare le basi per un cambiamento radicale.
Era stanca di pensare ai corredi delle spose da confezionare, aspetto di per sé meraviglioso, ma fatto in quello spirito di confronto e di competizione fra le famiglie, le sembrava di lavorare, non per la bellezza dell'oggetto che confezionava, ma per dare importanza alla persona che glielo comandava.
Voleva arricchire il suo lavoro di un sentimento diverso, creando una linea di lavoro che mettesse in evidenza le sue qualità professionali, capaci di rappresentare le tradizioni negli aspetti culturali e caratteristici del territorio.
Nella realizzazione delle tessiture esprimeva i suoi gusti personali, non accettava più, come faceva una volta, di eseguire dei lavori secondo le indicazioni dei clienti: lei metteva in vendita i prodotti finiti. Chi voleva se li comprava così,




















altrimenti si rivolgeva ad altri.
Nel tempo libero, aveva incominciato ad andare anche in campagna per coltivare dei campi che il fratello di sua madre le aveva ceduto dopo la morte di sua moglie.
Suo tziu Virgilio si era sposato in età avanzata con una donna del paese, pure lei sopra i quarant'anni: tzia Maria Peppa Seddora. Anche questa zia aveva avuto grandi doti da tessitrice, nipote della tessitrice storica di Arradeli Marialena Concas. Questa zia, nonostante la sua età avanzata, mise al mondo una bambina, cugina di Gaia, di nome Ninnixedda. A dieci anni la bambina aveva già pronto il suo corredo da sposa, sua madre, oltre ad averle confezionato la sua dote ex novo, mise via per lei anche il suo grosso e prezioso corredo, confezionato con le direttive di sua nonna Marialena.
A dodici anni Ninnixedda era morta di tubercolosi, gettando i genitori in un lutto strettissimo mai conosciuto in paese, per una bambina così piccola.
Già ad Arradeli il lutto era osservato in maniera esagerata: una donna, se le moriva il marito oppure un figlio adulto, il lutto se lo portava nella tomba, ma se il figlio non aveva superato l'adolescenza, il lutto non lo portava: magari si metteva abiti scuri per un po' di tempo, ma mai lutto nero. Tzia Mariapeppa, invece, per la morte della sua Ninnixedda si vestì di nero come un'antica vedova e non osava uscire di casa senza avvolgersi la testa col suo scialle nero.
Nel periodo di quel lutto, tziu Virgilio con tzia Mariapeppa erano precipitati nella più lugubre disperazione, la loro vita era fatta solo di lavori nei campi e visite in chiesa e al cimitero.
La loro vita si era consumata nel pianto e nella disperazione più assurda.
Tzia Mariapeppa prima di morire diede ordine al marito di farsi seppellire vestita di nero e di metterle dentro la bara,
















separatamente, il suo costume da sposa: «Quando sarò sulla soglia del cielo e vedrò Ninnixedda, mi vestirò d'allegria davanti a lei “ananti tuu m'iscorruttu filla mia137”.»
Dopo la morte di tzia Mariapeppa, tzia Costantina si prese cura di suo fratello. Lui, che non aveva eredi, aveva ceduto le poche terre che aveva a Gaia.
Lei aveva iniziato così ad andare in campagna, suo zio eseguiva i lavori preliminari, e lei assieme a sua madre li coltivava.
Queste nuove proprietà costituivano per Gaia un espediente per uscire dalla sua solita vita quotidiana: suo zio era molto contento di essere utile a qualcuno, da quando era morta la moglie era la prima volta che vedeva un po' di allegria nella sua vita. Gaia, era molto contenta di questa nuova vita, per lei era davvero una novità, non era mai andata in campagna prima, sua madre le aveva insegnato a tessere quando era ancora bambina e lei non si era più alzata da quella scranna da telaio. Sua madre, invece, era più pratica, a parte che quelle terre erano appartenute alla sua famiglia prima che il fratello si sposasse e suo padre la coinvolgeva sempre nei lavori campestri femminili, che di certo lei non si era dimenticata.
Nel periodo della maturazione dei pomodori, Gaia andava tutte le mattine di buon'ora, assieme a sua madre, a raccoglierli: sua madre si metteva la corbula piena di pomodori in testa sulla quale rimaneva da sola in equilibrio senza essere sorretta; Gaia non era capace di portare i pesi in testa senza tenerli fermi con una mano, allora usava un cesto di canne e se lo metteva appoggiato sull'anca. Una mattina, mentre tornavano a casa dall'orto dei pomodori, vicino al rigolo di San Paolo, un signore del paese, dall'aspetto distinto, si era offerto di portarle il carico: «Lascia che ti aiuti, hai anche il bambino!»
«Ce la faccio, non preoccupatevi, grazie lo stesso!»


















137 Davanti a te mi tolgo il lutto figlia mia.








«Se avete bisogno d'altro, io sono a disposizione. Avete tanto da fare nei campi e anche a casa, poi col bimbo da crescere... Non farti scrupolo, io voglio aiutarti.»
Intervenne tzia Costantina, quasi irritata, che si trovava dietro di una decina di passi
«Noi non abbiamo bisogno di niente.»
Quell'uomo aveva accelerato il passo e scomparendo in un sentiero adiacente la strada.
Gaia aveva capito, dopo l'intervento di sua madre, chi fosse quell'uomo.
«Ora mamma potete dirmelo chi è mio padre. E' quell'uomo vero?»
«Avevo già deciso di dirtelo figlia mia! Non aveva più senso tacertelo, ora non nuoce a nessuno il fatto che si sappia, quella che un tempo sembrava una disgrazia ora è diventata una benedizione di Dio, tu sei la mia benedizione e il nostro Renzino.»
Gaia l'aveva immaginato che era lui suo padre, signor Enrico Mannias, uno dei più ricchi del paese. Tutte le volte che lo incontrava, la salutava molto gentilmente e la guardava fissa negli occhi: quello sguardo le ricordava gli occhi del suo fratello gemello Aurelio. In quella famiglia erano tutti professionisti e un po' alteri: una sua figlia era stata anche sua compagna di scuola alle elementari, chi mai l'avrebbe detto, allora, che erano sorelle.
«È sempre così gentile quell'uomo!»
«Diffida, figlia mia, della gentilezza esagerata degli uomini, è l'arma più potente che posseggono, hanno la capacità di affascinarti coi loro complimenti e con le loro adulazioni.






















Pure io sono stata affascinata dalla sua gentilezza, mi diceva che avevo bei modi, che ero fine, che avevo buon gusto, che avevo uno sguardo che lo aveva fatto innamorare: io con la mia ingenuità e la mia stupidità infantile, mi facevo abbindolare dalle sue considerazioni.
Tant'è che ero caduta facilmente nella trappola che lui mi aveva teso: mi aveva chiesto di andare nel solaio dove sua moglie teneva i filati per la tessitura, per farli spostare, dove sarebbe stato facile individuarli, dato che lui doveva pulire quel locale.
Invece aveva già predisposto il piano d'azione: in un momento in cui non c'era nessuno in casa, coi suoi modi gentili e adulatori mi aveva portato in quel solaio facendomi capire che ero diventata la persona più importante della sua vita; io, che avevo anche la curiosità di scoprire come funzionava il congiungimento con un uomo, mi ero lasciata penetrare dal suo fallo turgido.
Solo dopo ho scoperto che quell'atto finale era lo scopo di quell'uomo: quello di dare sfogo ai suoi desideri lussuriosi.
Quando ho capito lo scopo della sua gentilezza, mi sono sentita la donna più stupida del mondo.
Mia madre, che non ha mai saputo che quello era il padre dei miei figli, mi raccontava che tutte le donne che andavano a servizio in quella casa venivano molestate dal padrone: qualcuna era rimasta incinta.
Lui ci provava con tutte: aveva fatto dei tentativi anche con una parente della moglie che andava ad aiutarla ad accudire i bambini.
Questa ragazza però è stata più intelligente di me, aveva avvisato subito sua moglie di quello che stava succedendo e, assieme, gli avevano teso una trappola: avevano simulato un'assenza della moglie, durante la quale la ragazza doveva rimanere da sola in quella casa per riordinarla; il marito


















voglioso si fece subito avanti trascinando la ragazzina nel solaio, quando inaspettatamente era arrivata sua moglie, trovò il marito in mutande che si stava preparando per una prova d'amore.
Quella casa era di proprietà della moglie e quindi il marito era stato minacciato di essere buttato fuori come un servo infedele. Lui si era prostrato in ginocchio davanti alla moglie pregandola di perdonarlo e lei, per il bene della famiglia, aveva scelto di rimanere col marito e aveva fatto andare via la sua parente a Cagliari per tenerla distante da quella belva affamata di femmine.»
«Tu come fai a conoscere tutti questi particolari?»
«Conoscevo una donna che era stata in servizio a tempo pieno in quella casa, serbidora manna138, la quale aveva assistito anche ad un diverbio feroce fra Enrico e sua suocera: lei lo aveva minacciato con un forcone di ferro, dicendogli di restare lontano dalle sue parenti, altrimenti lo avrebbe infilzato come una serpe; lui l'aveva presa a spintoni facendola cadere dalla gradinata dell'ingresso di casa.
Se non l'avessero fermata alcuni passanti l'avrebbe infilzato davvero, aveva una forza e una ferocia, in quel momento, che faceva paura. “T'indi bogu da su mundu”139 urlava. “Adesso uscite voi da is callonis140” rispondeva lui.»
«Se tu conoscevi questi fatti, come mai sei cascata ugualmente nelle grinfie di quell'uomo?»
«Perché i discorsi non vengono mai ascoltati, figlia mia! Ognuno vuole farsi le proprie esperienze, si pensa sempre che le cose brutte possano accadere solo agli altri. Solo a posteriori,



























138 Governante.
139  Ti tolgo dal mondo.
140  I coglioni.








ognuno fa i propri conti e prende le decisioni che crede opportune, quando, di solito, è troppo tardi.»
Aveva fatto bene sua madre, allora, a tacere quel nome, coi compagni di scuola avrebbe avuto sicuramente disagio.
Tzia Costantina non aveva mai rivelato a nessuno, neanche a sua madre, il nome del padre dei suoi figli: sapeva che rivelando quel nome, i suoi figli sarebbero stati malvisti da tutti, anche se le malelingue del tempo, quella paternità l'avevano attribuita a diversi uomini. La certezza però non potevano averla su nessuno.
Lei era orgogliosa di questo silenzio, voleva essere lei l'unica genitrice dei suoi figli, se lui avesse voluto, si sarebbe fatto vivo allora, per aiutarli, non dopo quarantacinque anni.
Lo scrupolo gli aveva toccato la coscienza, ma in un momento che non serviva più a nulla se non a gettarla nel ridicolo: sicuramente era stata la moglie a spingerlo a prestare aiuto, ma lui aveva sbagliato il momento e il modo di farlo.
Da come si era dileguato nel sentiero di San Paolo si era capito che era in difficoltà ad affrontare un discorso più articolato, ma a Gaia sarebbe piaciuto saperne di più di quella persona che voleva intervenire su quel pezzo di famiglia che aveva seminato mezzo secolo prima.
Sua madre, invece, non voleva parlarne più. Il discorso era finito, non voleva pensare a nessuna ipotesi di interferenza di quella persona nella sua vita. Quello che lei si era sempre rimproverata era di non aver rivelato alla moglie di Enrico Mannias, che suo marito l'aveva molestata e costretta a licenziarsi da casa sua per non essere scoperto nelle sue malefatte. Lei su questo lo aveva assecondato, pensando che quell'unico rapporto sessuale non sarebbe bastato per farla rimanere incinta, invece, quando si accorse della gravidanza, era già fuori dalle relazioni. Era inutile anche pensare quale


















sarebbe stato l'atteggiamento più giusto da tenere allora, perché quello che è successo dopo è stata la cosa più bella della sua vita.
Anche allora, quella che inizialmente sembrava la fine del mondo, si è rivelata poi una grazia del Signore; allo stesso modo quello che era successo col nubifragio di S. Antonio che aveva determinato le disgrazie a catena, dopo si era rivelato produttivo di nuovi affetti familiari, come l'arrivo di Renzino. Quando andavano tutti assieme all'orto con lo zio Virgilio, si sentiva felice come un'adolescente.
L'unica cosa che la turbava erano le molestie che, ogni tanto, Zuanny rivolgeva a Gaia: lui voleva che sua moglie tornasse a casa, non sopportava l'idea che lei lo avesse abbandonato.
C'era stato un periodo in cui stava pensando davvero di tornare da lui per le insistenze di suo tziu Virgilio e di sua madre, ma quando un giorno si erano incontrati per caso davanti alla sua vigna, Gaia gli chiese di arargliela col suo cavallo, lui rispose inferocito.
«Che bisogno hai di affaticarti nelle terre, mentre potresti avere direttamente sulla tua tavola tutti i prodotti che desideri.»
Questo suo atteggiamento dissuase Gaia dall'idea di tornare da suo marito. Continuava a pensare che l'insolenza di quell'uomo non aveva confronto, con la sua prepotenza, era convinto di ottenere quello che voleva dalla vita, ma evidentemente non aveva ancora fatto il conto delle disgrazie che aveva subito.
A Gaia faceva piacere pensare che condurre una vita semplice e serena faceva bene a suo figlio e quando sarebbe arrivato il tempo di mandarlo a scuola si sarebbe trasferita in città.
Di questo suo progetto aveva parlato col canonico Acca, il quale si era reso disponibile ad aiutarla a trovare un posto di lavoro per lei a Cagliari dove poteva tenere con sé il figlio e mandarlo anche a scuola.
















Nel frattempo doveva rimanere in paese per aiutare anche suo zio che dopo la perdita della moglie era rimasto molto rattristato e fisicamente indebolito.
Sua moglie lo aveva costretto a vivere un lutto assurdo, privo di ogni ragione, che lo aveva portato in vecchiaia allo stremo delle forze fisiche e mentali: sua moglie comunque gli mancava tanto, gli mancavano i suoi lamenti, i suoi pianti, ma anche la sua forza di resistere a quel dolore che lei stessa si era dato: aveva confidato a sua sorella che nonostante la loro vita luttuosa e tetra, facevano sempre l'amore.
«Fratello mio! Te l'ho sempre detto che Mariapeppa era pazza da legare, solo tu potevi sopportarla.»
Tzio Virgilio era un uomo finito, non era più sufficiente che Gaia andasse a trovarlo tutti i giorni per le faccende domestiche, ma aveva bisogno di assistenza notturna a causa delle crisi respiratorie che si susseguivano per la grave forma di silicosi che lo affliggeva.
Con sua madre avevano deciso di avvicendarsi anche durante la notte per non lasciarlo mai da solo.
Con questo parente non avevano avuto grandi relazioni nel passato a causa della moglie che voleva starsene sempre in disparte da tutti, per rispettare il suo lutto, ma con sua madre si volevano molto bene ed era per questo sentimento che non voleva lasciare da sola questa persona.
Una mattina, dopo una nottata di crisi respiratorie, zio Virgilio disse a sua sorella di portarsi via la roba di sua moglie, prima che qualche avvoltoio si fosse fatto avanti: «Fratello mio, credo sia giusto che dia qualcosa anche alla sorella di Mariapeppa, in fondo non avete lasciato eredi, è giusto che almeno gli oggetti di famiglia ritornino alla sorella.»
«Mariapeppa aveva già dato a sua sorella tutti gli arazzi e poribangus, una tovaglia coi tovaglioli l'aveva data a sua cugina




















Ninna Tuveri, quello che c'è in casa potete prendervelo voi, non preoccupatevi, la bisaccia che mi regalò per il matrimonio la voglio regalare a Gaia.»
La notte di capodanno Gaia era andata presto dallo zio con l'intenzione di tornare a casa prima di mezzanotte per salutare il vecchio anno assieme a suo figlio e sua mamma, sarebbe andato da loro anche suo fratello Aurelio con la sua famiglia.
Aveva dato da mangiare a suo zio e visto che stava discretamente, si apprestò per andarsene a casa.
Nella via principale de su bixianeddu aveva incontrato suo marito mezzo brillo: «Dove vai in giro a quest'ora? Non lo sai che ci sono pericoli in giro?»
«Questi non sono affari che ti riguardano, te l'ho sempre detto che io sono morta per te, vattene e fatti passare la sbronza!»
«Tu devi venire con me perché sei sempre mia moglie, anziché andare da quel rimbambito di tuo zio a fargli vedere le tue tette, vieni da me che ti faccio ricordare come si gode con una bella minchia dura.»
«Dovrei ritornare da te solamente per darti il mio buco del culo? Piuttosto faccio la prostituta!»
Queste parole avevano scatenato in Zuanny la sua ira omicida.
Aveva tirato fuori dalle tasche della giacca la sua arrasoia141 e incominciò a colpire Gaia nella pancia in maniera ripetuta come se fosse un pallone da sgonfiare.
La sua ferocia non riuscirono a fermarla neanche alcuni passanti che lo pregavano di fermarsi: lui continuava a colpirla ripetutamente come un ossesso, finché, immersa in una pozza di sangue, Gaia cessò di respirare.









141 Coltello a serramanico.
















«Sei una puttana!» continuava a ripetere mentre i carabinieri lo portavano via ammanettato.
Nel giro di pochi minuti la via si riempì di gente e la notizia dell'uccisione di Gaia da parte del marito era sulla bocca di tutti.
Era accorsa anche tzia Costantina che non voleva credere che sua figlia avesse finito di vivere in quel bordo di strada, scannata come un capretto: la portarono a casa di peso per toglierla dal corpo insanguinato della figlia, che non voleva lasciare.
Un delitto di simile efferatezza, ad Arradeli non si era mai visto, nessuno riusciva a darsi una spiegazione per la reazione così violenta di Zuanny.
Tzia Costantina, tornata a casa, aveva continuato a urlare per tutta la notte.
Tzia Pietrina non aveva avuto il coraggio di visitare subito la sua consuocera, ma ci era andata il giorno dopo ed era rimasta con tzia Costantina fino al giorno del funerale. Aveva avvisato pure la sua ex consuocera, tzia Pasqualina, per farla partecipare a questo lutto.
Al rito de s'attitidu avevano partecipato tutte le prefiche del paese.
Al lamento commosso di tzia Costantina, si alternavano quello di tzia Pietrina e quello di Tzia Pasqualina.


































Non erano stati sufficienti i pianti cantati in poesia per lenire quella dolorosa storia che per moltissimi anni ha indignato il popolo arradese.




tzia Costantina:
«Filla mia gioiosa
filla mia adorada,
filla mia sposa
tinci sesi andada.17


S'arrori ki est succediu
ormai no si riparada,
no tengu prusu assebiu
po sa fida ki m'abbarrada.18




No tenga mancu assentu
su fillu de Algheri
camminit sempri a stentu
zapulendi feri feri.19












Cust'omi maradittu
at mortu a filla mia
cun ferru sia trafittu
e abarridi in agonia.20




Maradittu Zuanny Algheri,
sa vida s'at cambiau,
zoppi zoppi e feri feri
ti bianta strupiau.21




A Renzu su pippiu
da mamma dda privau
po cantu adessi biu
sa sorti dd'at segnau.22
















Gaia mia, adiosu
po sa diciosa sorti,
su saludu est dolorosu
po si biri in santa corti.»23




tzia Pasqualina:
«Comente fiza di tenia
po s'animu zentile,
dae sa morte ti cheria
liberada dae su azzile.24






































Una manu de violentia
sa vida t'at truncadu
dona forza de clementia
po su fizu ki at lassadu.25




Ki bies a sa bonamma
cun su pizzinnu meu,
sos saludos de sa mamma
dae custu mundu intreu.26




Coro meu, coro meu,
ses partida cun violentia.
Da sas portas de su cheu
tue bides sa dolentia.27








A fizu tuo pizzinnu
prangendi a scoramentu
manndaddi tue su sinnu
po calchi giovamenti.28




Sa paghe ti poderede
in sa omo ki tue tenes
cun su bene ki ti cherede
sas personas de s'istimede.29




tzia Pietrina:
«Perdona Gaia mia,
perdona custa offesa
de totu custu no credia,
est manna s'arravesa.30
















Costantina mia
no isciu cumenti fai,
tui sesi amiga mia
mi depis perdonai.31


A su pipiu Renzixeddu
invocu su perdonu,
perdona a babbuxeddu,
donaddi su condonu.32




Arradeli cun s'arradesa genti,
perdonai a fillu miu,
si domandu di eesiri clementi
de dolori est'inzurpiu.33














A su mundu interu
domandu cun dolentia
ki a custu fillu veru
dispensi sa clementia.34




A tui Gaia mia
da Zuanny martoriada
po cantu apessi bia
apessi sconsolada.»35




tzia Costantina:


«Non potzu perdonai
a ki at mottu a filla mia,
sa stessa fini depot fai
bivendi in s'agonia.36












A filla mia gioiosa
su coru dd'an trafittu,
est morta da isposa
da Zuanny maradittu.37




Po cantu apessi bia
no ti ollu bi pintau,
de sa famiglia mia
no astessi perdonau.»38


















tzia Costantina non perdonò mai Zuanny per l'omicidio di sua figlia, né accettò più rapporti con la sua famiglia. tzia Pietrina si rivolse anche al canonico Acca per farsi intermediario






del perdono della famiglia Fatteri, ma tzia Costantina rispondeva semplicemente che, solo Dio, poteva dispensare il perdono, lei non poteva fare altro che continuare a piangere per il resto dei suoi giorni.






















































Terza di copertina (Biografia)
Antonio Giuseppe Abis è nato a Gonnostramatza in provincia di Oristano nel 1951. L'amore per gli usi e i costumi della sua terra lo ha appassionato fin da bambino. È vissuto nel suo paese natale fino al conseguimento della maturità per poi trasferirsi a Milano dove ha coltivato con molta determinatziune due grandi passioni: gli studi giuridici, che lo hanno portato al conseguimento della laurea in giurisprudenza, e l'arte culinaria, che ha avuto modo di approfondire lavorando nell'ambito della ristoratziune. Se pur in terra "straniera" non ha mai smesso di amare ed utilizzare con passione la lingua del suo paese natio e custodire gelosamente gli usi di quel popolo singolare che tanto ha amato da celebrarlo nelle sue opere. Nel 2010 ha pubblicato una raccolta di poesie in lingua sarda: LA POESIA DI GONNOSTRAMATZA e due racconti autobiografici: IS ARRAGODUS; FILLU DE ANIMA.
Nel 2013 LA VEDOVA NUBILE.
























Quarta di copertina

La Vedova Nubile, Fiuda Bagadia in sardo, è il titolo di questo racconto ambientato in Sardegna negli anni 40/50. Questo racconto vede in primo piano Gaia, la protagonista, che incarna diverse personalità, non appartenenti, nella realtà, alla stessa persona, ma che l'autore mette in evidenza per gli aspetti che vuole rappresentare.
Gaia è la figlia illegittima di una tessitrice che viene introdotta fin da bambina all'arte della tessitura. In quegli anni, quel mestiere veniva ancora praticato diffusamente e le professioniste del telaio, oltre a realizzare lavori caratteristici del territorio, che costituivano un elemento complementare della dote delle spose, diventavano anche insegnanti delle giovani tessitrici.
Prima dell'inizio della guerra, Gaia s'innamora di un giovane di buona famiglia, Lorenzo ma questo rapporto rimane segreto per la chiara opposizione della famiglia del giovane per colpa della sua condizione di figlia illegittima. Sempre per lo stesso motivo rimane segreta anche la sua gravidanza e quando il ragazzo muore in guerra, la famiglia di Lorenzo la tiene fuori da ogni relazione costringendola ad una vita di solitudine, ad una vita da vedova, di vedova nubile.
In primo piano vengono messi i rapporti umani, soprattutto quelli segnati dal dolore. Vengono raccontate le tradizioni, gli usi, i costumi, quelli autentici, con un linguaggio semplice e profondo, fatto di suoni armonici e riti, celebrati in una lingua naturale. È un racconto che aiuta a capire e conoscere il fascino di una cultura millenaria racchiusa dentro riti e cerimonie.
E' un racconto ambientato negli anni 40/50, ma sembra che si parli di un altro mondo, un mondo che fa sognare, che rivela i segreti di un popolo apparentemente scomparso, ma che continua a vivere nelle tradizioni e nelle celebrazioni della vita quotidiana della gente sarda.
1































Caro Beppe,
ai nostri figli e più ancora ai nostri nipoti dell'era digitale, al nuovo che avanza con i nuovi codici di linguaggio e di vita individuale e sociale immessi nel quotidiano flusso contemporaneo, la tua ansia profonda di raccogliere, recuperare e allungare la memoria perchè si sappia e non si dimentichi chi eravamo, che cosa eravamo appena 60 anni addietro, è il vero compito della letteratura, il tuo lascito.
Nel tuo procedere appassionato di ricerca non si avverte contrapposizione ma, direi quasi una illuminante meditazione sul passato che si fa fatica, oggi, perfino ad immaginare, con i suoi linguaggi i suoi segni, le sue voci, i suoi canti, le analisi dei suoi vissuti, un'interiore accordatura generazionale che tende soltanto all'affermazione dell'essere, soprattutto nella dimensione femminile.
Estranei al tuo vocabolario le attuali “ crisi, austeriti, depressione, precariato, spread, perchè tu segnali che la vita è la vita che esige pezzi di scarto, che intesse passioni divoranti che nessun psicologo può curare, perchè la vita anche senza il sostegno del welfar non si fa travolgere perfino quando si presenta più feroce della morte.
Le tue eroine sono sempre le donne, mamme e figlie, anche se diversamente ferite, custodiscono inalterato il naturale amore per la vita, per i bambini anche se non nati e le accidentali e inattese nascite o morti sono raggi di luce o tenebre oscure che scombinano gli equilibri faticosamente raggiunti, facendo emergere rancori primordiali, indegnità vituperevoli, amarezze incurabili.
Le macerie della guerra e lo spirito della ricostruzione tzia Costantina e Gaia Fatteri le reggono bene sulle loro spalle, non siamo ancora nel mondo delle sartine e delle macchine da cucire ma alla sapienza della manifattura, alle maestre tessitrici, alle grandi interpreti di una cultura artigianale millenaria che colleziona permanentemente prodotti rari ed eccezionali la cui differenza nei dettagli creativi e cromatici segna l'orgoglio e la biografia vivente di ogni lembo di terra.
Le due donne escluse dal censorio codice di vita sociale, si autoproteggono con il loro talento, con l'umanesimo del lavoro, non si lasciano vivere, ma vivono nell'inesauribile voglia di un cambiamento che si attagli al loro abito mentale.
Sono le protofemministe sarde che non inseguono facili scorciatoie sottoposte solo all'antica virtù dell'austerità e sobrietà, Sono la variabile umana che sa di valere, che riflette inconsapevolmente la visione di vita della morale di kant “chi sa fa verme non può poi lamentarsi di essere calpestato”.
Sfugge loro
la catarsi finale e un bradisismo emotivo coglie ogni lettore chino sulle frustate a sangue di quel balordo prepotente che chiude il respiro di una vita che prepotentemente insegue ad occhi aperti sogni per sé e per il proprio figlio.
Anche il lamento funebre non aiuta a disperdere le note dolenti della perdita sostanziale di una memoria che si incarna nell'orgogliosa identità etnica della propria terra, della tua terra, che da trapiantato in terra lombarda, senti più viva in te, ne custodisci il respiro umanissimo e tragico e l'avvolgi di filiale comprensione.
Maria Calzi Germinario
































INDICE


Prefazione................................................................................................Pag.5
CAP 1 Gaia Fatteri..................................................................................Pag.7

CAP 2 La richiesta di matrimonio............................................................Pag.22

CAP 3 L'accettatziune................................................................................Pag.28

CAP 4 Il matrimonio..................................................................................Pag.36

CAP 5 Sa coja arradesa............................................................................Pag.52

CAP 6 Il nubifragio...................................................................................Pag.63

CAP 7 Il perdono negato...........................................................................Pag.90

Biografia.........................................................................................Pag.110
Quarta di copertina …....................................................................Pag.111

Commento di Maria Germinario..............................................................................................Pag.113























1Figlio del cuore mio
da tua madre sei andato
alla voce del cielo
hai ascoltato.
2Non posso rimanere ferma
in questo nefasto giorno
non passa alcun momento
che io non pensi a te.
3Angelo, da tua madre sei partito
lasciando tuo padre nella tristezza.
Hai lasciato questo luogo solitario
senza tener conto delle conseguenze.
4Arradeli con tutti i suoi abitanti
venuti per questo amato figlio
vi ringratziu di essere presenti
nell'ora che l'angioletto ha spiccato il volo.
5Adesso che sei pronto per partire
e la gente ti vuole salutare
tu che ci vedi soffrire,
come ci dobbiamo consolare?
6Figlio mio, figlio mio,
te ne sei andato,
lesto, lesto sei partito
e non hai neanche salutato.
7Hai lasciato tuo padre affranto
triste e afflitto
con un doloroso pianto,
povero figlio mio
8Bambino mio gioioso
pegno d'innocenza
bambino mio amoroso
mi hai lasciato sofferenza
9In questo giorno buio
tanaglia di dolenza
initziata con dolore
finita con avvilimento
10 Tuo padre chi lo zittisce
in questo pianto doloroso
scommise la sua vita
per il sio figlio gioioso
11Al nonno vecchiarello
non gli sembra vero
per il bambino
sente il suo dispero
12Angioletto mio gioioso
la luce della vita
Hai consumato la tua gioia
di tutti i giorni tuoi
13La nostra vita interamente
ieri si è consumata
Ogni primavera
per noi è tramontata.
14Zuanny mio sconsolato
ha perso l'allegria
col cuore spaventato
ha perso la genia.
15Tua madre la cercavi
prima di dormire
ogni volta la invocavi
chiedendole di tornare.
16O nuora mia buonanima
insieme al tuo bambino
tu che sei bella mamma
guardate il figlio mio.
17 Figlia mia gioiosa,
figlia mia adorata,
figlia mia sposa
te ne sei andata.
18 L'orrore che è successo
ormai non si ripara,
non sono più tranquilla
per la vita che mi resta.
19 Non abbia neanche pace
il figlio di Algheri,
cammini sempre a stento
ferito e zoppicante.
20 Quest'uomo maledetto
ha ammazzato figlia mia
con ferro sia trafitto
e rimanga in agonia.
21 Maledetto Zuanny Algheri,
la vita ci hai cambiato
Zoppicante e ferito
ti vedano storpiato.
22 A Lorenzo il bambino
della madre l'hai privato
per quanto sarà vivo
la sorte gli hai cambiato.
23 Gaia mia addio
per la gloriosa sorte
il saluto è doloroso
per rivederci nella santa corte.
24 Per me eri come una figlia
per il tuo animo gentile
vorrei che ti fossi liberata
dal cappio della morte.
25 Una mano violenta
la vita ti ha troncato,
dona forza e clemenza
per il figlio che hai lasciato.
26 Se vedi la buonanima
col piccolino mio,
dalle i saluti di sua mamma
e del mondo intero.
27 Cuore mio, cuore mio
sei partita con violenza
dalle porte del cielo
tu vedi la doglianza.
28 Al figlio tuo piccino
che piange a scoramento
mandagli tu un segno
per dargli giovamento.
29 Tu possa stare in pace
nella casa dove abiti
con il bene che ti vogliono
le persone che ti stimano.
30 Perdona Gaia mia
perdona questa offesa
di tutto questo non credevo
è grande questo danno.
31 Costantina mia
non so cosa fare,
tu sei amica mia,
mi devi perdonare.
32 Al piccolo Renzino
invoco il perdono,
perdona il tuo babbo,
concedigli il condono.
33 Arradeli e gente di Arradeli
perdonate mio figlio
vi chiedo di essere clemente con lui
è accecato dal dolore.
34 Al mondo intero
domando con dolore
che a questo figlio vero
dispensi la clemenza.
35 A te Gaia mia
da Zuanny martoriata
per quanto sarò viva
sarò sconsolata.
36 Non posso perdonare
chi ha ammazzato figlia mia
la stessa fine deve fare
vivendo in agonia.
37A mia figlia gioiosa
il cuore le hanno trafitto
è morta ancora sposa
di Zuanny maledetto.
38 Fino a quando sarò viva
non ti voglio veder dipinto,
dalla famiglia mia
non sarai mai perdonato.