LA
VEDOVA NUBILE
FIUDA
BAGADIA
ABIS
ANTONIO GIUSEPPE
Dedica
Alle donne del mio paese,
che mi hanno dato ispiratziune in questo racconto, e con
la loro forza e la loro determinatziune si sono battute per cambiare
la loro conditziune sociale mantenendo integro l'amore per la propria
terra.
PREFAZIONE
Fiuda
Bagadia - La vedova nubile è
il titolo che racchiude il senso di questo racconto di Antonio
Giuseppe Abis. Vedova nubile è infatti un concetto particolarissimo
e quasi ossimorico e per comprenderlo bisognerebbe esplorare quei
territori sardi tanto cari all’autore. Il punto di partenza è
infatti il sentimento e la lealtà delle donne. Anche in un tempo
lontano, negli anni della guerra, non era solo il matrimonio a
sancire la profondità e la perpetuità di un legame. Si poteva
essere uniti e sposati anche nell’animo, le donne erano fedeli e
devote ancor prima che venisse fatta loro la proposta ed è questo
che rende la Sardegna una terra tanto ancestrale quanto dinamica e
moderna. Questa lealtà femminile, la totale dedizione all’altro,
è la caratteristica principale e la forza di Gaia, la protagonista
del racconto. È quindi la forza della donne ciò che colpisce del
romanzo, sono le donne a decidere, dominare e progettare. Non fragile
vittima degli avvenimenti, ma è la donna-stratega al centro della
narrazione. Tale ispirazione proviene da molto lontano, da un’antica
grecità nella quale Penelope esprimeva la sua totale devozione
all’amato non con i pianti e con l’inerzia, ma progettando e
pianificando, difendendosi dai Proci con la famosa arte di disfare la
tela. Proprio nella tela va ricercata un’altra importante tematica
di Fiuda
Bagadia. L’arte
della tessitura rappresenta la capacità femminile di provvedere
alle cure domestiche e nello stesso tempo la propensione delle donne
all’intreccio e alla trama. Erano loro a tenere le fila degli
avvenimenti, loro a costruire gli eventi e a rimaneggiarli. Il
matriarcato sardo si evidenzia fin dalle prime righe del racconto,
già dalla descrizione del rapporto tra Gaia e la madre, fino a
raggiungere il complicatissimo rapporto che riguarda l’altro
personaggio femminile della vicenda, la suocera di Gaia. Gli uomini
erano sempre il tramite e mai la mente. L’uomo sapeva esprimere
forza bruta e primordialità, come si può notare dall’analisi
dalle figure dello sposo e del suocero della protagonista. La forza
bruta maschile, che arrivava talvolta a sfociare nella più efferata
violenza, poteva spesso essere un modo per punire la raffinata arte
della prevaricazione femminile. È da evidenziare infatti la
capacità con cui un uomo riesca a essere l’autore di un romanzo
nel quale vengono esplorate le doti femminili, emerge ancora
l'attaccamento alla terra e alle donne del suo paese, maestre per lui
di preziosi insegnamenti. Si racconta di luoghi in cui era la donna
ad avere il ruolo centrale e decisionale ed è questo il filo
conduttore della narrazione. L’arte femminile poteva essere
espressa anche attraverso la negazione del perdono. È singolare
infatti che in un contesto di spiritualità e vicinanza a Dio, si
mediti vendetta e si serbi rancore; anche qui sembra quasi che Abis
tragga ispirazione dalla grecità pagana, nella quale gli déi non
conoscevano il perdono incondizionato ma sapevano finemente ordire
trame e allestire il progetto di un sentimento di rancore. Sentimenti
di rancore dominano luoghi come Arradeli, un paese che conserva le
caratteristiche remote e mitizzate, ma che allo stesso tempo si
colloca in una realistica primordialità di contatto con la terra.
In luoghi come questo, non è inusuale ascoltare le fascinose
narrazioni di un verismo-
fiabesco, storie
crudeli e inquietanti. Leggendo queste righe, sembrerà di
riconnettersi alla cruda visceralità di quei luoghi, scandendo
quelle frasi si avrà l’impressione di essere catapultati in un
mondo costruito sulle leggende metropolitane, un mondo però
terribilmente vero. Un mondo in cui vigono leggi rovesciate e
sentimenti di tragedia. Ed è proprio con il canto tragico di un
mondo edulcorato da riti celebrativi, scandito da avvenimenti
drammatici e dalla poeticità lirica, che il romanzo trova il suo
culmine, come a determinare la centralità della tragedia. Tutto
ruota intorno alla tragicità e all’appassionato sentimento
straziato delle donne, che non può che essere espresso attraverso i
versi funebri delle prefiche.
Margherita
Abis
CAP
1
Gaia
Fatteri
Cadeva
la sera di San Michele, calda e serena, l'estate volgeva al termine
ma si percepiva ancora il riverbero delle giornate assolate. Arradeli
si preparava a festeggiare il suo patrono e le massaie si prodigavano
a pulire la porzione di strada adiacente alla propria abitazione.
Diventava
quasi una competizione fra chi puliva meglio la propria porzione di
strada per poi disporre le proprie tessiture al passaggio della
processione del Santo Patrono. Il selciato delle strade veniva lavato
come non mai, perché al momento del passaggio della processione
veniva praticata s'arramadura1
Gaia
Fatteri dopo aver pulito la strada che le competeva, si era seduta
sul gradino di basalto del suo uscio di casa, stremata dalla
stanchezza, si mise le mani sulle tempie come per controllare i suoi
pensieri.
Pensieri
che la disturbavano, negli ultimi tempi li sentiva come un abito liso
che la metteva a disagio quando lo indossava. Poi l'atmosfera della
festa anziché procurarle allegria le dava fastidio, non vedeva
l'ora che passasse tutto, i suoni e i canti della piazza la
irritavano: eppure quella sera stessa doveva ricevere una visita che
poteva cambiare la sua vita. Quella sera sapeva che avrebbe ricevuto
una proposta di matrimonio.
Ma
era convinta di non volerlo questo cambiamento, ci aveva pensato e
ripensato, prendere un marito, giusto per sistemarsi non le andava a
genio. Zuanny Algheri era un brav'uomo, gran
1
Formare un tappeto di petali di fiori.
lavoratore
di buona famiglia, era suo coetaneo, aveva fatto con lei le scuole
elementari, ma non era una persona che le interessava. Da ragazzo era
molto bello ma sempliciotto e bonaccione, tant'è che la prima donna
che gli aveva messo gli occhi addosso se l'era sposato, poi era
rimasto vedovo con un bambino piccolo del quale la madre di Zuanny si
prendeva cura. Ma non era questo il problema che le impediva di
accettare la proposta di Zuanny, lei continuava a pensare al suo
amore perduto e nel suo cuore non c'era spazio per nessuno.
Lo
spazio bisognava crearlo, le diceva sua madre, non si poteva vivere
pensando sempre a una persona che non c'è più. Facile a dirsi ma
allontanare dal cuore e dai pensieri la persona amata non è
possibile, eppure aveva provato degli espedienti, anche drastici, ma
non avevano funzionato. Ora si trovava ancora al punto di partenza,
col cuore infranto, con scelte di vita importanti da fare, sua madre
che non smetteva di dirle che doveva accettare la proposta. Ora si
sentiva stanca, non solo dal peso di questi pensieri, ma anche per la
fatica fisica della giornata: aveva quindi deciso di mettersi a letto
e di affidare a sua madre il compito di governare la visita del suo
pretendente. Tzia Costantina ci sapeva fare in questi frangenti,
avrebbe chiesto il tempo per riflettere e lasciare quindi aperta la
possibilità di una visita ufficiale della madre di Zuanny.
Appena
Gaia si mise a letto, Zuanny bussò alla porta: «Si podidi?2»
«Intrai
a
chi adessi3!» Rispose
tzia Costantina precipitandosi ad aprire. «Scusate il disturbo tzia
Costantina, so che l'ora è tarda ma
- Si
può?
- Entrate
pure.
vorrei
parlare con Gaia, se me lo consentite.» «Figlio mio! Proprio adesso
si è messa a letto, era molto stanca, stamattina si è alzata
presto che doveva finire un lavoro al telaio e non si è fermata
neanche per pranzare, nel pomeriggio ha pulito tutta la strada di
fronte casa per l'arramadura della processione di domani, perdonala
Zuanny, le riferirò tutto io domattina.» Sul volto di Zuanny era
evidente lo sconcerto per lo sgarbo che Gaia gli aveva fatto non
aspettandolo, dato che la visita era stata annunciata. Gaia glielo
aveva detto altre volte che non era pronta per prendere marito, la
batosta che aveva preso l'aveva ridotta male, ma Zuanny voleva
insistere. Per lui, per la sua casa, per il suo bambino, una donna
come Gaia sarebbe stata una panacea. «Siediti Zuanny» intervenne
tzia Costantina porgendogli uno scranno per sedersi. «Non voglio
disturbare oltre, tornerò in un altro momento quando Gaia mi vorrà
ricevere, se potete, poi, farmelo sapere attraverso mia madre, ve ne
sarò molto grato.» Zuanny si congedò velocemente senza accettare
neanche l'invito a sedersi, aveva capito che non era stato il momento
giusto per fare quella visita, Gaia si era sottratta deliberatamente
a quell'incontro e lui non voleva irritarla, avrebbe mandato prima
sua madre in avanscoperta da tzia Costantina, poi avrebbe organizzato
la sua visita personale. Con questi pensieri attraversò la piazza
S. Michele dove c'era in corso il ballo della vigilia con tutti i
paesani che si accalcavano per vedere chi danzava meglio, lui doveva
tornare in fretta a casa di sua madre per prelevare il bambino e
portarselo a casa, stanco dall'euforia della festa. Era sua madre che
si occupava del bambino, da quando era mancata la moglie erano i suoi
genitori che si occupavano anche di lui, seppure anziani. La madre
badava al bambino sotto ogni aspetto, solamente durante la notte lo
faceva dormire da Zuanny.
Al
mattino presto arrivavano da lui i suoi genitori, suo padre badava
alle bestie e le preparava per andare in campagna, sua madre
governava la casa, preparava la colazione e poi si portava il bambino
a casa sua.
Era
molto rattristata tzia Pietrina per questa vita, sentiva che il
bambino aveva bisogno della mamma, ma lei non poteva sostituirla. Lo
faceva divertire con i fusi mentre lei tesseva, ma non era capace di
giocare con lui. C'era la necessità della presenza di una donna
giovane in casa.
Tzia
Pietrina, come tzia Costantina, era maestra del telaio. Andava quasi
in tutte le case del paese per impiantare il telaio e impostare le
tessiture. Era un lavoro molto complicato quello dell'orditura, erano
in poche le donne del paese che lo sapevano fare e quindi quelle che
decidevano di avviare un lavoro di tessitura per coperte, bisacce,
tappeti o quant'altro, si facevano fare l'impostazione del lavoro da
queste professioniste e poi le tessiture se le facevano loro.
Naturalmente
queste maestre del telaio non facevano solamente il lavoro
d'impostazione ma davano anche assistenza nell'iter lavorativo,
tenevano sempre sotto controllo l'avanzamento del lavoro. Per questo
tzia Pietrina era sempre molto impegnata, soprattutto quando seguiva
delle ragazze che si preparavano il corredo da sposa, non si potevano
tollerare errori nelle tessiture perché il disfacimento della
tessitura è più complicato della tessitura stessa.
Badare
a un bambino di pochi anni per una donna anziana che aveva anche
questi impegni non era semplice. Poi doveva pensare al marito, al
figlio e alle due case, e c'erano i lavori campestri femminili che
non poteva delegare a nessuno.
Di
certo, lei non si sentiva sovrastata dai troppi lavori di casa, ma da
quello più complicato dell'educazione e della crescita del bambino.
Era pure malaticcio, gli veniva spesso la febbre alta, qualche volta
con le convulsioni. Questo la faceva spaventare tanto,
perché
non sapeva cosa fare in simili frangenti, era una donna anziana ma
non aveva mai avuto queste esperienze coi suoi figli. La tristezza
più grossa le veniva quando il bambino chiamava sua mamma, lei si
sentiva il cuore straziato e si faceva forza per non piangere con
lui. Invece suo marito Angelico, il nonno del piccolo, piangeva più
forte del bambino quando sentiva che voleva andare da sua mamma in
paradiso.
Tzia
Pietrina quando assisteva a queste scene diventava come una belva. Il
problema non era semplice, il bambino era sconvolto, il nonno troppo
emotivo e Zuanny non riusciva a governare questa situazione.
Il
bambino si era appena ripreso da una convulsione, quando Zuanny era
entrato in casa. «Cosa è successo?» domandò Zuanny vedendo i
volti sconvolti dei genitori anziani.
«Il
bambino si è giogato4»
rispose
pronta la madre. «Ho dovuto chiamare in aiuto Ballore Cauli, quando
ho visto il bambino con gli occhi sbarrati mi sono spaventata.» In
effetti zio Ballore era ancora lì che cercava di tranquillizzare
tzia Pietrina e il marito per lo spavento che si erano presi.
Stava
raccontando che suo figlio, Nino, quando era piccolo e gli veniva la
febbre alta, immancabilmente era sopraffatto dalla convulsione.
«Basta
tenere il bambino tranquillo e rilassato e piano piano passa da
sola.» Non era semplice per tzia Pietrina rimanere tranquilla e a
sua volta tranquillizzare il bambino.
Di
solito quando il bambino si riprendeva, cercava sempre sua
4
Convulso.
mamma,
voleva andare a trovarla in paradiso. «Non d'esti
bessiu ancora de su scrociu ke giai scraxiau de dolori5.» «Che
male ha fatto in questo mondo questa creatura, nessun bambino si
merita di vivere senza la sua mamma» concluse zio Ballore e se ne
andò salutando. La famiglia Algheri rimasta sola si mise a tavola
per consumare la cena della vigilia e nonostante le vicende della
giornata si respirava aria di allegria: il fatto che il bambino si
era ripreso e la febbre se n'era andata aveva reso tutti di
buonumore. «Domani è la festa di S. Michele e gli uomini di questa
casa vanno tutti in processione, quindi a nanna subito che domani
dobbiamo alzarci presto» disse tzia Pietrina.
La
processione si snodava dalla Chiesa di S. Michele verso la via Roma.
I bambini dell'asilo vigilati da suor Liberata e suor Crocifissa
camminavano in testa al corteo seguiti dalle bambine della prima
comunione con il loro abito bianco.
Seguiva
tziu Battista Arroderi, il sacrestano, che reggeva una pesante croce
ed era seguito a sua volta da una schiera di chierichetti. Il
canonico Acca con una grossa mantella dorata tenuta ai lembi da due
chierichetti, avanzava come un sovrano guerriero in capo ad un
esercito.
Dietro
di lui la statua del santo, portata a spalla da is cunfraras6,
circondata
dai cantori del rosario: il gruppo delle prioresse cantava con
un'intonazione sopranica prolungata da cui si riconosceva
distintamente la voce di tzia Leontina.
Il
gruppo degli uomini rispondeva con tono basso e profondo
5 Non è
ancora uscito dal guscio che già si strazia dal dolore.
6
I confratelli.
ma
le voci sembravano unite fra loro come se fossero guidate da un unico
suono: diventava una competizione quella del canto del rosario come
se alla fine si dovesse portare a casa un trofeo. Il corteo dei
paesani seguiva il santo percorrendo tutte le strade principali del
paese.
Dalle
finestre delle case pendevano tappeti e sopraccoperte ricamate per
rallegrare i luoghi dove passava il santo. Gaia, affacciata alla
finestra di casa sua, da dove pendeva una fanuga
de pibioni7 antica,
lasciava cadere dei petali di fiori sulle persone che seguivano il
santo.
Intravide
Zuanny che teneva la mano del suo bambino e cantava a squarciagola le
strofe del rosario. Aveva anche salutato con un cenno di mano ma Gaia
aveva fatto finta di non vedere. Era sempre tetra, con uno scialle di
tibé ricamato, buttato sulle spalle: sembrava la vergine
addolorata.
Quando
il corteo scomparve dietro la curva della strada, lei rientrò in
casa e si mise ad aiutare sua madre ad apparecchiare la tavola.
«Faccio io mamma, oggi voglio mettere una tovaglia del mio corredo a
tavola, altrimenti marcisce nella cassa.»
«Fai
bene figlia mia, bisogna rallegrarla oggi la tavola, S. Michele si
deve sedere con noi a pranzo e deve portarci la buona fortuna.» La
tovaglia era di scacchi
imbriagu8 con
le iniziali di Gaia ricamate al centro con punto croce. Era un pezzo
del suo corredo residuo di quando era partita suora, che non aveva
portato perché le tovaglie non le avevano volute.
Il
corredo che si era portata nel convento non glielo avevano restituito
quando aveva deciso di non prendere più i voti. A lei però non
interessava, c'era ancora il corredo di sua mamma, antico ed intatto,
che lei non era riuscita a consumare. Anche tzia Costantina era una
professionista del telaio e faceva
7
Sopraccoperta tipica sarda con disegni risaltata da pippiolini.
8
Scacchi ubriaco, non regolare.
la
tessitrice fin da bambina. Era proprio il suo mestiere che le aveva
consentito di entrare nelle case dei benestanti del paese e di
guadagnarsi da vivere. Fu proprio questo mestiere che indirettamente
segnò la sua vita e anche quella di Gaia. Quando ancora era
ragazza, tzia Costantina fu messa incinta da un uomo di buona
famiglia del paese ed erano nati due gemelli, Gaia e Aurelio. Tzia
Costantina non fece mai il nome di quell'uomo, non lo aveva rivelato
neanche a sua madre. A cosa sarebbe servito rendere ufficiale quel
nome? A mettere in discredito quell'uomo di buona famiglia, ma
soprattutto avrebbe gettato se stessa nel ridicolo del pubblico
ludibrio. Gaia, però, la rimproverava sempre per averle taciuto il
nome del padre. «A cosa ti serve sapere il nome di quella bestia?
Saresti sempre in difficoltà, davanti a quell'uomo e a tutta la sua
famiglia, tutte le volte che l'incontreresti. Perché, sappi bene,
che nessun componente di quella famiglia sarebbe dalla tua parte, ti
considererebbero sempre una figlia di bagassa9.»
Questo
discorso Gaia l'aveva sentito fino alla nausea ma la curiosità di
sapere chi fosse quell'uomo non l'aveva mai abbandonata. Quando era
ragazzina i suoi compagni di scuola la schernivano perché aveva il
cognome di sua madre e lei tornava a casa in lacrime e, disperata le
chiedeva chi fosse suo padre. «Siamo tutti figli di Dio, gli uomini
e le donne sono solo uno strumento.» Rispondeva sempre tzia
Costantina, ma questa spiegazione filosofica non la convinceva, aveva
bisogno di sapere quale uomo di Arradeli aveva fatto l'amore con sua
madre e aveva generato lei e il suo fratello gemello. Erano passati
più di trent'anni da allora e quel desiderio di sapere chi fosse il
padre era andato man mano scemando nella sua coscienza.
9 Puttana.
Un
altro chiodo si era conficcato nel suo cuore e le aveva scardinato
l'anima. Prima che scoppiasse la guerra si era innamorata di Lorenzo,
un gran bel giovane che a sua volta aveva perso la testa per lei.
Entrambi avevano grandi progetti per costruire una vita insieme. Lui
era pure istruito, aveva conseguito la licenza ginnasiale ad Ales e
aveva prospettive per un impiego di concetto; lei, grande
professionista del telaio che le consentiva di vivere bene, tessendo
i corredi delle spose. Ogni sposa che si rispettasse, allora, doveva
portare in dote le tessiture artigianali che servivano per
impreziosire il corredo, come i bei tappeti, la bella bisaccia, la
bella sopraccoperta, che nessuno si faceva mancare. Le tessiture
ordinarie, ognuna, se le tesseva da sé, ma quelle belle, le spose
che se lo potevano permettere, le facevano fare dalle tessitrici
professioniste e Gaia era fra quelle.
Gaia
era anche molto veloce nelle lavorazioni, le persone non le faceva
aspettare tanto, quando le facevano un ordine, lei lavorava notte e
giorno per portarlo a termine e coi prezzi era molto onesta. Per
questo la gente la preferiva rispetto ad altre, ma aveva un’abitudine
singolare, non consegnava il lavoro finito se prima non glielo
pagavano. Infatti lei aveva tanti pezzi del suo corredo personale che
facevano parte di corredi ordinati da altri ma mai ritirati.
C'erano
tutti gli elementi per costruire una bella famiglia ma la guerra
aveva cambiato il loro destino. Gaia e Lorenzo non erano fidanzati
ufficialmente, erano solo molto innamorati l'uno dell'altra, ma la
famiglia di lui era molto ostile a quel matrimonio e si oppose.
Ma
Lorenzo non riusciva a stare senza Gaia neanche un istante, di notte
quando tzia Costantina si metteva a letto, Gaia, di nascosto lo
faceva entrare in camera sua, situata dalla parte opposta a quella di
sua madre. Facevano l'amore fino al mattino, poi lui se ne andava
senza fare rumore.
L'ultima
notte, prima di partire, le lasciò un biglietto con una poesia.
Quella
poesia Gaia la leggeva cento volte al giorno e quando era di
buonumore la canticchiava al ritmo del ballo sardo.
A
su kitzi su primu pensamentu m'inci portada a tui, amori miu. larbas
tuas disigiu onnya momentu po ti onai s'abidu miu.10
Su
trobaxu ki movisi a mengianu po tessiri su nomini miu in su coru ti
pongu sa manu po t'intenduri su sentidu ki est miu.11
In
s'ora ki passu cun tui s'anima tua mi sanziat su cori mi stringit sa
fida cun tui e mi pota po prenda de amori12.
Su
sinnu miu ti lassu in s'intrannia e in su coru ki prusu non ci passu
cunserva su tesoru.13
10
Al mattino il mio primo pensiero, mi porta fino a te amore mio!
Le tue labbra desidero in ogni momento per donarti l'alito mio.
11
Il telaio che muovi la mattina, per tessere il mio nome, sul
tuo cuore metto la mia mano per ascoltare il tuo sentimento per me.
12
Nell'ora che passo con te la tua anima culla il mio cuore mi
stringe la vita alla tua e mi tiene come pegno d'amore.
13
Ti lascio il mio segno nel tuo seno e nel tuo cuore se
non farò ritorno
conserva
quel tesoro.
Quell'ultima
notte d'amore finì molto presto, lui doveva partire ma prima doveva
passare a casa sua per prendersi la roba. Tzia Costantina faceva
finta di non accorgersi delle visite notturne di Lorenzo. Lei non
aveva mai conosciuto quel tipo d'amore ma voleva che almeno sua
figlia lo conoscesse. Quando un ragazzo e una ragazza si amano
davvero, devono conoscerlo fino in fondo l'amore che li lega: quando
aveva capito che questi ragazzi non potevano vivere l'uno senza
l'altra, aveva smesso di essere severa con sua figlia e l'aveva
lasciata fare, facendo finta di non accorgersi dei loro appuntamenti
segreti.
In
fondo lui era di buona famiglia, benestante e colto; lei, gran brava
ragazza, grande lavoratrice e rispettosa del prossimo, ma figlia
illegittima. Il padre di lui però, non ne voleva neanche sentire
parlare di Gaia e aveva minacciato il figlio di diseredarlo se si
fosse ammogliato con quella figlia di bagassa.
Questi
erano gli impedimenti che vietavano a questi ragazzi di mostrarsi
assieme pubblicamente e tanto meno di andare assieme in chiesa. Si
vedevano di nascosto anche da tzia Costantina che indispettita per le
osservazioni del padre di Lorenzo, con quella famiglia non si voleva
mescolare neanche lei.
«Mai
bagassas
gli
manchino nella sua casa!» Diventava furibonda quando Gaia parlava di
quella famiglia e diceva che erano dei pezzenti, arricchiti col
mercato nero del fascismo. «Io la mia vita me la sono costruita con
le mie forze, senza imbrogliare nessuno e non ho fatto la bagassa
coi
bagasseris14
come
lui.» Gaia la lasciava parlare per farla sfogare, anche lei aveva i
suoi drammi, non ancora sopiti e voleva vedere la sua figlia
sistemata con tutti i crismi con un uomo povero ma onesto.
14
Puttanieri.
Sapeva
che Gaia stava vivendo il suo dramma di donna sconfitta dalla vita
sentimentale. Quando era arrivata la notizia della morte di Lorenzo,
la sua famiglia non l'aveva presa minimamente in considerazione, non
l'avevano fatta partecipare neanche ai riti del lutto paesano, lei
non era consumata dal pianto ma piuttosto affogata nel dispiacere.
Questo ragazzo era partito solo da una settimana che rimase subito
vittima di un bombardamento. Quel giorno stesso, lei si accorse di
essere incinta. Certo che non poteva andarlo a dire ai genitori di
Lorenzo, ma neanche a sua madre stessa. Eppure, chi meglio di sua
madre poteva capire il suo problema?
Non
avvertiva il bisogno, in quel momento, di confidarsi con qualcuno, ma
di trovare una soluzione al problema dentro di sé. Era consapevole
che questo dramma lo doveva vivere da sola, così come da sola
doveva prendere le soluzioni; lei non sapeva neanche quali soluzioni
possibili avesse davanti.
L'unico
svago che aveva era il telaio, tesseva ininterrottamente, senza
tregua, sentiva il bisogno di non pensare e per questo doveva
stancarsi fisicamente fino allo sfinimento. Quando sua madre usciva
per qualche commissione e lasciava il bestiolo15
attaccato
alla mola del grano, lei lo staccava e si sostituiva al bestiolo
spingendo
lei la macina. Questa fatica le procurava sollievo all'anima, le
impediva la capacità raziocinante, lei non voleva trovare soluzioni
ai suoi problemi, desiderava non esserci, staccarsi dal suo essere e
lasciare tutto il suo vissuto incanalato in una direzione che non
voleva conoscere. Quell'attività di sostituirsi al bestiolo
stava
diventando quasi un'abitudine, finché un giorno sua madre, quando
rientrò dalle solite commissioni, trovò la figlia immersa in un
lago di sangue.
«Figlia del
cuore mio cos'hai fatto?» «Nulla mamma, ho lasciato solo che ciò
avvenisse.»
15 Asinello.
Tzia
Costantina fece stendere Gaia su una stuoia di spadula16
che
aveva disposto nella camera attigua a quella del telaio, le aveva
preparato dei panni bagnati con acqua fredda per farsi impacchi
sull'addome per fermare l'emorragia e andò a chiamare il medico.
Il
problema si risolse con qualche giorno di riposo stando sempre stesa
senza cuscino. Quando Gaia si riprese completamente, sua madre
affrontò il discorso per confidarle le sue avventure di quando lei
era rimasta incinta dei suoi gemelli.
«Quando
quell'animale mi prese nel solaio delle fave di casa sua, nel quale
mi aveva mandato con la scusa di prendere del filato di cotone,
abusò di me in maniera così rapida e violenta che non ebbi
neanche il tempo di rendermi conto.
Ci
riprovò anche qualche giorno dopo ma riuscii ad evitarlo
minacciandolo di dire tutto a sua moglie. Mi ordinò di sparire di
casa sua e di dire a sua moglie che non volevo più lavorare nella
loro casa.
Me
ne andai volentieri e dissi a sua moglie che non potevo più
lavorare fuori casa perché avevo avuto tanti ordini di corredi, se
voleva, potevo fare qualche lavoro per loro in casa mia. Da quel
giorno non uscii più di casa per la vergogna e la sporcizia che mi
sentivo addosso: anch'io come te facevo dei lavori bestiali per
procurarmi l'aborto, spostavo tutti i giorni il telaio dicendo a mia
mamma che non trovavo la luce giusta per vedere i punti del ricamo.
Per
fortuna che non era successo nulla e che tu e tuo fratello
16
Arbusto che cresce nei fiumi, serviva per fare le stuoie.
siete
nati sani e belli come fiori. Il giorno della vostra nascita è
stato il giorno più bello della mia vita. Mia mamma, bonamma17,
mi
è stata vicina in tutti i sensi e mi ha aiutato a tirarvi su e a
non farvi mancare niente.»
«Ma
lui sa che siamo figli suoi?» chiese Gaia. «Non credo che lo
sappia, lo potrà immaginare ma non si è mai interessato,
altrimenti un modo per farsi vivo l'avrebbe trovato. Io ringrazio il
Signore di avermi dato la salute, per il resto quello che all'inizio
sembrava una tragedia, dopo è diventata la mia contentezza. Bisogna
accettare quello che il Signore ci manda senza abbandonarci a
semplici sentimentalismi e ragionare preventivamente su ogni azione
che dobbiamo compiere nella nostra vita: quando si compiono atti
senza ragionarci prima, arrivano sempre le disgrazie.» Questo
concetto Gaia l'aveva capito bene e pagato pure a caro prezzo il
fatto di aver fatto delle scelte senza aver ragionato prima. Altro
errore molto triste era stato quello di chiudersi in un convento per
soffocare il suo dolore. Il lavoro, la meditazione e la disciplina di
vita quotidiana non riuscivano a distoglierla dai soliti pensamenti.
Aveva sempre voglia di ricominciare per non commettere più gli
stessi errori. Non aveva capito che il tempo vissuto era andato via,
ora bisognava viverne un altro, con nuovi programmi e nuovi
protagonisti: ma lei aveva voglia di rivivere il tempo passato
perché quelle cose irrisolte non le consentivano di fare altri
passi. Bisognava pregare tanto per trovare il modo di lasciarsi alle
spalle quella porzione di vita che non c'era più e non serviva
più, tranne che ad evitare errori già fatti. Si rendeva conto che
la sua indole la portava ad esprimersi e a manifestare la sua
personalità attraverso azioni materiali senza che ciò non fosse
prima, presente nell'intelletto. L'istintinto l'aveva portata a
17 Buonanima.
trovare
la soluzione peggiore tutte le volte che si era trovata a dover fare
delle scelte importanti di vita. Aveva ragione sua madre quando
diceva, che, soprattutto le donne, devono sempre prefigurarsi
l'evento prima che accada, se non si vogliono commettere errori.
Sua
madre rispetto a lei, anche se con due figli illegittimi, si sentiva
una donna realizzata, perché i figli le avevano riempito la vita ed
era orgogliosa di aver mantenuto il suo segreto e di aver cresciuto i
suoi figli senza l'aiuto di nessuno, al di fuori di sua madre. Gaia,
al contrario, si sentiva sconfitta, distrutta e senza speranza,
voleva solamente non esistere.
CAP
2
La
richiesta di matrimonio
Il
pomeriggio di S. Michele tzia Pietrina decise di far visita in casa
di Gaia. Si era tolta il lutto che aveva portato fino a quel giorno,
per la nuora defunta: e si era messa, per l'occasione, il costume che
aveva indossato per la prima uscita in chiesa per il suo
fidanzamento.
Una
gonna di crespo viola plissettata con pieghe alternate (pesagroca)18,
il grembiule di crespo nero con un orlo a giorno ricamato con un filo
del colore della gonna. Il gippone19
era
di raso nero con riflessi viola, il fazzoletto di seta marrone con
l'angolo ricamato a rintaglio e lo scialle di tibè nero sistemato a
rettangolo sulle spalle ma col ricamo all'interno. Col suo passo
lento che sembrava seguisse l'ondeggiare della gonna, tzia Pietrina
arrivò davanti alla casa di Gaia, un arco in pietra verde
incorniciava un vecchio portone antico con lo sportello
semiaperto:«Si podidi?»
«Intrai
a
ki adessi» rispose
tzia Costantina dal cortile dove sistemava l'asinello che aveva
appena staccato dalla mola. «Avanti, avanti, venite dentro.» Anche
Gaia le venne incontro nella veranda, ammirata dalla sua eleganza.
«Come
siete elegante tzia Pietrina! Questo è il vostro costume da sposa?»
«Il mio costume da sposa è conservato per un'altra occasione»
rispose tzia Pietrina volgendo gli occhi verso il cielo. «Questo è
il mio costume della prima uscita in chiesa dopo il
18 Alte e basse.
19 Pezzo del costume femminile di Arradeli.
fidanzamento,
è stato cucito da una sarta di Arradeli, tzia Genita, non te la
ricordi Gaia?» «Sì me la ricordo bene, entrate dentro però, non
state sull'uscio di casa!» disse Gaia facendole strada verso una
stanza che affacciava sulla veranda.
Era
s'aposentu
bellu20 dove
ricevevano persone di riguardo, era arredata con un vecchio comò,
un tavolo con sopra un grosso centro fatto all'uncinetto, un canapè
e delle sedie con un'impagliatura verde. La stanza era molto
luminosa, si accedeva dalla veranda e prendeva luce ad ovest da una
piccola finestra che dava sulla strada pubblica.
«È
proprio bella questa gonna» riprese Gaia con curiosità «ha una
plissettatura particolarissima.» «È tipica di Arradeli, si chiama
pesacroca21,
lavorava
bene quella sarta, a me aveva cucito anche il costume da sposa e sono
rimasta molto contenta.»
«Anche
a me aveva fatto dei lavori e sui lavori in sé non ho mai avuto
nulla da dire, ma sui tempi di esecuzione sì, ti faceva aspettare
tantissimo...» I discorsi si avviavano su argomenti di sartoria e di
tessitura, erano persone tutte competenti e appassionate di
tessiture, si poteva dire che ad Arradeli erano le persone di
riferimento per chi voleva avviare un lavoro col telaio, ed erano
disponibili anche a tessere per altri.
Gli
argomenti non mancavano, ma tutte e tre aspettavano il momento giusto
per cambiare discorso. «Come sta il bambino?» chiese tzia
Costantina in un momento di pausa.
«Come
vuoi che stia un bimbo senza mamma? Noi siamo vecchi, lui vorrebbe
sempre giocare ma non possiamo farcela! A una certa ora, di sera, gli
viene la malinconia e chiede di sua mamma... Vuole andare da lei in
Paradiso.
20
Stanza di riguardo per ricevere gli ospiti. 21
Tipo
di plissettatura della gonna del costume di Arradeli.
Mio
marito quando lo sente piangere non riesce più a controllarsi,
piange anche lui e se l'abbraccia e se lo coccola... “pulcino mio,
angioletto mio”, il tuo nonno va da lei e te la riporta a casa:
ieri mentre piangevano, nonno e nipote, è entrato in casa Zuanny e
pure lui si è unito al coro del pianto... Finitela, ho detto io, la
bonamma è stata pianta e attitata22,
ne
abbiamo versato tutti di lacrime, ma ora basta, questo bimbo deve
vedere gente allegra, vivere in un'atmosfera diversa, che gli procuri
gioia.
La
situazione è drammatica comare mia, ma più di quello che stiamo
facendo, non possiamo farlo.» «Il bambino dorme da voi?» «No,
dorme con suo padre in casa sua, al mattino presto io e mio marito
andiamo da loro, preparo la colazione per tutti e mio marito foraggia
i buoi e li prepara per avviarli in campagna, io mi prendo il bambino
e me lo porto a casa mia. È molto buono poveretto, gioca
tranquillo, si diverte a inseguire le galline, ad accarezzare i gatti
e i cani, ma quando poi arriva l'ora funesta non riesco a consolarlo.
Abbiamo
bisogno di te Gaia, non tanto per il bambino quanto per Zuanny, se
lui è contento, diventa sereno il bambino e torna l'allegria. La
nostra casa ha bisogno di luce, Gaia, della tua luce.
Io
so che donna sei e che donna è tua madre, Gaia! Ci conosciamo da
sempre, ricordo quando Zuanny andava a scuola con te, eravate due
angioletti... Zuanny mio, sapete bene che uomo è, buono come un
pane appena sfornato, che te lo puoi prendere a morsi, grande
lavoratore e molto mite, non l'ho mai sentito alzare la voce, né
con me, né con suo padre.»
Intanto
Gaia aveva portato un vassoio con tre tazze di caffè e una
zuccheriera. «Prego, servitevi pure, bisogna mettere lo zucchero.»
22 Pianta col
lamento funebre.
Tutte
e tre le donne sorseggiarono il caffè aspettando che qualcuna di
esse riaprisse il discorso di prima. Fu proprio tzia Costantina a
ricominciare a parlare chiedendo delle persone che l'aiutavano nei
lavori di casa.
«Tante
persone mi aiutano, come farei da sola a fare tutto? Ciccitta Tina,
la nostra spigolatrice di sempre, pensa a portare il grano al mulino
e a setacciare la farina.» «Voi non avete più il bestiolo?»
«Sì, ce l'abbiamo ma non maciniamo più il grano in casa, ora il
bestiolo fa il signore in casa nostra» concluse scherzando.
«Ciccitta fa il pane da sola, Zuanny l'aiuta a ciuexi23,
e
io lo inforno soltanto; quando facciamo il coccoi, per le feste,
viene comare Margherita Cotza ad aiutarci. In casa nostra si consuma
molto pane, tre civraxi al giorno solo per gli operai della campagna:
uno per su murzu, uno per il pranzo e l'altro per la merenda che
fanno a casa alla fine giornata. A questo pensa tutto Ciccitta,
prepara dal giorno prima le sacchette del pane e quelle del
formaggio, il vino lo bevono solo a casa, la sera a merenda. Gli
operai dopo la merenda governano il bestiame, puliscono le stalle e
se ne vanno a casa loro, Zuanny deve coordinare il lavoro di tutti,
organizzare i lavori in campagna e poi deve pensare al bambino...
Gaia non ti vogliamo per farti fare la serva in casa nostra, tu devi
fare solo la signora, abbiamo tanta gente che collabora con noi,
tutte persone che sono felici di servirci, perché la nostra
abbondanza non la facciamo mancare a nessuno. Tu sarai regina in casa
tua, come lo sono stata io quando sono entrata in quella casa.»
«Come fate a trovare il tempo per tessere?» «Io per me non faccio
più niente, seguo solo qualche ragazza che sta tessendo in casa
sua, ma per me tiro i licci solo
23
Lavorazione della pasta del pane.
raramente:
il telaio è impiantato, per una fanuga
de pibioni, un
telo l'ho fatto, uno è a metà, il terzo è da fare, quando Dio
vuole lo finirò... Se campassi per consumare i corredi che ho
tessuto, dovrei vivere davvero molti anni ancora...»
«I
lavori vostri, quelli che ho visto, sembrano dello stile arradese, ma
voi non siete villanovese?» «Io, quando sono arrivata sposa, le
cose belle che ho portato erano del corredo di mia mamma, io mi ero
tessuta solo le cose di tutti i giorni, quindi non mi ero mai messa
nella vera tessitura di bisacce e arazzi.
Mia
suocera, allora, aveva la tessitrice fissa in casa, era davvero un
genio del telaio, faceva di quegli abbinamenti di colori e con punti
che io non avevo mai visto prima, Mariallena Concas si chiamava, era
originaria di Serzala. Questa donna mi aveva fatto innamorare di quei
lavori meravigliosi e, così piano piano mi sono messa anch'io a
farli, e così mi sono appassionata sempre di più.
Mia
suocera aveva due serve fisse in casa ed io ero libera dalle faccende
domestiche e potevo dedicarmi a questo lavoro meraviglioso: mi sono
fatta un altro corredo con questo stile arradese, quello a bagas e a
perraposta, che voi conoscete bene. Zia Mariallena mi aveva insegnato
anche ad ordire: ora, forse, siamo rimaste in poche a saperlo fare in
paese.»
Era
un piacere ascoltare parlare tzia Pietrina, era una donna benestante
ma molto alla mano, simpatica e col senso dell'umorismo. Si alzò
dalla sedia osservando che il sole stava calando e si era fatto molto
dardi.
«Spero
che Gaia ascolti la nostra proposta, così potrà riportare la luce
nella nostra casa, rabbuiata da tempo. Non ti pentirai Gaia! Gli
Algheri sono una bella razza, sono cinquant'anni che io ci vivo
assieme e ti assicuro che non mi sono pentita, anzi, se dovessi
rifare quella scelta la farei ancora: Dio vi guidi nella riflessione,
quando volete datemi risposta.»
Tzia
Pietrina se ne andò abbracciando le due donne con gli occhi lucidi:
«A
si
biri melusu24.»
Le
due donne rimaste da sole non dissero una parola: Gaia non aveva
voglia di pensare all'accettazione di quella proposta; tzia
Costantina non voleva aggiungere nulla a quello che aveva detto tzia
Pietrina, per convincere Gaia. Era meglio dormirci sopra e la
decisione sarebbe arrivata da sola.
24
Arrivederci.
CAP
3
L'accettazione
Il
giorno di Santa Teresina, Ciccitta Tina, spigolatrice della famiglia
Algheri bussò di buon'ora alla porta di tzia Costantina, portava in
un grosso canestro, fatto di giunchi, un mezzo maialetto arrostito
avvolto in un fascio di mirto con i fiori bianchi ancora attaccati;
di sopra c'era un grosso Coccoi25
fatto
da tzia Margherita; il tutto ricoperto da una tovaglia, di scacchi
imbriagu26, orlata
con un grosso pizzo fatto all'uncinetto.
«Cosa
porti Ciccitta?» «Ve lo manda tzia Pietrina Cabiddu.» E se ne
andò frettolosamente senza neanche salutare. Gaia vedendo questo
presente andò su tutte le furie: «Cosa credono di conquistarmi con
un maiale arrostito?» «Non dire eresie Gaia! Comare Pietrina ha
fatto solo una gentilezza, perché sa che noi non facciamo mai il
maialetto arrosto, siamo due donne sole, mangiamo poco e non abbiamo
neanche la possibilità di imbarcarci in una fatica immane per un
pezzo di carne, non mi sembra voglia conquistarti con un maiale, non
ne ha proprio bisogno, e se poi vuoi rifiutare la loro proposta, sei
libera di farlo: se vuoi vado io stessa e portarle il rifiuto.» Gaia
si chiuse in se stessa e non parlò più fino all'ora di pranzo, ma
poi si mise ad apparecchiare la tavola a festa e ci mise sopra la
preziosa vivanda e il bel pane che dispiaceva spezzarlo tanto era ben
fatto. A tavola iniziò lei il discorso e chiese a sua madre come
25 Pane di pasta
dura lavorato con incisioni e frastagli. Pane tipico delle feste
arradesi.
26 Scacchi
ubriaco, irregolare.
dovevano
comportarsi per restituire il canestro alla famiglia Algheri. «Comare
Pietrina è donna intelligente e conosce la simbologia dell'oggetto
della restituzione.»
«Allora
spiegami questi significati, così capisco anch'io in che modo ci
dobbiamo comportare.» «Dipende dal tipo di risposta che vuoi
mandare a dire: se non vuoi accoglierla, restituisci il canestro con
un prodotto insignificante come caffè, zucchero, biscotti; se,
invece, vuoi accogliere la proposta mandi una coppia di colombi, o
una di tortore o un altro animale, ma dev'essere vivo, che
rappresenti la continuità della vita.»
«Come
mai lei ha mandato una cosa cotta?» «Lei ha mandato un pranzo fatto
di carne e pane, se tu vuoi limitare il discorso al pranzo, devi
mandare una cosa che chiuda il pranzo, come dolce, caffè o frutta:
se mandi una bestia viva, le fai capire che la vita continua con te.»
«Se uno non possiede la bestia viva che fa?» «Se la procura!»
«Allora procurala, mamma, e portagliela, prima che cambi idea.»
Tzia
Costantina restituì la corbula27
con
le tortore il giorno dopo: subito dopo l'ora di pranzo si presentò
a casa degli Algheri col canestro sull'anca sinistra, tenendo ferme
le bestie con la mano destra. Sebbene fossero legate assieme con un
27
Canestro.
robusto
fiocco bianco, non si trovavano a loro agio, sballottate in quel nido
insolito. Trovò la famiglia Algheri riunita in veranda che cercava
di far divertire il bambino con un tamburo fatto con un pentolino e
una testa di fuso.
«Accomodatevi,
entrate dentro» disse il capofamiglia, tziu Angelicu. Nessuno in
quella casa si aspettava una risposta così rapida e, tanto meno con
un volatile che voleva significare l'accettazione della proposta.
Tzia
Costantina porse il canestro a tziu Angelicu, lui lo prese con
commozione, appoggiò per terra il canestro e le baciò le mani.
«Zuanny! Assieme al bambino liberate le tortore e fatele volare nel
cortile assieme alle nostre bestie.»
Zuanny
non se lo fece dire due volte, slegò il fiocco che teneva assieme
le due bestioline, se lo mise in tasca e, insieme al bambino lanciò
in aria le tortore. «Evviva! Che sia sempre allegria, allegriaaa...»
gridarono tutti in coro.
«Deus
bollada
po sempri28» disse
il vecchio. Tzia Pietrina aveva già portato il caffè nelle tazze
antiche di porcellana, che erano state di sua madre. Quelle tazze, in
tutta la loro esistenza, erano state usate non più di un paio di
volte: erano stati rari in quella casa i momenti belli, e questo era
uno di quelli che meritava l'uso di quelle tazze. Avevano bevuto il
caffè in cucina sul tavolo grande, ancora mezzo apparecchiato per
il pranzo appena finito. Era una cucina molto grande con grosse
caldaie di rame appese alla parete di fronte alla porta d'entrata e,
un grosso braciere, sempre di rame, appeso sulla cappa del camino.
C’erano dei grossi fornelli in muratura con dentro incastonate le
griglie per il carbone, ma erano palesemente fuori uso perché sopra
c'era
28 Dio lo voglia
per sempre.
appoggiata
una cucina a gas. Sulla parete di fronte al camino c'erano appese
tutte le stoviglie: in alto c'erano le pentole disposte in rigoroso
ordine di grandezza decrescente e in seconda fila le padelle e ancora
più in basso i pentolini e padellini.
In
ultima fila c'erano tutti i mestoli di varia grandezza: spiccava, per
le misure sproporzionate, un ramaiolo che serviva per raccogliere la
ricotta. C'era anche l'angolo degli spiedi e quello dei taglieri.
Sulla parete dove c'erano i fornelli c'era una grossa mensola di
legno che reggeva le pentole di terracotta, anch'esse disposte a
bocca in giù l'una di fianco all'altra in ordine di grandezza.
Era
la classica cucina degli antichi Massari arradesi, con un grosso
camino che conteneva dentro tutti i componenti della famiglia. In
quella cucina si cucinava e si mangiava; attigua a quella ce n'era
un'altra più grande, dove si faceva il pane e c'erano tutti gli
attrezzi per la farina e la lavorazione del pane. Tutte la pareti
erano ricoperte da crobis29,
canisteddus30, canisteddas31, poinas32 e cibirus33, sadazzus34,
sciadazzadoris35 e turras de farra36. C'era
anche un caminetto che veniva usato d'inverno, quando facevano il
pane, un armadio che conteneva i panni e le coperte per il pane e i
tavoli del pane che venivano usati solo per la lavorazione del pane.
Nella cucina grande c'era una parete solo per le sciveddas37
di
varie misure che servivano
29
Canestri cuputi.
30
Cesta piatta grossa per setacciare la farina e mettere il pane
in
fermentazione.
31
Cesta piatta di misura media per disporre is coccois.
32
Cesta piatta piccola per separare la semola grossa da quella
fine.
33
Cerniglia sottile per separare la farina bianca sottilissima da
quella più
grossa:
serviva per l'ultimo passaggio di lavorazione della farina.
34
Setacci.
35
Trespolo di legno con due binari per far scorrere il setaccio
nella lavorazione della farina.
36
Sessola di legno per il travaso della farina.
37
Conche di terracotta per impastare e lavorare la pasta del
pane.
per
impastare e contenere la pasta durante la lievitazione. La cucina
grande non serviva per viverci ma esclusivamente per il pane e le sue
lavorazioni. Tzia Costantina guardandosi attorno in cucina si rese
conto che in quella famiglia c'era tanto benessere, le cose erano ben
tenute e ordinate, era evidente che le cose venivano usate
quotidianamente e fatte vivere nei modi dovuti. «Grazie
dell'accoglienza!» disse tzia Costantina alzandosi dalla sedia per
andarsene. «Quando vorranno i fidanzati, si metteranno d'accordo per
l'uscita in chiesa e la cosa sarà ufficiale.» «Dio benedica
questa vostra venuta, salutatemi Gaia» disse il vecchio prendendole
una mano e baciandogliela nuovamente. Tzia Pietrina l'accompagnò al
portone e con gli occhi che le brillavano di gioia la salutò
abbracciandola. «Salutatemi Gaia con tutto il cuore e che Dio vi
benedica entrambe.» Era sopraggiunto anche Zuanny, vicino al
portone, per salutarla. «Mamma! Vi sarò sempre grato per il vostro
atteggiamento cordiale e sincero, stasera verrò da Gaia.» E
l'abbracciò commosso. «Adiosu38» disse lei mettendosi lo scialle
sulle spalle per andarsene.
La
prima domenica di ottobre i fidanzati avevano deciso di fare la prima
uscita in chiesa. Gaia con un vestito di seta a fiori si era fatta
trovare pronta nella veranda di casa sua in attesa che Zuanny venisse
a prenderla.
Avevano
percorso la strada per andare in chiesa a braccetto
38 Addio.
sotto
gli occhi increduli dei passanti che non si aspettavano che Gaia e
Zuanny si fidanzassero. In chiesa si misero sul penultimo banco dal
lato degli uomini, di fronte a loro c'era seduto il padre di Lorenzo,
immobile come una statua.
Zuanny
era raggiante di felicità, lei taciturna ma serena, era contenta di
quel momento, l'immagine di quel vecchio davanti a lei la inquietava:
“Maledetto vecchiaccio, dovrai bruciare nel fuoco dell'inferno”
pensava.
Questo
vecchio risentimento per molti anni le aveva invaso il cuore: certo
che far riaffiorare questi risentimenti proprio in chiesa e il giorno
della sua prima uscita con Zuanny era il colmo dei colmi.
In
fondo, quel momento avrebbe voluto viverlo con Lorenzo molti anni
prima ma quel vecchiaccio non aveva voluto, doveva pagare per questo.
Durante tutta la messa non era riuscita a togliersi dalla testa
questi pensieri, ogni tanto Zuanny le prendeva una mano e gliela
stringeva, era calda e morbida, si sentiva bene quando lo faceva e la
richiamava alla realtà.
All'uscita
di chiesa avevano ricevuto gli auguri di fidanzamento da tutti i
paesani, compreso il padre di Lorenzo che lei aveva ignorato
deliberatamente. Erano andati a pranzo da tzia Pietrina come era
d'uso e lei non si era fatta trovare impreparata in questa occasione.
Il
giorno prima si era fatta fare il pane e gli amaretti da tzia
Margherita e i biancheddus39
e
i savoiardi (pistoccus finis)
da
tzia Aurelia Lisci grande specialista di questi dolci. Il padre di
Zuanny aveva procurato il capretto e il maialetto da latte e li aveva
cotti lui personalmente con la presenza del bambino.
Tzia
Ciccitta Tina, spigolatrice di casa, aveva preparato la pasta
39
Meringhe.
fresca:
non potevano mancare is
cruguxonis40 quel
giorno, tzia Pietrina si sarebbe venduta l'anima piuttosto.
L'abbondanza di quella casa era particolare, senza ostentazioni e
senza esagerazioni: quella discrezione piaceva a Gaia come le piaceva
il modo di porsi di tzia Pietrina.
Dopo
pranzo tzia Pietrina la portò al piano di sopra della casa per
farle vedere i suoi lavori. In uno stanzone molto illuminato c'era un
telaio in castagno massiccio con l'impostazione del lavoro di una
fanuga
de pipioni41.
«Che
telaio massiccio! L'avevate portato da sposa?» «No, io non portai
il telaio quando mi sposai, mia suocera non volle, mi fece fare lei
questo telaio da tziu Massimino Porcu, perché il suo vecchio telaio
era andato in frantumi per colpa dei tarli e lo mise nel fuoco:
questo telaio non avrà mai fine, sarà tuo Gaia e potrai tessere
tranquilla quanto vorrai.» «Questo è vostro» disse lei «io il
mio ce l'ho, mia madre cosa se ne deve fare anche del mio? Ha pure il
suo, smontato nel solaio.» «Figlia mia! Se vuoi questo telaio è a
disposizione, è grande e massiccio e durerà cent'anni, io quando
avrò finito questa coperta, che sarà tua, col telaio ho finito,
non ho più la forza di tirare i licci, poi avremo il tempo per
ragionare e decidere cosa fare coi telai.» «La bonamma42
non
aveva il suo telaio?» «Altroché se lo aveva, ma ho fatto smontare
tutto e messo in una stanza in casa loro insieme a tutto il suo
corredo, anche lei aveva tante tessiture, sai, erano ricchi e di un
paese dove ci tenevano tanto alla tessitura, ma io non ho lasciato
neanche uno straccio del suo corredo in giro, è tutto conservato
insieme ai mobili e a tutto quello che aveva portato in dote: la
casa
è
40 Ravioli. 41
Sopraccoperta coi pippiolini. 42 Buonanima.
grande
anche lì, e c'è lo spazio per tenere tutto in disparte. Non ci
mancherà il tempo per andare a vedere e sistemare le cose come vuoi
tu.» Intanto l'aveva raggiunta Zuanny, bello e felice come non lo
era mai stato: «Meno male che avete qualcosa in comune di cui
parlare.» «Questa è una bella coincidenza, speriamo di averne
anche altre, che ancora non conosciamo» disse tzia Pietrina
compiaciuta. Poi erano scesi tutti al piano di sotto e Gaia e Zuanny
avevano deciso di andare a salutare tzia Costantina.
CAP
4
Il
Matrimonio
Gaia
e Zuanny avevano concordato di celebrare il matrimonio il 26
Dicembre, giorno di S. Stefano. Entrambi avevano bisogno di qualche
mese di tempo per sistemare le cose.
Zuanny
doveva sistemare la casa e Gaia il corredo e ordinare i mobili.
Sarebbero andati ad abitare nella vecchia casa di Zuanny, però
doveva fare alcune modifiche.
La
parte dove alloggiavano i buoi l'aveva sistemata da poco e non aveva
bisogno di cambiare nulla. Aveva un ingresso indipendente per la casa
padronale e c'era attiguo un orto enorme. Di fronte all'ingresso
c'era la stalla con sei posizionamenti per le mangiatoie, erano delle
enormi ciotole di pietra verde: una grossa porta la separava dal
pagliaio e sulla destra c'era una grossa cucina che aveva altre due
porte: una dava su una veranda molto lunga che si collegava con la
parte padronale della casa; l'altra si apriva ad ovest dove c'era
un'altra veranda che dava sull'orto e serviva per mettere al riparo
dalle piogge la legna per il camino e per il forno.
In
questa cucina c'era anche un grosso camino, per scaldarsi al mattino
presto e alla sera durante il foraggiamento dei buoi. Serviva anche
per gli arrosti delle carni allo spiedo o alla graticola, per evitare
di sporcare la cucina dove si viveva. In cucina c'erano appesi gli
spiedi di tutte le misure, graticole e taglieri: due grossi tavoli,
entrambi con un cassettone che conteneva i coltelli da macello.
Di
fianco alla cucina, ma separata dal resto della casa, c'era un'altra
stanza dove riponevano attrezzi agricoli dismessi, come vecchi
aratri, ruote vecchie del carro dei buoi, mangiatoie in
pietra:
c'era pure un vecchio telaio. Questa stanza Zuanny aveva deciso di
sgomberarla completamente, farla pulire per depositarci tutte le cose
de sa bonamma43:
tzia
Pietrina aveva accumulato tutto il corredo in due casse sarde
antiche, perché Gaia di quel corredo non voleva neanche sentirne
parlare. Tzia Pietrina già gliene aveva parlato, era anche quello
un gran bel corredo, perché anche quella donna era figlia di
benestanti sardaresi e gli arazzi, le bisacce e i tappeti non se li
facevano mancare. In questi casi la mentalità della gente del paese
si orientava più sulla sfortuna che sulla bellezza del corredo. Non
si diceva apertamente che gli oggetti appartenuti a una donna morta
da giovane potevano portare sfortuna, perciò si preferiva dire che
non serviva. Gaia, con il suo corredo, comunque, non aveva nulla da
invidiare a nessuno, tesseva da quand'era bambina e, in più, aveva
anche il corredo di sua madre che neanche lei era riuscita a
consumare. Dall'ingresso padronale della casa si accedeva ad un
piccolo giardino sul quale affacciava l'intera abitazione. La parte
frontale era costituita dalla veranda con tre archi, nella quale
c'erano tre porte che portavano a tre stanze diverse: s'aposentu
bellu44, la
stanza da pranzo e la cucina. In cucina c'era una scala in legno che
portava al piano superiore, sul quale si sviluppava la stessa pianta
del piano inferiore. C'era la camera da letto matrimoniale, la camera
del bambino (Angelo), già arredata, un'altra camera da letto e in
fondo alla veranda uno stanzone con finestre a est e a ovest che
doveva usare Gaia come laboratorio di tessitura. Il telaio l'avrebbe
posizionato in veranda per il periodo estate/primavera e nelle altre
due stagioni l'avrebbe spostato nella stanza. In quella casa non
esisteva la stanza da bagno; come in tutte le
43
Buonanima. 44 La stanza di ricevimento.
case
di Arradeli, esistevano solo i gabinetti staccati dalla casa, per una
questione igienica, dicevano, ma Gaia pretese che si costruisse un
piccolo bagno vicino alla zona lavanderia situata nel retro della
cucina e accessibile dalla veranda.
Tzia
Pietrina era d'accordo sulle richieste di Gaia: «I tempi cambiano,
non è più come quando ero giovane io che si andava direttamente
all'immondezzaio del bestiame per fare i bisogni.»
Era
una bella contraddizione quella del bagno, che doveva essere staccato
dal corpo della casa per questioni igieniche, ma nello stesso cortile
di casa c'erano i ricoveri dei vari animali: quello dei buoi, quello
dell'asinello, del maiale e in giro per tutto il cortile le galline,
i tacchini, le oche e le anatre e anche conigli.
Gaia
non voleva rinunciare alla comodità e neanche alla presenza delle
bestie, in fondo facevano parte del sistema di vita e costituivano al
tempo stesso il benessere della famiglia.
Parallelamente
alla sistemazione della casa di Zuanny, che procedeva a pieno ritmo,
Gaia completava il suo corredo.
Aveva
tirato fuori dalle casse tutto quello che aveva conservato negli
anni.
Le
tessiture le aveva tirate fuori tzia Costantina e le aveva stese sui
fili dei panni e lasciate all'aria aperta giorno e notte, poi le
orlature e le rifiniture le avrebbe riprese in un secondo momento per
sistemarle definitivamente come si voleva per un corredo da sposa.
Gaia
si stava dedicando al resto della biancheria, le lenzuola di lino
ricamate erano già pronte da tempo, bisognava solo rinfrescarle con
un lavaggio leggero: voleva dare un tocco finale ad un lenzuolo da
mettere la prima notte.
Era
un lenzuolo di tela di lino ricamato a punto ombra con le sue
iniziali da una parte del risvolto e su una federa: voleva
aggiungere
le iniziali di Zuanny sull'altra parte del risvolto del lenzuolo e
sull'altra federa, ma aveva paura che l'inserimento del nuovo ricamo
facesse trasparire la differenza del filo nuovo con quello vecchio.
Doveva
fare delle prove su un altro tessuto poi avrebbe deciso cosa fare.
Man
mano che sistemava le cose, le riponeva sui tavoli che aveva messo in
s'aposentu
bellu per
mostrare il corredo ad amici e parenti prima di trasportarlo in casa
dello sposo.
Gaia
era tranquilla, da quando si era fidanzata non pensava più al suo
passato tumultuoso e sfortunato, era convinta di essersi lasciata
alle spalle quel mondo che l'aveva solamente fatta soffrire.
Un
pomeriggio mentre sistemava alcune cose del corredo e sua madre era
andata a fare delle commissioni, una visita inaspettata le aveva
fatto perdere la concentrazione sulle sue faccende.
La
matrigna di Lorenzo le aveva bussato alla porta: «Permesso? Posso
disturbarti un momento Gaia?»
«Accomodatevi
pure.»
«Mi
sono permessa di disturbarti perché porto un nodo alla gola da
troppo tempo, e ti devo parlare.
Tu
sai che io non sono la vera madre di Lorenzo? La poveretta morì
mettendolo al mondo e dopo pochi mesi, io mi sposai con suo padre e
mi presi cura di lui, si può dire, da sempre.
Fra
me e il ragazzo c'è stata sempre una bella intesa, si è sempre
confidato con me, anche del suo rapporto con te.
Il
giorno prima di partire in guerra aveva litigato con suo padre in
modo furibondo, pensavo si mettessero le mani addosso:
tremo
ancora se penso a quel momento.
Il
ragazzo voleva che suo padre venisse a chiedere la tua mano, ma non
oso riferirti quello che disse mio marito, è stata una cosa
vergognosa e in ogni caso non voleva che tu mettessi piede in casa
sua. “Se così è non vedrai più neanche me” replicò il
ragazzo e se ne andò in camera sua singhiozzando come un vitello.
Andai
io a consolarlo, mi aveva detto che gli spiaceva per me ma suo padre
non lo voleva più vedere, tant'è che partì, davvero, senza
salutarlo.
In
quel momento mi disse che voleva sposarti, ti amava troppo e in più,
forse, aspettavi un bambino da lui. Mi disse che voleva che il
bambino fosse riconosciuto.
Io
di questo non ne ho mai fatto parola con nessuno neanche con mio
marito: con Lorenzo è finita come sappiamo e del bambino io non ho
conosciuto traccia ma non mi sono mai neanche interessata.
Io
ti ho portato un lenzuolo che Lorenzo mi ordinò, quella notte, di
far ricamare dalle suore, con le sue iniziali per te: “Gaia poi ci
ricamerà le sue”, mi disse.
Io
per molti anni ho tenuto conservato questo lenzuolo e non osavo
dartelo, ma adesso che ho saputo che ti sposi, se non ti offendi, io
te lo lascio.»
«Perché
mi dovrei offendere? Se lui vi aveva detto che voleva sposarmi è
come se io fossi rimasta vedova, non vi pare?.»
«Fiuda
bagadia filla mia!» disse tzia Fortunata porgendole il pacco
contenente il lenzuolo.
Quando
la donna se ne andò, Gaia aprì il pacco per guardare il lenzuolo
e si accorse che era identico a quello che aveva lei ma con le sue
iniziali, anche il suo era stato ricamato dalle suore.
Aveva
deciso che le due lenzuola le avrebbe usate assieme, uno sotto e
l'altro sopra, senza aggiungere alcuna iniziale.
Soltanto
lei sapeva che nel suo letto poteva mettere assieme le lenzuola che
portavano le iniziali sue e quelle di Lorenzo.
Questo
segreto non le procurava nessun disagio neanche con Zuanny, perché
aveva avuto la certezza che Lorenzo avrebbe voluto sposarla, ma la
morte glielo aveva impedito, lasciandola quindi vedova, anche se
nubile.
Dopo
aver concluso questo ragionamento si mise a piangere di gusto, quasi
con soddisfazione, come se si fosse sentita ufficialmente vedova.
Nel
suo pianto urlava a se stessa: «Fiuda bagadia
seu abarrada45.»
Quel
giorno le sorprese non erano finite: quando era tornata a casa sua
madre e le stava raccontando l'accaduto, qualcuno aveva bussato
ancora alla porta.
Con
stupore delle donne apparve davanti a loro il padre di Lorenzo, tziu
Pinu Tatti.
«Si
podi
sa meri46?» «Intrai
a
ki adessi47» «Quale
buon vento vi porta in questa casa?» «Uno scrupolo antico, se
permettete voglio chiedere perdono.» «Entrate!»
Le
due donne, molto sorprese della visita, non avevan parole per
iniziare un discorso, quell'uomo non si era mai degnato neanche di
salutarle, quando le incontrava girava la faccia
45
Vedova nubile sono rimasta. 46 Si può padrona? 47 Entrate pure.
dall'altra
parte.
«Io
con voi mi sono sbagliato fin dall'inizio impedendo a mio figlio di
unirsi con te Gaia. Quale padre non vuole il meglio per il proprio
figlio? Io per lui desideravo una principessa non una figlia
illegittima: non lo dico per offendervi, cercate di capirmi.»
«Io
capisco quello che state dicendo, ma se siete venuto per insultarmi
ancora, potete anche andarvene.»
«Perdonami
Costantina, non l'ho detto per insultare ma per dire quali erano i
miei desideri per mio figlio: quando Lorenzo è morto mi sono reso
conto del mio errore madornale. Non avevo considerato che lui si era
innamorato di una donna che lo amava, invece io pensavo alla regina
Elisabetta per lui.
Se
avessi ragionato bene, come avrei dovuto, da buon padre di famiglia,
avrei dovuto assecondare la sua unione con Gaia.
Io
lo so che donna onesta siete stata! Avete allevato i vostri figli con
molta dignità e dato loro un futuro; a Gaia avete insegnato un
mestiere che le consentirà sempre di vivere bene; siete stata solo
sfortunata ad aver incontrato un uomo che vi ha usato solo per i suoi
comodi.
Io
vi ammiro per questo e ammiro Gaia per la sua serietà, ed ora che
si sposa con un brav'uomo io sono contento, avrei voluto che fosse
stato mio figlio al suo posto.»
Quest'uomo
concluse il suo discorso con la voce che gli tremava, dopo aver
parlato con sua moglie, che era andata da Gaia prima di lui, si era
convinto a chiedere scusa a quelle donne che aveva profondamente
offeso tanti anni prima.
«Sono
contenta che ti sia ricreduto Pinu Tatti.
Di
certo non ero contenta quando tuo figlio veniva a cercare Gaia e tu
ci insultavi a distanza, dicendo che ero una donnaccia. Questo non me
lo posso dimenticare.
Apprezzo
la tua umiltà e ti assicuro che questo gesto mi gratifica,
soprattutto in questo momento che Gaia si sta sposando, ma non posso
dimenticare il trattamento che mi hai riservato nel passato.»
«Io
la perdono» intervenne Gaia. «La perdono anche a nome di Lorenzo,
che sicuramente, in questo momento, sta ascoltando questa
conversazione, vi siete lasciati senza saluto quando lui è partito,
il vostro gesto vi rimette in pace anche con lui.»
«Dio
te lo paghi questo gesto, Gaia, e ti ricompensi come tu desideri.
Rimanete
con Dio nelle vostre faccende, buona giornata e a si
biri melusu48.»
Così
andò via commosso chiudendosi il portone alle spalle.
Era
stata una giornata trascorsa nel segno dello stupore e della
rivelazione di sentimenti rimasti nascosti per molto tempo.
Quando
Gaia aveva saputo che Lorenzo aveva rivelato ai suoi genitori che
voleva sposarla, per lei era stato come se il matrimonio l'avessero
già celebrato.
Era
stata una doppia soddisfazione, per lei, sapere con certezza che lei
era davvero nel cuore di Lorenzo.
Eppure
prima di lei c'era stata un'altra fidanzata, ma per un brevissimo
periodo; Lorenzo gliene aveva pure parlato ma le
48
Arrivederci.
aveva
confidato che non era stata una cosa seria e comunque anche in quella
circostanza era stata lei a non volerlo. Aveva avuto un incidente con
la trebbiatrice nell'aia e aveva perduto una mano e da allora non
aveva più voluto sentire parlare di fidanzamento. Gaia ricordava
quel brutto incidente successo a Leontina, sua madre l'aveva pianta
come se fosse morta; quella disgrazia ad Arradeli aveva fatto molto
clamore, e lei era una ragazza molto conosciuta, aveva una voce da
soprano lirico e nelle messe solenni, in chiesa, sapeva cantare da
sola tutti i canti cerimoniali; nelle processioni delle feste del
paese, la sua voce rimbombava in tutte le strade quando cantava il
rosario.
Era
stata una sua scelta quella di non volere più Lorenzo e lui non ne
aveva fatto una malattia, tant'è che si era subito consolato con
Gaia e lei lo aveva amato subito con molta passione.
Una
storia d'amore breve ma intensa, che aveva lasciato segni indelebili,
segni destinati a rimanere perpetui in quel cuore frantumato dalle
incertezze, dalla vergogna e dal disonore che la morale arradese le
aveva cucito addosso.
In
questa fase prematrimoniale si sentiva rinascere da queste macerie
che per molti anni le avevano impedito di vivere: non aveva mai
pianto né lamentato il suo dolore, aveva solo reagito, ma con
scelte sbagliate e avvilenti, ma ora si sentiva sulla strada maestra,
quella che attraverso Zuanny l'avrebbe portata fino a Lorenzo.
Era
arrivato, però, il momento di pensare materialmente a Zuanny per il
matrimonio che si doveva celebrare: lei doveva preparare il regalo
che gli era dovuto, quello che per generazioni e generazioni, ad
Arradeli, la sposa doveva regalare allo sposo: la bisaccia.
Tzia
Costantina aveva già predisposto il telaio con la giusta orditura e
sistemato i quattro licci per meglio favorire
l'intreccio
dei fili e la formazione dei ricami in “a postasa”49.
Aveva
scelto sempre lei, anche i motivi del ricamo, l'abbinamento dei
colori: su ogni tasca, “su foddi50”,
doveva
ricamarci dei grossi vasi contenenti rose recise di color rosso
cangiante e sulla spalla, “su coddu51”
che
per poterla ricamare bisognava rovesciare l'orditura, invertendo il
subbio anteriore con quello posteriore, quindi smontare il telaio e
rimontarlo, e intrecciare un ricamo a perra
posta52. Una
strategia che poche tessitrici sapevano operare per l'enorme
difficoltà che comportava: un minimo errore poteva compromettere
l'intera tessitura.
A
Gaia i lavori di tessitura complicata non facevano paura, anzi,
l'aiutavano a concentrarsi e quindi a non dar retta ai pensieri
futili.
Durante
la tessitura della bisaccia, Gaia con sua madre si alternava a ritmo
serrato per l'intero arco della giornata, allo scopo di tenere in
funzione continua il telaio e dare così continuità al lavoro che
si stava eseguendo, perché le interruzioni, secondo tzia
Costantina, lasciavano intravedere la diversa mano nella tessitura.
In
meno di tre giorni di lavoro continuo portarono a termine la
tessitura della bisaccia, furono ricamate col punto parigi le
iniziali di Gaia Fatteri, di color viola cangiante, com'era d'uso ad
Arradeli.
Le
orlature sui bordi furono rivestite da tessuti di seta ricamati con
filo d'oro.
La
seta di color viola pallido richiamava i colori delle rose ricamate
sulle tasche: un abbinamento di colori che parlava di
49
A poste.
50
Le tasche della bisaccia.
51
La spalla.
52
Mezzo punto.
passione,
di vivacità, e di ardore, tipicità del carattere sardo.
Era
soddisfatta di quell'opera da donare al suo sposo in segno di
collaborazione nella missione che stava andando a compiere.
Adesso
le rimaneva da smontare il telaio e in quella stanza di laboratorio
mettere in mostra il suo corredo per farlo vedere ad amici e parenti
prima di trasportarlo a casa dello sposo.
Nei
canestri e canisteddus53
aveva
sistemato i tappeti, le bisacce e tutto il corredo di grossa
tessitura; sui tavoli aveva disposto la biancheria da letto e da
cucina e nella stanza, chiamata s'aposentu
bellu, tutte
le terraglie e le cristallerie.
Nei
giorni che precedevano il trasporto del corredo alla casa dello
sposo, quella casa sarebbe sembrata una fiera: la gente che vi
transitava per curiosità o per dovere, ne approfittava per portare
anche il presente di nozze.
La
matrigna di Lorenzo le portò dentro una poina, una bisaccia tutta
infiocchettata.
«Tieni
Gaia, questa era la bisaccia che la madre di Lorenzo donò a suo
padre quando si sposarono: secondo le usanze, questa bisaccia avrebbe
dovuta ereditarla Lorenzo, quale primogenito. Mio marito, padre di
Lorenzo, ti ritiene l'ereditiera morale di questi oggetti simbolici e
vuole che sia tu a godertela.
Aprila
e guarda che meraviglia: ci sono le iniziali di sua madre, su una
tasca una P e sull'altra una S. Non l'aveva tessuta lei, se l'era
fatta tessere da tzia Marialena Concas, era la migliore maestra del
telaio allora, persino Rosa Cogatzena è stata sua allieva, guarda
che colori e che rifiniture... goditela figlia mia, questa ti spetta
di diritto...»
Gaia
rimase senza parole, non si sarebbe mai aspettata un simile gesto dal
padre di Lorenzo, ma non riuscì a dire neanche
53 Cesta piatta.
un
grazie a quella donna che aveva fatto crollare il muro dell'orgoglio
fra le due famiglie.
Riuscì
solamente a chiamare sua madre per farle vedere quel capolavoro:
«Bella, bella davvero, questa è opera di tzia Marialena, conosco
bene i suoi lavori, ci sono stata pure io a lavorare da lei.»
«Era
della madre di Lorenzo» disse Gaia «vogliono che la tenga io,
guarda questo punto strano, mamma, non riesco a decodificarlo, tu
riesci?»
«È
uno scacchi
intravarau54, ora
non si fa più, prima lo usavano come punto di separazione tra la
parte ricamata e la parte grezza: è molto complicato e fa perdere
molto tempo.»
«Sono
contenta per il gesto, poi è anche un bel lavoro, accettate un
bicchierino? Il gesto merita un invito!»
«Come
ricevuto, ho molta fretta adesso, verrò a trovarti nella casa da
sposa così vedo come ti sistemi, che vi possiate godere in salute
quello che avete e che Dio vi benedica.»
Un'altra
soddisfazione si era aggiunta alla lista dei piaceri della giornata,
quest'ultima l'aveva, davvero, colmata di gioia, ora le mancava
solamente di congiungere la sua gioia con la vita di Zuanny, non
vedeva l'ora di diventare con lui una persona sola.
Lorenzo
ormai era in cielo e la stava guidando verso la gioia, quella gioia
che non aveva mai conosciuto prima e che adesso, forse, si stava
avviando ad assaporare.
54
Scacchi alternato.
Anche
Zuanny aveva quasi terminato di sistemare la casa: aveva fatto la
stanza da bagno, in cucina aveva abbattuto il vecchio camino e il
muretto dei fornelli, cambiato le piastrelle del pavimento; il nuovo
caminetto l'aveva fatto ad angolo.
Per
la cucina Gaia aveva ordinato un mobile massiccio per contenere tutte
le stoviglie che prima tenevano appese ad un telaio di legno coi
ganci.
Le
stanze erano state solo sgomberate dai mobili della bonamma,
e
imbiancate. Le tavole del solaio le avevano lasciate com'erano, le
avevano solamente carteggiate e riverniciate dello stesso colore di
prima.
Nello
stanzone che Gaia doveva usare come laboratorio, Zuanny aveva
sistemato una vecchia cassapanca sarda dove aveva sistemato le
tessiture che servivano per portare i buoi in processione
“guturadas55” e le bisacce che sua madre aveva regalato al padre
per il loro matrimonio. Tzia Pietrina gli aveva regalato anche le sue
vecchie guturadas,
che
facevano parte del suo corredo.
Dovevano
arrivare solo i mobili che Gaia aveva ordinato e dopo avrebbero
organizzato il trasporto del corredo coi carri dei buoi, vestiti a
festa con is
guturadas al
collo. I carri di tutti gli amici di Zuanny venivano coinvolti per
questo trasporto: partivano dalla casa della sposa, caricavano il
corredo sui carri come per fare una sfilata e facevano il giro di
tutto il paese prima di portarlo alla casa dello sposo.
Tzia
Pietrina aveva il doveroso compito di ricevere la preziosa merce e
mano a mano che arrivavano i carri lanciava is
arrunzus56 sul
corredo come augurio di buona fortuna.
55 Una striscia
di tessitura molto ricamata che doveva fasciare il collo del bue
dalla quale pendeva una campanella.
56 Petali di
fiori mescolati con grano mandorle e monete, per augurare fortuna e
abbondanza.
Una
settimana prima della celebrazione delle nozze, arrivarono i mobili
che erano stati ordinati: durante la loro sistemazione Gaia,
contrariamente agli usi del paese, volle essere presente per farseli
sistemare secondo il suo gusto personale.
Quando,
invece, trasportarono il corredo rispettò le tradizioni, rimanendo
a casa sua, prestando solamente attenzione al carico della roba che
veniva sistemata sui carri.
Al
ricevimento ci pensava sempre tzia Pietrina e poteva rimanere
tranquilla che avrebbe vigilato bene sul corretto svolgimento delle
operazioni: il giorno dopo sarebbe andata lei personalmente assieme a
delle sue amiche a sistemare le cose come piacevano a lei.
Tzia
Pietrina si doveva interessare del banchetto di nozze, aveva già
mandato il grano a tzia Margherita che doveva macinare con la mola
romana. Avrebbe pensato lei anche a setacciare la farina e poi fare
il pane il giorno prima delle nozze.
Tzia
Margherita era la professionista, in paese, del cocoi57
per
gli sposi.
A
tzia Aurelia Lisci aveva mandato le mandorle, le uova e lo zucchero
per gli amaretti e i
guefus; a
tzia Reparata aveva dato l'incarico per fare is
pistocus finis58 (savoiardi)
e le meringhe.
Tzia
Pietrina sapeva coordinare bene questi lavori, era abituata ad avere
tanta servitù e per arrivare a tutto doveva avvalersi,
necessariamente, di manodopera esterna alla famiglia.
Aveva
già organizzato il pranzo nuziale e ingaggiato le persone per la
cucina. La vigilia di Natale, due giorni prima delle nozze, doveva
andare a casa loro il macellaio tziu Faustino Abire, per uccidere le
bestie per il banchetto.
57
Pane di pasta lavorata, tipico pane degli sposi.
58
Biscotti fini, da servire col caffè.
La
festa era già iniziata e nella famiglia Algheri non c'era pace per
nessuno, l'euforia era nel comportamento di tutti.
Era
contenta tzia Pietrina per questo impegno gioioso, più di quanto
non lo fosse stata per il primo matrimonio di Zuanny: allora il
matrimonio si celebrò a Ruinas, paese della sposa e la cerimonia
del brindisi primo ricevimento lo fecero in casa dei genitori della
sposa; da Zuanny fecero solo il pranzo e con la condivisione dei
consuoceri che vollero partecipare anche all'organizzazione.
Questo
aveva impedito a tzia Pietrina di sbizzarrirsi a suo modo e di essere
spontanea nel suo modo di essere: il pane l'avevano voluto mandare
loro e, secondo tzia Pietrina non era a livello del pane di tzia
Margherita.
Questa
volta, invece, sentiva di avere mano libera su tutto, e questo la
gratificava per tutto il lavoro che stava facendo.
Suo
marito, tziu Angelico non riusciva a contenere la propria gioia,
portava con sé ovunque il bambino, spiegandogli che il suo babbo si
doveva sposare e bisognava fare una bella festa e zia Gaia doveva
trasferirsi in quella casa e stare a vivere con loro.
Il
bambino non dimostrava segnali di inquietudine ed era molto
interessato a questa festa che si stava organizzando in casa sua.
A
tzia Pietrina non sembrava vero di rivedere suo marito sorridere
assieme al suo nipotino: non riusciva a dimenticare quando il bambino
chiedeva di andare in paradiso a trovare sua mamma; suo marito si
picchiava la testa coi pugni e piangeva come un ossesso: «Ita mali
at fattu su pipiu59» e
piangeva come non l'aveva mai visto in cinquant'anni.
Ora,
non le sembrava vero di vedere sul volto del marito la stessa
contentezza del giorno in cui nacque quel bambino.
59 Che male ha
fatto il bambino.
Ad
aiutare Gaia a sistemare la roba andarono tre sue amiche: Maria
Ghiani, Maria Laura Concu, Lisenna Pitzoni, tutte e tre nubili come
volevano le consuetudini; impiegarono un giorno intero per sistemare
tutto secondo le indicazioni di Gaia.
Tzia
Pietrina mise a loro disposizione due donne per fare le pulizie e
alla fine della giornata si presentò pure lei con le chiavi della
casa in mano: bisognava chiudere tutto e andare via; fino al giorno
del matrimonio la padrona di casa era lei; solo dopo is
arrunzus di
entrata in casa, Gaia diventava padrona.
CAP 5
SA
COJA ARRADESA
Sa
coja arradesa
e'
istada sempri nomonada,
usanza
biatzesa
da
is antigus tramandada.60
Inghizzanta
in sa familia
a
ci potai s’arroba,
po
primu sa mobilia,
cun
istrangius a maroba.61
Strexiu
e fenu e pabias,
de
forru e de argiolas;
pò
d’ognia attrezzu is maghias,
cun
tianu e cassarolas.62
60
I riti delle nozze tramatzesi
sono stati sempre
nominati
costumi allegri del
paese
dagli
antichi tramandati.
61
Inizia la famiglia
a
trasportar la dote,
per
prima la mobilia
ed
estranei a man devote.
62
Ceste di fieno e pale,
per
le aie e per il forno
il
manico per uso generale
con
pentole d'uso e per adorno.
Sa
moba e su bestiou,
e
su trobaxiu antigu,
accanta
a su maiou
po
manixai su trigu.63
Sa
mama de su sposu
arricidi
d-onnya cosa,
po
garantì su gosu,
in
nomini de sa sposa.64
Su
lettu ddu fadianta
parentis
bagadias,
in
mesu ci ponianta
is
mellus ballàntias.65
Su
espuru inghizzanta,
a
pragontai is cumbidus,
is
mamas cumbidanta,
is
parentis prus antigus.66
63
La mola e l'asinello
e
per tessere il telaio
compreso
il canestrello
in
uso nel granaio.
64
La mamma dello sposo
riceve
ogni cosa,
lavoro
ponderoso
in
nome della sposa.
65
Il letto lo aggiustavano
nubili
parenti,
nel
mezzo ci ficcavano
oggetti
differenti.
66
La vigilia incominciavano
a
portar gli inviti,
le
mamme lo portavano
ai
parenti più sentiti.
Sa
die de sa cojanza
inghizanta
innanti de obrexi,
po
poderai s’usanza
cumenti
depiad’essi.67
Po
bistì sa sposa,
c’iobiada
una bagadia,
po
cussa dì gioiosa
istimentus
de alligria.68
Asutta
de sa fadretta,
froccu
birdi beni cuau,
in
kinzu sa sarretta
po
pungi s’ogu liau.69
A
sa sposa cuncodrada
sa
mama arracumàndada,
tui
siasta fortunada,
cumenti
Deus cumandada.70
l
67
Il giorno delle nozze
all'alba
s'iniziava
rumori
di carrozze
nella
festa dominava.
68
Per vestir la sposa
una
nubile parente
giornata
gioiosa
con
abito fiorente.
69
Sotto la camicia
un
fiocco verde non sott'occhio
sulla vita cosa
riccia
per
pungere il malocchio.
54
Beneditta
filla mia,
po
mat donau onori,
t’accumpangi
s’alligria
e
no biasta mai dolori.71
O
mama mia perdònidi!
is
mancanzas ki apu tentu,
e
babbu no pregonidi
po
custu sentimentu.72
Arriba
poi su sposu,
po
ndì pigai sa sposa.
Oh
fillu gioiosu!
t’arragullu
un’arrosa.73
70
Alla sposa preparata
la
mamma raccomanda.
Che
tu sia fortunata
come
Dio comanda.
71
Benedetta figlia mia
per
questo grande onore,
t'accompagni
l'allegria
e
non veda mai dolore.
72
O mamma mia perdona
in
quello che ho mancato
e
babbo tu ridona
l'affetto
che hai negato.
73
Arriva poi lo sposo
per
prendere la sposa,
oh
figlio mio gioioso
ti
dono la mia rosa.
Onnya
passu ki ponesi a mâu pigada,
sa
fortuna s’accumpangidi in is disigius,
in
beccesa s’inci porti custa strada,
in
d-onnya ora s’abarinti is fastigius.74
Sa sposa cun
su babbu
a cresia
bàndanta.
Su sposu
sezziu a cuaddu,
is parentis
cantanta.75
Si scambianta
i goneddus,
is isposus in
s’altari.
Promittinti
cun is fueddus,
po sempri seus
in pari.76
Finia sa
cerimonia,
ci bessinti a
brazettu,
inghizza sa
baldoria
e cantus a
mutettu.77
74
Ogni passo fatto assieme mano nella mano
la
fortuna vi accompagni coi vostri desideri
in
vecchiaia queste strade vi accompagnano
ogni
ora la passiate col corteggio.
75
Il padre alla sposa
in
chiesa l'accompagna
col
cavallo lo sposo la raggiunge
i
parenti li seguono cantando.
76
Si scambiano gli anelli
gli
sposi sull'altare
con
parole si fanno la promessa
che
per sempre si dovranno amare.
77
Dopo la cerimonia
escono
a braccetto
comincia
la baldoria
con
canti a mutetto.
Arrunzus
cun su trigu
e
folla de arrosa,
su
ritu prusu antigu
po
mama de sa sposa.78
Cun su
sposoriu fattu
augurius pru
diciosus,
seganta poi
su prattu
in peis de is
isposus.79
Arrunzus po is
isposus
in strada
trassigiada,
in usu in
custus logus
po sorti
disigiada.80
In domu de su
sposu
sa mama ddu
s’imprassada,
momentu pru
gioiosu
e prattu ddi
s’izaccada.81
78
Lanci di frumento
con
petali di rosa
il
più bel momento
per
la madre della sposa.
79
A fine cerimonia
gli
auguri fortunati
e
senza parsimonia
si
rompono anche i piatti.
80
Arrunzus per gli sposi
sulle
strade in processione
per
gli auguri generosi
come
vuol la tradizione.
81
In casa dello sposo
è
la madre che li abbraccia
nel
momento più gioioso
per
augurio il piatto spacca.
Beni
benius a domu osta,
s’accumpangi
s’alligria,
in
fortuna beni posta,
po
festa in cumpangia.82
S’est regina
nura mia,
in gust’omu
de arrickesa,
guvernadda cun
alligria
e no timasta
arravesa.83
Saludanta is
isposus,
sa bidda a su
cumpletu,
usanza de is
logus,
po dimostrai
s’affetu.84
82
Benvenuti a casa vostra,
vi
accompagni l'allegria
con
fortuna ben disposta
per
la festa in compagnia.
83
Sei regina nuora mia
in
questa casa di ricchezza
governa
in allegria
senza
offender la saggezza
84
Salutavano gli sposi
i
paesani al completo
gli
usi più pomposi
per
dimostrar l'affetto.
Sa
genti de famiglia,
su
prangiu at preparau,
traballanta
in pariglia
cun
amigus de costau.85
Sa mesa
apparicciada
cun is pru
bellas cosas,
sa tialla
ricamada
e mazzus de
arrosas.86
Costeddas e
coccois,
ponianta in sa
mesa,
proceddus e
angionis,
in mesu a sa
rickesa.87
Bella sa
malvasia,
arruncanti su
muscadeddu,
allirga
cumpangia,
buffendi binu
nieddu.88
85
La gente di famiglia
il
pranzo ha preparato
lavoravano
in pariglia
con
amici di costato.
86
La tavola apparecchiata
con
le più belle cose,
tovaglia
ricamata
e
a mazzi ,delle rose.
87
Focacce con coccois
in
tavola mettevano
porchetta
con angionis
nel
mezzo l'arricchivano.
88
Buona la malvasia
ma
il moscato è più sincero,
allegra compagnia,
bevendo
vino nero.
Su
babbu de su sposu
cun
sa mulleri accanta,
prangendei
de su gosu,
sa
genti ringrazianta.89
Custa
dìe bella
po
sa familia nosta,
abarri
sentinella
po
sa vida osta.90
Is
sobarius sempri prenus
de
trigu e d-onnya lori,
saludi
kena frenus
si
bista cun amori.91
E
totu custa genti
saludu
in sentimentu,
est’istada
cumpraxenti
po fai custu
momentu.92
89
Il padre dello sposo
con
la consorte accanto
il
saluto gaudioso
lo
porgono col pianto.
90
Questa giornata bella
per
la famiglia nostra
rimanga
sentinella
nella
vita vostra.
91
I solai sempre pieni
di
grano e di provvista
salute senza freni
l'amore guardi a
vista
Su
prangiu ddu finianta
cun
du rirtu stranu,
is
ki ddu bidianta,
naranta
fu paganu.93
Una
coppia travestida,
contada
custu fattu,
de
atesu fu benida
po
portai s’utimu prattu.94
Abertu
su fagottu,
su
sposu s'ispantàda,
e
ci ddi tirà tottu,
cumenti
s’inciandada.95
92
E tutta questa gente
saluto
in sentimento
è
stata compiacente
per
creare quest'evento.
93
Il pranzo terminava
con
un rito strano
per
chi partecipava
il
rito era pagano.
94
Una coppia camuffata
raccontava questo
fatto
da
lontano era arrivata
per
portar l'ultimo piatto.
95
Aprendo il fagotto
lo
sposo è in meraviglia
addosso
glielo ha rottO
scappando in
parapiglia.
Cun
ballus e cantus,
sa
festa poi sighiada,
no
amancanta is prantus,
pò
ki si cummoviada.96
96
Con balli e canti
la
festa procedeva
non
mancavan pianti
per
chi si commuoveva.
CAP
6
Il
Nubifragio
La
luna di miele, gli sposi, l'avevano trascorsa sistemando la casa
secondo i criteri che più erano congeniali a Gaia.
Zuanny
la lasciava fare, in fondo era lei la padrona di casa ed il buon
gusto non le mancava.
Avevano
abbandonato ogni sorta di schema paesano nella disposizione delle
cose, lasciando spazio alla praticità, necessaria per svolgere una
vita non più strettamente connessa all'attività contadina.
La
cucina era l'unico ambiente che avevano lasciato secondo le
tradizioni, con un grosso camino con due grossi gradini sui lati per
contenere tutta la famiglia. I tavoli erano quelli del primo
matrimonio, li aveva comprati Zuanny prima di sposarsi la prima
volta: Gaia aveva ritirato tutte le stoviglie della bonamma97
e
le aveva sostituite con le sue.
Anche
la camera del bambino era stata stravolta: avevano messo un letto
grande e un armadio a specchio che tzia Pietrina gli aveva regalato:
le tende erano state ricamate con colori molto vivaci per dare
all'ambiente un tono di allegria.
Nella
stanza destinata a laboratorio, Gaia aveva voluto metterci un grosso
armadio per contenere tutti i suoi lavori finiti e delle cassettiere
per metterci dentro i materiali per le tessiture. Non aveva voluto
portarsi i tappeti antichi di sua madre, per il momento voleva
arredare la casa esclusivamente con le sue tessiture, nel futuro
avrebbe pensato ai ricordi di famiglia. Aveva lasciato da sua madre
anche la bisaccia di Lorenzo.
97
Buonanima.
Tutta
la casa aveva preso un'altra conformazione e Gaia l'aveva
personalizzata a sua immagine e somiglianza. Aveva pensato lei anche
alla sistemazione della camera del bambino, era un impegno morale al
quale non voleva sottrarsi; quel bambino era molto trascurato,
solamente il nonno lo portava con sé per farlo divertire: lo faceva
montare in groppa all'asinello e lo portava nell'orto dove poteva
anche farlo correre.
Al
bambino piaceva sentirlo ragliare ma il povero vecchio bestiolo lo
faceva raramente e negli orari stabiliti.
«Perché
raglia solo al mattino?»
«Raglia
al mattino alle sette per avvertire i bambini che si devono alzare
per andare a scuola, l'anno prossimo anche tu dovrai andare a scuola
e ti sveglierà l'asinello!»
«Anche
tu nonno andavi a scuola da bambino?»
«Io
non sono andato a scuola, ai miei tempi non si usava, i bambini
allora andavano a pascolare i buoi.»
«Perché
io non vado a pascolare i buoi?»
«Ci
andrai se Dio vuole, ma prima devi essere istruito, così capisci
bene le cose.»
Il
bambino discorreva sempre a lungo col suo nonno, era l'unica persona
che riusciva a farlo parlare, mentre con gli altri faceva fatica ad
essere spontaneo: con Gaia c'erano sfide continue fatte di sguardi,
lei voleva essere gentile e autorevole ma finiva sempre con essere
autoritaria. Perché negli sguardi che si incrociavano si leggeva
sempre una mal tolleranza reciproca.
In
fondo, il bambino era l'unico che ci aveva rimesso con quel
matrimonio.
Pensavano
tutti di ridare una madre al bambino e gli avevano procurato solo
danno: avevano stravolto la casa intera, la sua camera completamente
modificata e costretto a vivere con una
madre
putativa che non lo metteva a suo agio; il padre era sempre in
campagna e non lo vedeva mai; la nonna quando veniva in quella casa
parlava solo di lavori di tessitura.
Il
padre gli prometteva sempre che un giorno lo avrebbe portato con sé
in campagna per fargli vedere come pascolavano i vitellini.
Quel
giorno non arrivava mai, i vitellini stavano diventando adulti e lui
sempre costretto a giocare da solo in quella veranda sconfinata.
Gaia
lo rimproverava quando strofinava le ginocchia sul pavimento perché
si rompeva i pantaloni, lo sgridava se rincorreva le galline e lo
minacciava di dire tutto a suo padre se lanciava sassi dove c'erano i
buoi.
La
tristezza di questo bambino si leggeva nei suoi occhi, non lasciava
mai trasparire un'espressione di contentezza, anche se poi era sempre
ubbidiente e non contrariava mai nessuno, era solo molto triste.
Il
13 giugno, giorno di S. Antonio, suo padre gli promise che il giorno
dopo lo avrebbe portato con sé nell'aia, per fargli vedere la
trebbiatura del grano.
Questa
promessa lo mise di buonumore e gli creò tanta agitazione da non
farlo dormire tutta la notte.
Era
il periodo della mietitura e tziu Nando Porcu doveva posizionare la
trebbiatrice nella loro aia, situata dall'altra parte del fiume, per
trebbiare i covoni di grano che suo padre ci aveva ammassato.
Subito
dopo pranzo lui e suo padre si avviarono verso il fiume, all'altezza
di Sebiada98
dove
c'erano posizionati dei massi di pietra dentro l'alveo per consentire
alle persone di attraversarlo
98
Una località del fiume.
saltellandoci
sopra, lo fecero anche loro divertendosi molto.
Operazione
molto divertente per il bambino: fino ad allora non aveva mai visto
così da vicino il fiume e non gli sembrava vero di poter toccare
l'acqua coi piedi camminando su quei sassi.
Subito
dopo il guado bisognava imboccare un sentiero che costeggiava le aie
dei vari proprietari arradesi dove ammassavano il grano mietuto nei
vari campi prima di essere trebbiato.
Era
uno spettacolo vedere come i covoni di grano venivano inghiottiti
dalla trebbiatrice, e questa sparava in aria la paglia e buttava i
chicchi nei sacchi appesi alle bocche d' uscita del grano.
La
gente era concitata come in una grande festa, gli operatori cercavano
di comunicare fra loro con urla sonore sovrastate dal rumore
assordante della trebbiatrice: Angelo avvinghiato alle gambe del
padre per la paura e per l'eccitamento, credeva di vivere in un
sogno.
Vicino
all'aia di Zuanny ce n'erano altre con grossi mucchi di covoni pronti
per essere trebbiati: nel giro di pochi giorni la trebbiatrice
l'avrebbero trasferita in un'aia vicina per trebbiare il grano di
altri proprietari già ammucchiato in covoni.
Era
solo metà giugno e il periodo della mietitura era appena
incominciato: i contadini arradesi, mano a mano che mietevano,
trasportavano i covoni nelle aie per la trebbiatura e poi c'era
“s'incungia”99,
il
ricovero del grano nei solai delle case; era questa la vera festa
dell'agricoltore, quella di avere il grano al sicuro in casa, il
lavoro di un anno intero.
Quel
giorno solo due massari100
avevano
terminato la trebbiatura e avevano il grano al sicuro nei loro
granai, gli altri
99 Ricovero del
raccolto nel solaio di casa.
100
Proprietariterrieri.
ce
l'avevano ancora nei campi da mietere o nelle aie da trebbiare: vera
preoccupazione per tutti se arrivasse una tempesta o un incendio.
A
poca distanza dell'aia di Zuanny scorreva il fiume calmo e tranquillo
e per la scarsità d'acqua che trasportava e per l'ampiezza
dell'alveo su cui scorreva, tant'è che si poteva attraversare
facilmente in alcuni punti saltellando su grossi massi sistemati
appositamente nell'alveo.
In
alcuni tratti l'acqua stagnava anche abbondantemente per la presenza
di grosse buche, che formavano ampi bacini (carropus101), che
consentivano al bestiame di abbeverarsi e ai ragazzini di farsi delle
belle nuotate nelle ore calde della giornata: a
meigama102.
Quel
giorno, il caldo si faceva sentire in maniera eccessiva e afosa,
l'aria era pesante, irrespirabile, il lavoro della trebbiatura,
pesante e polveroso, faceva sentire maggiormente il caldo.
Il
padrone della trebbiatrice, zio Nando Porcu, diceva che quel caldo
eccessivo gli dava il presentimento di una brutta tempesta d'acqua e
faceva notare che il cielo si stava già annuvolando.
«Angelo,
andiamo via prima che ci travolga la tempesta» disse Zuanny al suo
bambino mentre se lo caricava a cavalcioni sulle spalle.
Nel
frattempo un tuono assordante fece tremare il suolo dove stavano e
dei goccioloni d'acqua incominciarono a scendere dal cielo con una
violenza inaspettata. Tuoni e lampi si alternavano come in un gioco
di fuochi furiosi d'artificio: la trebbiatrice si fermò di colpo e
un fuggi fuggi di persone rese, presto, l'aia deserta.
I
ragazzi che nuotavano nel fiume scapparono via nudi per lo
101
Bacini. 102 Oramedia,quellapiùcaldadellagiornata.
spavento,
lasciando i vestiti sul bordo del bacino che si stava già
ingrossando; Zuanny col bambino sulle spalle correva per attraversare
in fretta il fiume prima che l'onda coprisse i massi che fungevano da
ponte.
Proprio
in quel frangente Zuanny, col bimbo in groppa,era scivolato sui massi
nell'acqua cadendo nel fiume; Angelo gli era sfuggito dalle mani e la
corrente lo aveva trascinato oltre le cascata di Sebiada.
All'altezza
de su lisu103,
dove
c'era un grosso bacino, la corrente non era forte e il bambino venne
pescato al volo da Enrichetto Barreddu il quale seguendo la scena a
distanza, corse in aiuto.
Angelo
annaspava nell'acqua terrorizzato dalla furia di quel nubifragio e in
men che non si dica il prodigioso Enrichetto mise il bambino nelle
braccia del padre.
«Deus
ti
ddu paghidi Arricchettu!»104
«Deus
paga
totu, fradi caru.»105
Il
momento era drammatico e preoccupante, il fiume continuava a
ingrossarsi e la pioggia furiosa non tendeva a diminuire: Zuanny
riuscì a risalire l'argine del fiume e avviarsi verso la casa dei
suoi genitori.
Nelle
strade si erano riversate le donne che avevano i loro mariti in
campagna e non riuscivano a rincasare.
Molti
tetti delle case erano crollati, il fiume si era ingrossato a vista
d'occhio e i ruscelli, affluenti del fiume, che scendevano dagli
altipiani arradesi contribuirono ad ingrossare ulteriormente il
fiume.
Il
rigolo
cocciobedda106, trovando
otturato l'imbocco nella
103
Localitàlungoilfiumecolfondaleliscio.
104
DiotelopaghiEnrichetto.
105
Diopagatuttofratellocaro.
galleria,
era uscito sulla strada
versari107, trascinando
verso il fiume ogni cosa. Nella casa di Benigno Nacarru, che aveva
ricoverato il raccolto nel suo solaio proprio quel giorno, l'ondata
malefica glielo spazzò via in un baleno.
Le
case che si trovavano a ridosso del fiume vennero letteralmente
spogliate di tutto ciò che contenevano.
Anche
tziu Luzifuru Scrutzu, che si era vantato di essere riuscito, per
primo, a portarsi al sicuro il raccolto dell'anno, il fiume glielo
aveva portato via interamente, assieme a dei capi di bestiame
ricoverati nella stalla.
Una
catastrofe, mai conosciuta prima, aveva impoverito un paese già
immiserito dalla guerra, finita da poco tempo: le famiglie più
colpite erano state quelle che vivevano a ridosso del fiume, non solo
erano state spogliate del raccolto dell'anno ma anche degli attrezzi
ed oggetti necessari alla sopravvivenza stessa: a tzia Maddalena
Carta aveva portato via persino il telaio con tessiture in
lavorazione. Altre volte, prima del ventotto, quando ancora non
esisteva l'alveo del fiume, tutte le volte che pioveva
abbondantemente, l'onda alta entrava nelle case adiacenti e le
ripuliva senza complimenti, ma un cataclisma di simili proporzioni
non si ricordava a memoria d'uomo; i danni che aveva provocato non si
limitavano agli abitanti della riva del fiume ma a tutto il paese e
la campagna circostante: le case coi tetti precari crollarono al
primo impatto del nubifragio, altre più resistenti crollarono
successivamente per l'intensità della furia della pioggia.
Un
paese traumatizzato da una tempesta furiosa che ridusse alla fame
moltissime famiglie, ma Arradeli non si arrese, si strinse in una
solidarietà fraterna per aiutare le famiglie più colpite a
106
Affluente del fiume Rio Mannu.
107
La strada che copriva il ruscello che attraverso una galleria
arrivava al
fiume.
vivere
anche senza raccolto.
I
contadini più abbienti organizzarono una questua, chiamata “sa
scicca de su trigu108”, da
devolvere in favore delle famiglie più colpite dalla malasorte.
La
famiglia Algheri devolse la metà del suo raccolto in favore di
questa iniziativa.
Tzia
Pietrina fece portare il bambino in cucina, fece accendere il fuoco
dal marito per far asciugare in fretta il bambino e mettergli
indumenti asciutti.
«Prendi
fieno e numannu109
dal
fienile che bruciano in fretta,» disse al marito, il quale accese
non solo il fuoco nel camino, ma anche nel forno che si trovava in
cucina. «Bisogna scaldare tutto l'ambiente, altrimenti a questa
creatura viene la febbre, vedo che sta già tremando!»
Tzia
Pietrina aveva tolto al bambino i vestiti zuppi di acqua e fango, lo
aveva fatto asciugare davanti al fuoco e con gli indumenti asciutti e
una tazza di latte di pecora bollente lo aveva costretto a mettersi a
letto: più tardi erano entrati in quella stanza Zuanny con Gaia, si
avvicinandosi al bambino avevano notato che aveva la fronte molto
calda.
«Sarà
il calore del fuoco, aspettiamo un altro po'» aveva detto tzia
Pietrina con preoccupazione.
Tutti
quanti erano preoccupati perché la febbre piano piano saliva e il
bambino incominciava a delirare: tzia Pietrina aveva mandato a
chiamare tziu Ballore Cauli, vicino di casa, saggio e sapiente, il
quale era arrivato immediatamente.
«Zuanny!
Chiama dottore Scano, il bambino non mi piace» aveva detto Gaia
molto preoccupata.
108
Laquestuadelgrano.
109 Nodi di
congiunzione dello stelo delle fave che veniva usato, dopo
l'essiccatura,
per accendere il fuoco.
Zuanny
non se l'era fatto dire due volte, era uscito immediatamente ed era
ritornato assieme al dottore dopo pochissimo tempo.
Dopo
una lunga ed attenta visita e dopo un interminabile silenzio, il
dottore aveva pronunciato solo due parole: polmonite bilaterale.
«Cosa
vuol dire?» disse tziu Angelico.
«Dabori
de
costau»110 rispose
Zuanny disperato.
«Ci
vorrebbe la penicillina, ma bisognerebbe andare a Cagliari a
prenderla e non credo che questo fanciullo la possa reggere, è un
farmaco pesantissimo, è meglio aspettare che reagisca naturalmente,
siamo nelle mani di Dio.»
Come
sentì queste parole il nonno cominciò a urlare disperato: «Che
male ha fatto nella vita questo bambino, “ita mali
at fattu custu pipieddu miu111”, e
tu Gaia, potevi impedire a Zuanny di portare il bambino nell'aia
questo pomeriggio, che matrigna sei?»
Gaia
per non mancargli di rispetto non gli rispose neanche e se ne andò
fuori dalla stanza e non gli rivolse più la parola.
«Figlia
mia! È preoccupato per il bambino, Angelico non sa controllare,
perdonalo!» intervenne tzia Pietrina.
«Mamma,
mamma, mammaaa...» delirava il bambino, la febbre saliva e un po'
scendeva ma il delirio era continuo, le convulsioni si alternavano
con l'alzarsi e l'abbassarsi della febbre, tzia Pietrina gli
applicava dei panni freschi sulla fronte e gli bagnava le labbra con
un panno bagnato, come le aveva consigliato il medico, anche lei
fremeva dalla preoccupazione ma non lo dava a vedere, gli uomini di
casa sua erano tutti
110
Broncopolmonite.
111
Chemalehafattoquestobambinomio.
emotivamente
fragili, se avessero notato la sua debolezza sarebbero esplosi
istericamente tutti assieme.
Fra
una convulsione e l'altra e picchi di febbre altissimi, passarono la
nottata tutti accanto al bambino delirante: chiamava solo la mamma,
voleva andare da lei.
Tzia
Pietrina si rendeva conto che la situazione era molto grave e come
aveva detto il medico, bisognava mettersi nelle mani di Dio, ma lei
non voleva accettare un'altra sconfitta, non aveva ancora dimenticato
la scomparsa della mamma del bambino che adesso doveva aspettarsi
ancora di peggio.
Quella
mattina stessa mandò a chiamare l'altra nonna del bambino che
abitava a Ruinas ma era originaria di Sedilo.
Venne
immediatamente col postale di S. Gavino, vestita ancora col costume
del suo paese d'origine e uno scialle nero in testa per il lutto di
suo marito, venuto a mancare subito dopo la morte della figlia.
«Ita
tennis
fizu meu?»112 Gli
prese la mano e pianse in silenzio.
Sua
figlia stava chiamando il suo bambino dal cielo, lo voleva con lei, e
lui voleva solo la sua mamma, non aveva mai accettato la sua
scomparsa.
Anche
Gaia tornò assieme a sua madre a salutare il bambino, ma non
rivolse la parola a nessuno, neanche a suo marito, era troppo offesa
per le parole del suocero, diede la mano alla madre de sa
bonamma e
la invitò a casa sua, poi se ne andò.
Non
passò inosservato il comportamento di Gaia, quello era un momento
che richiedeva di rimanere tutti assieme in quella stanza e fu
proprio tzia Costantina a correrle dietro pregandola di rimanere,
quell'angioletto stava volando in cielo: non doveva ascoltare gli
spropositi del vecchio nonno e fu così che si
112
Cos'haifigliomio?
sedette
in disparte accanto a sua madre ad aspettare quel momento che nessuno
avrebbe mai voluto vivere.
Con
un ultimo gemito Angelo chiamò sua mamma e volò da lei in cielo.
Zuanny
prese il suo bambino in braccio e lo sollevò verso il cielo:
«Perché Dio mi hai fatto questo, perché? Mi hai tolto il
respiro, la vita mia, il senso della vita mia, come devo fare senza
il mio bambino? Angiuleddu
miu, angiuleddu miu...»113
Girava
col bambino in braccio per tutta la casa, i nonni erano tutti e tre
sconcertati e affranti ma non sapevano cosa dire.
Alla
vestizione del piccolo cadavere pensò Gaia, gli mise il vestito da
ometto indossato per il loro matrimonio e lo depose sul letto
rivestito di drappi ricamati, corredo della mamma del bambino.
Per
volontà della nonna materna rivestirono l'intera stanza di arazzi e
tappeti di quel corredo, erano tessiture mogoresi che rappresentavano
fiori e figure angeliche dai colori cangianti, come fossero stati
fatti per quell'occasione.
Tutto
quel corredo prezioso non era mai stato messo in mostra, sa
bonamma non
era una donna esuberante e non amava mostrare le sue cose: quel
corredo così ricco e caratteristico, glielo aveva fatto fare sua
madre a Serzala, più per rispettare le tradizioni popolari che per
esigenze personali.
Lei
stessa quando l'aveva visto in mostra tutto assieme, aveva detto a
Gaia: «Tienilo tu questo corredo io non ho eredi.»
«Io
non posso accettare questo corredo, a parte che non riuscirò mai a
consumare neanche il mio, poi ho pure quello di mia madre, ma in ogni
caso è giusto che questi lavori ritornino alla famiglia
originaria.»
113
Angioletto mio, angioletto mio.
«Vorrei
solo che in questa casa rimanesse traccia del passaggio di mia figlia
e del suo bambino, se questo non volete che accada, lascerò tutto
alla chiesa, per il momento è servito ad allestire la stanza da
dove questo angioletto ha spiccato il volo per andare dalla sua
mamma, il resto conta poco.»
Le
due nonne vestite a festa con i costumi d'allegria, perché per i
bambini non si portava il lutto, intonarono, alternativamente, il
canto de s'attitidu114:
prima
la nonna materna poi quella paterna alzarono il loro canto solenne
commuovendo la folla che partecipava al funerale.
«Fizu
de coro meu
dae
mama sesi annadu
a
sa oghe de su ceu
tue
asi iscurtadu.
No
potu tenni assentu
in
custa nefasta die
no
passat su momentu
ki
deo no pensu a tie.
Anghelu!
Dae mamma ses partidu
ponende
a babbu tuo in sa tristesa,
su
logu at lassadu allikididu
sena
tennere contu de s'ispesa.
Arradeli
cun arradesa zente
benidos
po custu fizu amadu
vos
ringratziu po essere presente
in
s'ora ki s'anghelu est ispiobadu.
Como
ca ses prontu po partire
e
sa zente ti cheret saludare,
a
nos ki tui bies sufrire
cumente
nos debimos consolare.»
tzia
Pietrina sentendo la sua ex consuocera salutare il bambino col suo
attitidu,
diede
anche lei sfogo, a quel dolore represso, col suo pianto antico.
«Fillu
miu, fillu miu
t'inci
sesi andau,
lestu,
lestu ses partiu
e
no at mancu saludau.
A
babbu tuo affrantu
at
lassau tristu e afrigiu,
cun
dolorosu prantu,
iscuru
fillu miu.
Pipieddu
miu gioiosu
sa
prenda de innocentia
pipieddu
miu diciosu
tui
m'at lassau dolentia.
In
custa die scuriosa
cannuga
de dolentia,
obrescia
dolorosa
e
iscurigada cun avvilentia.
A
babbu ki ddu cittidi
in
custu prantu dolorosu
sa
vida sua scummittidi
po
su fillu suo gioiosu.
A
nonnu beccitteddu
ca
no ddi parri beru
po
custu pipieddu
ddi
beni disisperu.
Angiuleddu
miu gioiosu
sa
luxi de sa vida
spacciau
est d-onnya gosu
in
d-onnya die nodida.
Sa
vida nosta intera
ariseu
s'est consumada,
d-onnya
primavera
po
nosu est ispacciada.
Zuanny
miu sconsolau
at
perdiu s'alligria
cun
su coru scramentau
no
tenni pru genia.
A
mamma dda cicasta
in
s'ora de crocai
D-onnya
orta dd'invocasta
narendi
de torrai.
O
nura mia bonamma
impari
a su pippiu
tui
ca sesi bella mamma,
miraddu
a fillu miu.»
Gaia
ospitò a casa sua l'ex suocera di Zuanny, era molto provata dagli
ultimi dispiaceri, nel giro di due anni le erano morte tre persone
care: la figlia, il marito e il nipotino.
Era
una donna di Sedilo, di nome Pasqualina, ma di soprannome la
chiamavano “sa cabilla131”,
aveva
sposato in seconde nozze un proprietario terriero originario di
Serzala ma si erano stabiliti a Ruinas per le proprietà che aveva
in quel territorio.
Si
era fermata in casa di Gaia per guardare quel che era rimasto del
corredo della figlia, perché secondo gli usi locali, quando moriva
una sposa e non lasciava eredi, il corredo doveva ritornare alla sua
famiglia.
Tzia
Pasqualina si era presa solamente un lenzuolo di lino, tessuto in
casa e ricamato da lei, lo voleva per il suo ultimo viaggio.
«Vorrei
regalare is
cilonis e is poribangus132 alla
chiesa, così quando celebreranno delle cerimonie importanti, chi li
riconoscerà penserà a mia figlia. Gli arazzi usali tu Gaia, sono
stati fatti a Serzala, il paese di mio marito.»
«Io
vorrei consumare il mio corredo, non vi offendete, magari lo possiamo
mettere per un po' nella camera di Angelo, poi si vedrà. Le bisacce
e is guturadas le faccio usare a Zuanny.»
«La
bisaccia de totu mosta133, vorrei che la tenessi tu, quella la
regalai io a mio marito, quando ci sposammo, me la feci tessere qui
ad Arradeli, allora qui c'era una donna specializzata per quei
lavori, al mio paese non c'era questa usanza, le bisacce da noi, si
usavano solo da mettere in groppa ai cavalli per andare in campagna
ma non ricamate come le vostre: per questo
131
Barbaricina.
132
Coperteecopritavoli.
133
Tutta ricamata.
preferisco
che questo gioiello di tessitura rimanga nel paese dov'è nato;
custodiscilo tu Gaia, te ne intendi e potrai darlo ai figli che
avrai.
Intanto
puoi far vivere questa roba, dato che mia figlia non è riuscita, è
un peccato farla marcire in una cassa.»
«Farò
del mio meglio tzia Pasqualina, vi ringrazio del vostro buon cuore e
della vostra generosità, voi cercate di stare bene e venite a
trovarmi quando volete.»
«Dio
ti ricompensi tutte le opere, fiza
mea.»134 La
vecchia cabilla
si
congedò col suo lenzuolo avvolto nel
grembiule
ringraziando ripetutamente Gaia.
Erano
giorni tristi per la famiglia Algheri, Zuanny usciva presto per la
campagna salutando a malapena, i suoi vecchi suoceri erano ancora
sconvolti per l'improvvisa scomparsa del bambino.
Il
nonno si svegliava nella notte urlando e piangendo.
Per
loro era cambiata la vita. Prima la loro giornata era organizzata in
relazione ai bisogni del bambino che riempiva la loro casa con la sua
presenza.
Tziu
Angelico era nervosissimo, sembrava addirittura che ce l'avesse con
Gaia, come se lei fosse stata la responsabile delle disgrazie della
famiglia.
In
questo clima di tristezza e soprattutto di mancanza di dialogo in
famiglia, Gaia non ebbe il coraggio di dire a nessuno, neanche al
marito, che aspettava un bambino.
Aveva
deciso di andare in casa della suocera e farglielo almeno capire.
Tziu
Angelico si parò davanti come per impedirle il passo: «Il
134
Figliamia.
mio
bambino è morto per colpa tua, cosa mi dovevo aspettare da una
figlia di madre buona che sei!.»
Gaia
a queste parole si sentì rizzare i capelli, un simile insulto non
se lo sarebbe mai aspettato.
«Il
bambino non è morto per colpa di nessuno e tanto meno mia e non
sono disposta a tollerare simili ingiurie e se succederà ancora vi
taglierò il rispetto.»
Tziu
Angelico alzò il baculum che aveva sempre in mano e la colpì
sulle spalle: Gaia si voltò di scatto, lo prese per il collo della
giacca e con uno scossone lo scaraventò a terra.
«Voi
dovevate morire vecchio imputridito, non il bambino.»
Tzia
Pietrina assistette paralizzata a questa scena, non le uscì di
bocca neanche una parola e fu proprio l'inerzia di questa donna a
sconcertare ancora di più Gaia.
La
suocera era stata sempre dalla sua parte in ogni circostanza, ora
invece l'aveva vista come una nemica, col suo atteggiamento l'aveva
fatta sentire come se lei davvero fosse la responsabile della morte
di Angelo.
Gaia
era scappata via da quella casa senza aggiungere una parola,
dirigendosi da sua madre, aveva bisogno urgente di raccontarle tutto.
Come sempre era l'unica confidente che l'avrebbe ascoltata con
attenzione e avrebbe trovato una soluzione a questo problema
drammatico. Sapeva già cosa le avrebbe risposto, ma aveva bisogno
di vederla e soprattutto di sentirla.
«Mamma!
Sapeste cosa mi è successo!» le aveva detto ansimando mentre
entrava in veranda dove sua madre era seduta su uno scranno.
«Calmati
prima! Sei agitatissima, beviti un bicchiere d'acqua, poi mi
racconti.»
Si
era alzata lei stessa per prenderle un bicchiere d'acqua dalla brocca
che aveva in un incavo nel muro della veranda stessa.
«Cosa
può essere successo di più grave di quello che già è
successo?.»
«Non
lo so neanch'io quello che sta succedendo, io sono così confusa che
non riesco a capire come possano succedere cose così assurde!
Dopo
che è partita tzia Pasqualina, sono andata a trovare i miei suoceri
perché volevo renderli partecipi del fatto che sono incinta....»
«Io
lo devo sapere in questo modo che aspetti un bambino?.»
«Mamma,
non lo sa neanche mio marito ancora, oggi volevo dirlo a tutti e
avevo deciso di dirlo subito ai miei suoceri per tirali un po' su di
morale, dato che non riescono a fare altro che piangere!
Mai
mi fosse venuta in mente questa iniziativa! Come sono entrata in casa
loro, mio suocero mi ha subito aggredita accusandomi di essere stata
la responsabile della morte del bambino, perché non ho impedito a
Zuanny di portarlo nell'aia il giorno del nubifragio.»
«Gaia!
È gente traumatizzata dal dolore, bisogna lasciarli parlare e
basta.»
«Dici
bene, lasciarli parlare e basta, ma mi ha percosso col baculum e dopo
non ci ho visto più, l'ho preso per il collo e l'ho scaraventato al
muro, sua moglie, che ha assistito a tutta la scena, da quando mi ha
insultato e poi percosso, non ha detto una sillaba, brutta
vecchiaccia! Meno male che mi voleva bene, Gaia di qua, Gaia di là,
e adesso muta come un pesce, non lo ha visto il marito che mi ha
percosso?»
«È
sempre suo marito e viene prima di te, e poi gli hai tagliato il
rispetto!
Nella
mentalità antica, mancare di rispetto a una persona anziana non era
accettabile, lo scostumato veniva tagliato fuori da ogni rapporto;
ecco perché lei non ti ha difeso ed entrambi non ti parleranno
più. La cosa che devi fare subito è correre da tuo marito a
spiegargli come sono andate le cose, prima che lui vada dai suoi
genitori e gli diano una versione dei fatti diversa dalla tua.»
In
effetti quando Gaia tornò a casa sua per parlare col marito, lui
era dai suoi genitori, i quali, come aveva previsto sua madre,
avevano riferito al figlio che quel povero vecchio era stato
insultato e malmenato da quella figlia di buona donna...
Zuanny
non aveva fatto fatica a credere a sua madre, prendeva sempre le
difese di Gaia, anche quando aveva torto, se ora se l'era presa con
lei, doveva averla combinata grossa. Era andato via dalla casa dei
genitori furibondo, non poteva credere a quello che aveva sentito,
prendersela con quei poveri vecchi non aveva proprio senso.
Come
era entrata nel cortile di casa sua, Gaia gli era venuta incontro con
un sorriso forzato.
«Hai
pure il coraggio di ridere?» le aveva detto mollandole un ceffone,
con tutte le forze, in pieno viso.
«Allora
questo è un vizio di famiglia! Ma con me non funziona, se ha
funzionato con la tua bonamma, con me hai sbagliato indirizzo,
perché con me hai finito ogni rapporto.»
Aprendo
il portone di casa era uscita urlando: «Non osare cercarmi, perché
oggi sei diventato nuovamente vedovo, io sono già morta per te.»
Gaia
era tornata a casa di sua madre, non volendo più vedere Zuanny, né
la sua famiglia, nonostante le insistenze di tzia Costantina per
farla ritornare dal marito.
«Se
non lo vuoi fare per te, fallo per la creatura che deve venire al
mondo.»
«Proprio
per lui lo voglio fare, non voglio che abbia a che fare con quella
famiglia di animali, che nasconde dietro una corazza di bontà
quella cupidigia schifosa che annienta le persone, non voglio che mio
figlio viva con quelle persone, meglio fare la fame che ostentare
benevolenza.»
Diverse
volte Zuanny aveva cercato di andarla a trovare, ma lei lo aveva
respinto sempre: lei non era andata in casa Algheri neanche quando
era morto tziu Angelico e non aveva voluto riprendersi neanche la sua
roba dalla loro casa. Non ci era andata neanche tzia Costantina,
voleva sostenere sua figlia in quella difficile vicenda. Quando era
nato il bambino non aveva avvisato né Zuanny, né sua suocera.
Gaia
aveva ripreso a tessere col telaio di sua madre, il lavoro non le
mancava, questo le serviva per sostenersi finanziariamente e per
distrarsi dalla brutta situazione che stava vivendo.
La
sua vita era costellata solo di errori, tutte le volte che in quella
casa era comparso un uomo, all'infuori di Lorenzo, aveva provocato
solo danni.
A
partire dall'uomo che aveva violentato sua madre fino a Zuanny, non
c'erano stati che guai in quella casa, ora voleva cambiare registro e
dare un'impronta diversa alla sua vita e a quella di suo figlio. Per
il momento era ancora piccolo ma nell'età scolare voleva portarlo
in città per farlo studiare e abbandonare quella miseria
intellettuale del paese.
Vivere
in un centro così piccolo come Arradeli rendeva difficile
scrollarsi di dosso le vecchie mentalità che minavano la vita
stessa
delle persone; continuare ad accettare la violenza occulta sulle
donne significava tornare a vivere nel medioevo. Si rendeva conto che
questo risultato poteva derivare solo da un'educazione ab origine e
che i bambini dovevano assimilare quando ancora erano in fasce i
principi del rispetto reciproco fra le persone. Il suo Renzino era
ancora molto piccolo, non ancora in grado di percepire la mentalità
arcaica di quel paese, di cultura conservatrice dei principi
tradizionali e consuetudinari che non consentiva l'accettazione
dell'evolversi del progresso. Il desiderio di Gaia era quello di
cambiare il decorso storico, nel suo paese, dell'accettazione della
violenza, soprattutto da parte delle donne. Bisognava estirpare
questa mentalità gretta che si annidava nella mente delle persone e
lei voleva fare la sua parte per il suo Renzino. Per fare questo
doveva mandare a scuola suo figlio in un centro urbano cittadino che
lo obbligasse da subito a rispettare gli altri.
Questo
programma di vita pensato da Gaia per suo figlio le imponeva di
accantonare dei risparmi per poterlo realizzare a tempo debito.
Di
questi suoi desideri, Gaia parlò con sua madre, la quale non
condivideva l'iniziativa di trasferirsi in città per far studiare
suo figlio.
Lei
aveva passato tutta la vita ad Arradeli, non era mai andata a scuola
eppure aveva cresciuto lo stesso due figli.
Avevano
fatto anche le scuole nuove ad Arradeli e non bastavano più per
acculturare i ragazzi?
Secondo
tzia Costantina, i ragazzi vogliono andare a scuola per non andare a
pascolare il bestiame, ma qualcuno lo dovrà pur fare quel lavoro.
La
verità era che se lei avesse assecondato le iniziative di Gaia,
avrebbe finito la sua vecchiaia da sola senza avere accanto la sua
famiglia.
La
cosa che la incoraggiava, per il momento, era il fatto che il bambino
era ancora molto piccolo e doveva rimanere per forza, ancora per
qualche anno, accanto a lei.
Avere
quel bimbo intorno a lei le faceva provare una sensazione che non
provava da quando era piccola Gaia. Non tutte le disgrazie vengono
per nuocere: nonostante quel cataclisma che aveva distrutto due
famiglie, con quel bambino a casa sua era entrata una nuova ventata
di allegria.
In
un caldo pomeriggio d'estate tzia Pietrina aveva fatto visita a casa
di Gaia per vedere il bambino.
«Perdonate
la mia intrusione, ma era da tanto tempo che volevo venire a
trovarvi: Gaia! Cos'è successo in casa nostra? La fine del mondo?»
«Vorrei
farvi la stessa domanda! Cosa è successo mamma Pietrina? Sono stata
io a causare tutto questo? Così sosteneva vostro marito, mi aveva
attribuito persino la colpa della morte di Angelo, per questo mi ha
malmenato sotto i vostri occhi e voi non avete alzato un dito, eppure
potevate fermarlo, pendeva dalle vostre labbra: ho fatto bene,
quindi, a togliere il disturbo!»
«Io
quell'episodio ce l'ho sempre davanti ai miei occhi, non sono
riuscita a dire una parola perché ero sconvolta per quello che era
successo, sono rimasta ammutolita per lo sconcerto. Tu poi eri
scappata, era successo tutto in pochissimo tempo, senza lasciarmi il
tempo di rendermi conto. E come facevo a contrariare mio marito? Ci
avrebbe ammazzati tutti assieme, era fuori di senno, dopo la morte
del bambino non è stato più capace di ragionare e in poco tempo
se n'è andato anche lui.»
«Non
siete rimasta ammutolita quando è venuto Zuanny da voi e gli avete
raccontato i fatti distorti, perché non gli avete detto la verità?
Vi dirò di più, se aveste sminuito il fatto, vi avrebbe fatto
onore, invece lo avete incoraggiato a malmenarmi. Perché lui,
rientrando a casa con gli occhi fuori dalle orbite, mi ha dato
uno
schiaffone che mi ha girato la testa dall'altra parte, se non fossi
riuscita a divincolarmi e scappare, mi avrebbe ammazzata.
L'atteggiamento di vostro marito l'avrei anche perdonato, ma
l'istigazione che avete operato su vostro figlio non la posso
tollerare. Pensate, quel giorno ero venuta da voi per annunciarvi che
aspettavo un bambino, sareste stati i primi a saperlo, ancora non
l'avevo detto neanche a mio marito, volevo farvi una bella sorpresa,
per attutire quella tristezza che avevate in casa. Poi me l'avete
fatta passare quella voglia.»
«Cosa
posso dire? Non lo so neanch'io, è successo tutto all'improvviso,
senza neanche che me ne rendessi conto: quel maledetto nubifragio ha
segnato proprio la fine per la nostra famiglia. È proprio vero che
le disgrazie non uniscono le famiglie, ma le separano.»
«Di
questo potete ritenervi responsabile, perché potevate intervenire
su vostro marito e ancora di più su vostro figlio. Invece avete
pensato alla mancanza di rispetto che ho avuto io, nei confronti di
vostro marito. Io ho mancato di rispetto, ma dopo che sono stata
insultata e percossa col baculum e voi eravate lì senza parole,
questa è la vostra colpa e di questo potevo anche perdonarvi, per
la vostra età e la vostra mentalità, ma non posso perdonare il
ruolo che avete avuto incitando vostro figlio a picchiarmi.»
«Non
perdonare me Gaia, ma perdona Zuanny, fallo per il bambino.»
«È
per il bene del bambino che non lo perdono, io non voglio far vivere
il mio bambino in un ambiente dove il padre percuote la mamma, io
voglio farlo vivere in un clima sereno e pacifico e senza violenza.
Chi è abituato ad alzare le mani lo fa sempre e voi lo sapete bene,
io non tornerò in quella casa, starò con mia madre anche se in
povertà, ma non m'importa, perché la vera ricchezza che voglio
dare a mio figlio è una vita serena e senza violenze.»
«Come
può essere felice un bimbo senza il suo babbo? Se tu Gaia hai
deciso di fare questa scelta, io non posso dissuaderti, ma se cambi
idea lo sai che puoi ricomporre la famiglia: io non parlo per me, che
posso rimanere a casa mia, ma penso a questa creatura costretta a
vivere senza padre, pur avendolo.»
«Io
non voglio più sentire parlare di Zuanny, se il bambino, quando
sarà grande, vorrà scegliere di stare con suo padre io non glielo
impedirò, ma per il momento voglio che se ne stia a distanza.»
Tzia
Costantina aveva portato il bambino da far vedere all'altra nonna,
lei commossa gli aveva preso una manina, baciandogliela: «Sa bona
sorti ti basidi, fillu miu135.»
«Adiosu!136»
E se ne era andata asciugandosi le lacrime.
135
Labuonasortetibacifigliomio.
136
Addio.
CAP
7
Il
perdono negato
Il
nubifragio del '48 aveva creato molti problemi ad Arradeli e ai suoi
abitanti: alla miseria materiale che si era creata, bisognava
aggiungere quella morale, quella sorta di miseria che abbruttisce le
persone e le rende scorrette nelle relazioni umane. Quell'evento
catastrofico che aveva coinvolto tutto il villaggio, aveva cambiato
nuovamente anche la vita di Gaia: dalla vita serena che aveva fatto
con Zuanny per poco tempo, era passata tumultuosamente ad un altro
genere di esistenza, forse meno serena ma più proiettata verso un
futuro, che nel suo piccolo voleva cambiare.
Era
consapevole delle cose che non le piacevano della sua vita e di
quella del suo bambino, ma voleva gettare le basi per un cambiamento
radicale.
Era
stanca di pensare ai corredi delle spose da confezionare, aspetto di
per sé meraviglioso, ma fatto in quello spirito di confronto e di
competizione fra le famiglie, le sembrava di lavorare, non per la
bellezza dell'oggetto che confezionava, ma per dare importanza alla
persona che glielo comandava.
Voleva
arricchire il suo lavoro di un sentimento diverso, creando una linea
di lavoro che mettesse in evidenza le sue qualità professionali,
capaci di rappresentare le tradizioni negli aspetti culturali e
caratteristici del territorio.
Nella
realizzazione delle tessiture esprimeva i suoi gusti personali, non
accettava più, come faceva una volta, di eseguire dei lavori
secondo le indicazioni dei clienti: lei metteva in vendita i prodotti
finiti. Chi voleva se li comprava così,
altrimenti
si rivolgeva ad altri.
Nel
tempo libero, aveva incominciato ad andare anche in campagna per
coltivare dei campi che il fratello di sua madre le aveva ceduto dopo
la morte di sua moglie.
Suo
tziu Virgilio si era sposato in età avanzata con una donna del
paese, pure lei sopra i quarant'anni: tzia Maria Peppa Seddora. Anche
questa zia aveva avuto grandi doti da tessitrice, nipote della
tessitrice storica di Arradeli Marialena Concas. Questa zia,
nonostante la sua età avanzata, mise al mondo una bambina, cugina
di Gaia, di nome Ninnixedda. A dieci anni la bambina aveva già
pronto il suo corredo da sposa, sua madre, oltre ad averle
confezionato la sua dote ex novo, mise via per lei anche il suo
grosso e prezioso corredo, confezionato con le direttive di sua nonna
Marialena.
A
dodici anni Ninnixedda era morta di tubercolosi, gettando i genitori
in un lutto strettissimo mai conosciuto in paese, per una bambina
così piccola.
Già
ad Arradeli il lutto era osservato in maniera esagerata: una donna,
se le moriva il marito oppure un figlio adulto, il lutto se lo
portava nella tomba, ma se il figlio non aveva superato
l'adolescenza, il lutto non lo portava: magari si metteva abiti scuri
per un po' di tempo, ma mai lutto nero. Tzia Mariapeppa, invece, per
la morte della sua Ninnixedda si vestì di nero come un'antica
vedova e non osava uscire di casa senza avvolgersi la testa col suo
scialle nero.
Nel
periodo di quel lutto, tziu Virgilio con tzia Mariapeppa erano
precipitati nella più lugubre disperazione, la loro vita era fatta
solo di lavori nei campi e visite in chiesa e al cimitero.
La
loro vita si era consumata nel pianto e nella disperazione più
assurda.
Tzia
Mariapeppa prima di morire diede ordine al marito di farsi seppellire
vestita di nero e di metterle dentro la bara,
separatamente,
il suo costume da sposa: «Quando sarò sulla soglia del cielo e
vedrò Ninnixedda, mi vestirò d'allegria davanti a lei “ananti
tuu
m'iscorruttu filla mia137”.»
Dopo
la morte di tzia Mariapeppa, tzia Costantina si prese cura di suo
fratello. Lui, che non aveva eredi, aveva ceduto le poche terre che
aveva a Gaia.
Lei
aveva iniziato così ad andare in campagna, suo zio eseguiva i
lavori preliminari, e lei assieme a sua madre li coltivava.
Queste
nuove proprietà costituivano per Gaia un espediente per uscire
dalla sua solita vita quotidiana: suo zio era molto contento di
essere utile a qualcuno, da quando era morta la moglie era la prima
volta che vedeva un po' di allegria nella sua vita. Gaia, era molto
contenta di questa nuova vita, per lei era davvero una novità, non
era mai andata in campagna prima, sua madre le aveva insegnato a
tessere quando era ancora bambina e lei non si era più alzata da
quella scranna da telaio. Sua madre, invece, era più pratica, a
parte che quelle terre erano appartenute alla sua famiglia prima che
il fratello si sposasse e suo padre la coinvolgeva sempre nei lavori
campestri femminili, che di certo lei non si era dimenticata.
Nel
periodo della maturazione dei pomodori, Gaia andava tutte le mattine
di buon'ora, assieme a sua madre, a raccoglierli: sua madre si
metteva la corbula piena di pomodori in testa sulla quale rimaneva da
sola in equilibrio senza essere sorretta; Gaia non era capace di
portare i pesi in testa senza tenerli fermi con una mano, allora
usava un cesto di canne e se lo metteva appoggiato sull'anca. Una
mattina, mentre tornavano a casa dall'orto dei pomodori, vicino al
rigolo di San Paolo, un signore del paese, dall'aspetto distinto, si
era offerto di portarle il carico: «Lascia che ti aiuti, hai anche
il bambino!»
«Ce
la faccio, non preoccupatevi, grazie lo stesso!»
137 Davanti a te
mi tolgo il lutto figlia mia.
«Se
avete bisogno d'altro, io sono a disposizione. Avete tanto da fare
nei campi e anche a casa, poi col bimbo da crescere... Non farti
scrupolo, io voglio aiutarti.»
Intervenne
tzia Costantina, quasi irritata, che si trovava dietro di una decina
di passi
«Noi
non abbiamo bisogno di niente.»
Quell'uomo
aveva accelerato il passo e scomparendo in un sentiero adiacente la
strada.
Gaia
aveva capito, dopo l'intervento di sua madre, chi fosse quell'uomo.
«Ora
mamma potete dirmelo chi è mio padre. E' quell'uomo vero?»
«Avevo
già deciso di dirtelo figlia mia! Non aveva più senso tacertelo,
ora non nuoce a nessuno il fatto che si sappia, quella che un tempo
sembrava una disgrazia ora è diventata una benedizione di Dio, tu
sei la mia benedizione e il nostro Renzino.»
Gaia
l'aveva immaginato che era lui suo padre, signor Enrico Mannias, uno
dei più ricchi del paese. Tutte le volte che lo incontrava, la
salutava molto gentilmente e la guardava fissa negli occhi: quello
sguardo le ricordava gli occhi del suo fratello gemello Aurelio. In
quella famiglia erano tutti professionisti e un po' alteri: una sua
figlia era stata anche sua compagna di scuola alle elementari, chi
mai l'avrebbe detto, allora, che erano sorelle.
«È
sempre così gentile quell'uomo!»
«Diffida,
figlia mia, della gentilezza esagerata degli uomini, è l'arma più
potente che posseggono, hanno la capacità di affascinarti coi loro
complimenti e con le loro adulazioni.
Pure
io sono stata affascinata dalla sua gentilezza, mi diceva che avevo
bei modi, che ero fine, che avevo buon gusto, che avevo uno sguardo
che lo aveva fatto innamorare: io con la mia ingenuità e la mia
stupidità infantile, mi facevo abbindolare dalle sue
considerazioni.
Tant'è
che ero caduta facilmente nella trappola che lui mi aveva teso: mi
aveva chiesto di andare nel solaio dove sua moglie teneva i filati
per la tessitura, per farli spostare, dove sarebbe stato facile
individuarli, dato che lui doveva pulire quel locale.
Invece
aveva già predisposto il piano d'azione: in un momento in cui non
c'era nessuno in casa, coi suoi modi gentili e adulatori mi aveva
portato in quel solaio facendomi capire che ero diventata la persona
più importante della sua vita; io, che avevo anche la curiosità
di scoprire come funzionava il congiungimento con un uomo, mi ero
lasciata penetrare dal suo fallo turgido.
Solo
dopo ho scoperto che quell'atto finale era lo scopo di quell'uomo:
quello di dare sfogo ai suoi desideri lussuriosi.
Quando
ho capito lo scopo della sua gentilezza, mi sono sentita la donna
più stupida del mondo.
Mia
madre, che non ha mai saputo che quello era il padre dei miei figli,
mi raccontava che tutte le donne che andavano a servizio in quella
casa venivano molestate dal padrone: qualcuna era rimasta incinta.
Lui
ci provava con tutte: aveva fatto dei tentativi anche con una parente
della moglie che andava ad aiutarla ad accudire i bambini.
Questa
ragazza però è stata più intelligente di me, aveva avvisato
subito sua moglie di quello che stava succedendo e, assieme, gli
avevano teso una trappola: avevano simulato un'assenza della moglie,
durante la quale la ragazza doveva rimanere da sola in quella casa
per riordinarla; il marito
voglioso
si fece subito avanti trascinando la ragazzina nel solaio, quando
inaspettatamente era arrivata sua moglie, trovò il marito in
mutande che si stava preparando per una prova d'amore.
Quella
casa era di proprietà della moglie e quindi il marito era stato
minacciato di essere buttato fuori come un servo infedele. Lui si era
prostrato in ginocchio davanti alla moglie pregandola di perdonarlo e
lei, per il bene della famiglia, aveva scelto di rimanere col marito
e aveva fatto andare via la sua parente a Cagliari per tenerla
distante da quella belva affamata di femmine.»
«Tu
come fai a conoscere tutti questi particolari?»
«Conoscevo
una donna che era stata in servizio a tempo pieno in quella casa,
serbidora
manna138, la
quale aveva assistito anche ad un diverbio feroce fra Enrico e sua
suocera: lei lo aveva minacciato con un forcone di ferro, dicendogli
di restare lontano dalle sue parenti, altrimenti lo avrebbe infilzato
come una serpe; lui l'aveva presa a spintoni facendola cadere dalla
gradinata dell'ingresso di casa.
Se
non l'avessero fermata alcuni passanti l'avrebbe infilzato davvero,
aveva una forza e una ferocia, in quel momento, che faceva paura.
“T'indi bogu
da su mundu”139 urlava.
“Adesso uscite voi da is
callonis140” rispondeva
lui.»
«Se
tu conoscevi questi fatti, come mai sei cascata ugualmente nelle
grinfie di quell'uomo?»
«Perché
i discorsi non vengono mai ascoltati, figlia mia! Ognuno vuole farsi
le proprie esperienze, si pensa sempre che le cose brutte possano
accadere solo agli altri.
Solo a posteriori,
138
Governante.
139
Ti tolgo dal mondo.
140
I coglioni.
ognuno
fa i propri conti e prende le decisioni che crede opportune, quando,
di solito, è troppo tardi.»
Aveva
fatto bene sua madre, allora, a tacere quel nome, coi compagni di
scuola avrebbe avuto sicuramente disagio.
Tzia
Costantina non aveva mai rivelato a nessuno, neanche a sua madre, il
nome del padre dei suoi figli: sapeva che rivelando quel nome, i suoi
figli sarebbero stati malvisti da tutti, anche se le malelingue del
tempo, quella paternità l'avevano attribuita a diversi uomini. La
certezza però non potevano averla su nessuno.
Lei
era orgogliosa di questo silenzio, voleva essere lei l'unica
genitrice dei suoi figli, se lui avesse voluto, si sarebbe fatto vivo
allora, per aiutarli, non dopo quarantacinque anni.
Lo
scrupolo gli aveva toccato la coscienza, ma in un momento che non
serviva più a nulla se non a gettarla nel ridicolo: sicuramente era
stata la moglie a spingerlo a prestare aiuto, ma lui aveva sbagliato
il momento e il modo di farlo.
Da
come si era dileguato nel sentiero di San Paolo si era capito che era
in difficoltà ad affrontare un discorso più articolato, ma a Gaia
sarebbe piaciuto saperne di più di quella persona che voleva
intervenire su quel pezzo di famiglia che aveva seminato mezzo secolo
prima.
Sua
madre, invece, non voleva parlarne più. Il discorso era finito, non
voleva pensare a nessuna ipotesi di interferenza di quella persona
nella sua vita. Quello che lei si era sempre rimproverata era di non
aver rivelato alla moglie di Enrico Mannias, che suo marito l'aveva
molestata e costretta a licenziarsi da casa sua per non essere
scoperto nelle sue malefatte. Lei su questo lo aveva assecondato,
pensando che quell'unico rapporto sessuale non sarebbe bastato per
farla rimanere incinta, invece, quando si accorse della gravidanza,
era già fuori dalle relazioni. Era inutile anche pensare quale
sarebbe
stato l'atteggiamento più giusto da tenere allora, perché quello
che è successo dopo è stata la cosa più bella della sua vita.
Anche
allora, quella che inizialmente sembrava la fine del mondo, si è
rivelata poi una grazia del Signore; allo stesso modo quello che era
successo col nubifragio di S. Antonio che aveva determinato le
disgrazie a catena, dopo si era rivelato produttivo di nuovi affetti
familiari, come l'arrivo di Renzino. Quando andavano tutti assieme
all'orto con lo zio Virgilio, si sentiva felice come un'adolescente.
L'unica
cosa che la turbava erano le molestie che, ogni tanto, Zuanny
rivolgeva a Gaia: lui voleva che sua moglie tornasse a casa, non
sopportava l'idea che lei lo avesse abbandonato.
C'era
stato un periodo in cui stava pensando davvero di tornare da lui per
le insistenze di suo tziu Virgilio e di sua madre, ma quando un
giorno si erano incontrati per caso davanti alla sua vigna, Gaia gli
chiese di arargliela col suo cavallo, lui rispose inferocito.
«Che
bisogno hai di affaticarti nelle terre, mentre potresti avere
direttamente sulla tua tavola tutti i prodotti che desideri.»
Questo
suo atteggiamento dissuase Gaia dall'idea di tornare da suo marito.
Continuava a pensare che l'insolenza di quell'uomo non aveva
confronto, con la sua prepotenza, era convinto di ottenere quello che
voleva dalla vita, ma evidentemente non aveva ancora fatto il conto
delle disgrazie che aveva subito.
A
Gaia faceva piacere pensare che condurre una vita semplice e serena
faceva bene a suo figlio e quando sarebbe arrivato il tempo di
mandarlo a scuola si sarebbe trasferita in città.
Di
questo suo progetto aveva parlato col canonico Acca, il quale si era
reso disponibile ad aiutarla a trovare un posto di lavoro per lei a
Cagliari dove poteva tenere con sé il figlio e mandarlo anche a
scuola.
Nel
frattempo doveva rimanere in paese per aiutare anche suo zio che dopo
la perdita della moglie era rimasto molto rattristato e fisicamente
indebolito.
Sua
moglie lo aveva costretto a vivere un lutto assurdo, privo di ogni
ragione, che lo aveva portato in vecchiaia allo stremo delle forze
fisiche e mentali: sua moglie comunque gli mancava tanto, gli
mancavano i suoi lamenti, i suoi pianti, ma anche la sua forza di
resistere a quel dolore che lei stessa si era dato: aveva confidato a
sua sorella che nonostante la loro vita luttuosa e tetra, facevano
sempre l'amore.
«Fratello
mio! Te l'ho sempre detto che Mariapeppa era pazza da legare, solo tu
potevi sopportarla.»
Tzio
Virgilio era un uomo finito, non era più sufficiente che Gaia
andasse a trovarlo tutti i giorni per le faccende domestiche, ma
aveva bisogno di assistenza notturna a causa delle crisi respiratorie
che si susseguivano per la grave forma di silicosi che lo affliggeva.
Con
sua madre avevano deciso di avvicendarsi anche durante la notte per
non lasciarlo mai da solo.
Con
questo parente non avevano avuto grandi relazioni nel passato a causa
della moglie che voleva starsene sempre in disparte da tutti, per
rispettare il suo lutto, ma con sua madre si volevano molto bene ed
era per questo sentimento che non voleva lasciare da sola questa
persona.
Una
mattina, dopo una nottata di crisi respiratorie, zio Virgilio disse a
sua sorella di portarsi via la roba di sua moglie, prima che qualche
avvoltoio si fosse fatto avanti: «Fratello mio, credo sia giusto che
dia qualcosa anche alla sorella di Mariapeppa, in fondo non avete
lasciato eredi, è giusto che almeno gli oggetti di famiglia
ritornino alla sorella.»
«Mariapeppa
aveva già dato a sua sorella tutti gli arazzi e poribangus, una
tovaglia coi tovaglioli l'aveva data a sua cugina
Ninna
Tuveri, quello che c'è in casa potete prendervelo voi, non
preoccupatevi, la bisaccia che mi regalò per il matrimonio la
voglio regalare a Gaia.»
La
notte di capodanno Gaia era andata presto dallo zio con l'intenzione
di tornare a casa prima di mezzanotte per salutare il vecchio anno
assieme a suo figlio e sua mamma, sarebbe andato da loro anche suo
fratello Aurelio con la sua famiglia.
Aveva
dato da mangiare a suo zio e visto che stava discretamente, si
apprestò per andarsene a casa.
Nella
via principale de su bixianeddu aveva incontrato suo marito mezzo
brillo: «Dove vai in giro a quest'ora? Non lo sai che ci sono
pericoli in giro?»
«Questi
non sono affari che ti riguardano, te l'ho sempre detto che io sono
morta per te, vattene e fatti passare la sbronza!»
«Tu
devi venire con me perché sei sempre mia moglie, anziché andare
da quel rimbambito di tuo zio a fargli vedere le tue tette, vieni da
me che ti faccio ricordare come si gode con una bella minchia dura.»
«Dovrei
ritornare da te solamente per darti il mio buco del culo? Piuttosto
faccio la prostituta!»
Queste
parole avevano scatenato in Zuanny la sua ira omicida.
Aveva
tirato fuori dalle tasche della giacca la sua arrasoia141
e
incominciò a colpire Gaia nella pancia in maniera ripetuta come se
fosse un pallone da sgonfiare.
La
sua ferocia non riuscirono a fermarla neanche alcuni passanti che lo
pregavano di fermarsi: lui continuava a colpirla ripetutamente come
un ossesso, finché, immersa in una pozza di sangue, Gaia cessò di
respirare.
141
Coltello a serramanico.
«Sei
una puttana!» continuava a ripetere mentre i carabinieri lo
portavano via ammanettato.
Nel
giro di pochi minuti la via si riempì di gente e la notizia
dell'uccisione di Gaia da parte del marito era sulla bocca di tutti.
Era
accorsa anche tzia Costantina che non voleva credere che sua figlia
avesse finito di vivere in quel bordo di strada, scannata come un
capretto: la portarono a casa di peso per toglierla dal corpo
insanguinato della figlia, che non voleva lasciare.
Un
delitto di simile efferatezza, ad Arradeli non si era mai visto,
nessuno riusciva a darsi una spiegazione per la reazione così
violenta di Zuanny.
Tzia
Costantina, tornata a casa, aveva continuato a urlare per tutta la
notte.
Tzia
Pietrina non aveva avuto il coraggio di visitare subito la sua
consuocera, ma ci era andata il giorno dopo ed era rimasta con tzia
Costantina fino al giorno del funerale. Aveva avvisato pure la sua ex
consuocera, tzia Pasqualina, per farla partecipare a questo lutto.
Al
rito de s'attitidu
avevano
partecipato tutte le prefiche del paese.
Al
lamento commosso di tzia Costantina, si alternavano quello di tzia
Pietrina e quello di Tzia Pasqualina.
Non erano stati sufficienti i
pianti cantati in poesia per lenire quella dolorosa storia che per
moltissimi anni ha indignato il popolo arradese.
tzia
Costantina:
«Filla
mia gioiosa
filla
mia adorada,
filla
mia sposa
tinci
sesi andada.
S'arrori
ki est succediu
ormai
no si riparada,
no
tengu prusu assebiu
po
sa fida ki m'abbarrada.
No
tenga mancu assentu
su
fillu de Algheri
camminit
sempri a stentu
zapulendi
feri feri.
Cust'omi
maradittu
at
mortu a filla mia
cun
ferru sia trafittu
e
abarridi in agonia.
Maradittu
Zuanny Algheri,
sa
vida s'at cambiau,
zoppi
zoppi e feri feri
ti
bianta strupiau.
A
Renzu su pippiu
da
mamma dda privau
po
cantu adessi biu
sa
sorti dd'at segnau.
Gaia
mia, adiosu
po
sa diciosa sorti,
su
saludu est dolorosu
po
si biri in santa corti.»
tzia Pasqualina:
«Comente
fiza di tenia
po
s'animu zentile,
dae
sa morte ti cheria
liberada
dae su azzile.
Una
manu de violentia
sa
vida t'at truncadu
dona
forza de clementia
po
su fizu ki at lassadu.
Ki
bies a sa bonamma
cun
su pizzinnu meu,
sos
saludos de sa mamma
dae
custu mundu intreu.
Coro
meu, coro meu,
ses
partida cun violentia.
Da
sas portas de su cheu
tue
bides sa dolentia.
A
fizu tuo pizzinnu
prangendi
a scoramentu
manndaddi
tue su sinnu
po
calchi giovamenti.
Sa
paghe ti poderede
in
sa omo ki tue tenes
cun
su bene ki ti cherede
sas
personas de s'istimede.
tzia Pietrina:
«Perdona
Gaia mia,
perdona
custa offesa
de
totu custu no credia,
est
manna s'arravesa.
Costantina
mia
no
isciu cumenti fai,
tui
sesi amiga mia
mi
depis perdonai.
A
su pipiu Renzixeddu
invocu
su perdonu,
perdona
a babbuxeddu,
donaddi
su condonu.
Arradeli
cun s'arradesa genti,
perdonai
a fillu miu,
si
domandu di eesiri clementi
de
dolori est'inzurpiu.
A
su mundu interu
domandu
cun dolentia
ki
a custu fillu veru
dispensi
sa clementia.
A
tui Gaia mia
da
Zuanny martoriada
po
cantu apessi bia
apessi
sconsolada.»
tzia Costantina:
«Non
potzu perdonai
a
ki at mottu a filla mia,
sa
stessa fini depot fai
bivendi
in s'agonia.
A
filla mia gioiosa
su
coru dd'an trafittu,
est
morta da isposa
da
Zuanny maradittu.
Po
cantu apessi bia
no
ti ollu bi pintau,
de
sa famiglia mia
no
astessi perdonau.»
tzia
Costantina non perdonò mai Zuanny per l'omicidio di sua figlia, né
accettò più rapporti con la sua famiglia. tzia Pietrina si rivolse
anche al canonico Acca per farsi intermediario
del
perdono della famiglia Fatteri, ma tzia Costantina rispondeva
semplicemente che, solo Dio, poteva dispensare il perdono, lei non
poteva fare altro che continuare a piangere per il resto dei suoi
giorni.
Terza
di copertina (Biografia)
Antonio
Giuseppe Abis è nato a Gonnostramatza in provincia di Oristano nel
1951. L'amore per gli usi e i costumi della sua terra lo ha
appassionato fin da bambino. È vissuto nel suo paese natale fino al
conseguimento della maturità per poi trasferirsi a Milano dove ha
coltivato con molta determinatziune due grandi passioni: gli studi
giuridici, che lo hanno portato al conseguimento della laurea in
giurisprudenza, e l'arte culinaria, che ha avuto modo di approfondire
lavorando nell'ambito della ristoratziune. Se pur in terra
"straniera"
non ha mai smesso di amare ed utilizzare con passione la lingua del
suo paese natio e custodire gelosamente gli usi di quel popolo
singolare che tanto ha amato da celebrarlo nelle sue opere. Nel 2010
ha pubblicato una raccolta di poesie in lingua sarda: LA POESIA DI
GONNOSTRAMATZA e due racconti autobiografici: IS ARRAGODUS; FILLU DE
ANIMA.
Nel 2013
LA VEDOVA NUBILE.
Quarta
di copertina
La
Vedova Nubile, Fiuda Bagadia in sardo, è
il titolo di questo racconto ambientato in Sardegna negli anni 40/50.
Questo racconto vede in primo piano Gaia, la protagonista, che
incarna diverse personalità, non appartenenti, nella realtà, alla
stessa persona, ma che l'autore mette in evidenza per gli aspetti che
vuole rappresentare.
Gaia
è la figlia illegittima di una tessitrice che viene introdotta fin
da bambina all'arte della tessitura. In quegli anni, quel mestiere
veniva ancora praticato diffusamente e le professioniste del telaio,
oltre a realizzare lavori caratteristici del territorio, che
costituivano un elemento complementare della dote delle spose,
diventavano anche insegnanti delle giovani tessitrici.
Prima
dell'inizio della guerra, Gaia s'innamora di un giovane di buona
famiglia, Lorenzo ma questo rapporto rimane segreto per la chiara
opposizione della famiglia del giovane per colpa della sua condizione
di figlia illegittima. Sempre per lo stesso motivo rimane segreta
anche la sua gravidanza e quando il ragazzo muore in guerra, la
famiglia di Lorenzo la tiene fuori da ogni relazione costringendola
ad una vita di solitudine, ad una vita da vedova, di vedova nubile.
In
primo piano vengono messi i rapporti umani, soprattutto quelli
segnati dal dolore. Vengono raccontate le tradizioni, gli usi, i
costumi, quelli autentici, con un linguaggio semplice e profondo,
fatto di suoni armonici e riti, celebrati in una lingua naturale. È
un racconto che aiuta a capire e conoscere il fascino di una cultura
millenaria racchiusa dentro riti e cerimonie.
E'
un racconto ambientato negli anni 40/50, ma sembra che si parli di un
altro mondo, un mondo che fa sognare, che rivela i segreti di un
popolo apparentemente scomparso, ma
che continua a vivere nelle tradizioni e nelle celebrazioni della
vita quotidiana della gente sarda.
1
Caro
Beppe,
ai
nostri figli e più ancora ai nostri nipoti dell'era digitale, al
nuovo che avanza con i nuovi codici di linguaggio e di vita
individuale e sociale immessi
nel quotidiano flusso contemporaneo, la tua ansia profonda di
raccogliere, recuperare e allungare la memoria perchè si sappia e
non si dimentichi chi eravamo, che cosa eravamo appena 60 anni
addietro, è il vero compito della letteratura, il tuo lascito.
Nel
tuo procedere appassionato di ricerca non si avverte contrapposizione
ma, direi quasi una illuminante meditazione sul passato che si fa
fatica, oggi, perfino ad immaginare, con i suoi linguaggi i suoi
segni, le sue voci, i suoi canti, le analisi dei suoi vissuti,
un'interiore accordatura generazionale che tende soltanto
all'affermazione dell'essere, soprattutto nella dimensione femminile.
Estranei
al tuo vocabolario le attuali “ crisi, austeriti, depressione,
precariato, spread, perchè tu segnali che la vita è la vita che
esige pezzi di scarto, che intesse passioni divoranti che nessun
psicologo può curare, perchè la vita anche senza il sostegno del
welfar non si fa travolgere perfino quando si presenta più feroce
della morte.
Le
tue eroine sono sempre le donne, mamme e figlie, anche se
diversamente ferite, custodiscono inalterato il naturale amore per la
vita, per i bambini anche se non nati e le accidentali e inattese
nascite o morti sono raggi di luce o tenebre oscure che scombinano
gli equilibri faticosamente raggiunti, facendo emergere rancori
primordiali, indegnità vituperevoli, amarezze incurabili.
Le
macerie della guerra e lo spirito della ricostruzione tzia Costantina
e Gaia Fatteri le reggono bene sulle loro spalle, non siamo ancora
nel mondo delle sartine e delle macchine da cucire ma alla sapienza
della manifattura, alle maestre tessitrici, alle grandi interpreti di
una cultura artigianale millenaria che colleziona permanentemente
prodotti rari ed eccezionali la cui differenza nei dettagli creativi
e cromatici segna l'orgoglio e la biografia vivente di ogni lembo di
terra.
Le
due donne escluse dal censorio codice di vita sociale, si
autoproteggono con il loro talento, con l'umanesimo del lavoro, non
si lasciano vivere, ma vivono nell'inesauribile voglia di un
cambiamento che si attagli al loro abito mentale.
Sono
le protofemministe sarde che non inseguono facili scorciatoie
sottoposte solo all'antica virtù dell'austerità e sobrietà, Sono
la variabile umana che sa di valere, che riflette inconsapevolmente
la visione di vita della morale di kant “chi sa fa verme non può
poi lamentarsi di essere calpestato”.
Sfugge
loro
la
catarsi finale e un bradisismo emotivo coglie ogni lettore chino
sulle frustate a sangue di quel balordo prepotente che chiude il
respiro di una vita che prepotentemente insegue ad occhi aperti
sogni per sé e per il proprio figlio.
Anche
il lamento funebre non aiuta a disperdere le note dolenti della
perdita sostanziale di una memoria che si incarna nell'orgogliosa
identità etnica della propria terra, della tua terra, che da
trapiantato in terra lombarda, senti più viva in te, ne custodisci
il respiro umanissimo e tragico e l'avvolgi di filiale comprensione.
Maria
Calzi Germinario
INDICE
Prefazione................................................................................................Pag.5
CAP 1 Gaia
Fatteri..................................................................................Pag.7
CAP 2 La
richiesta di
matrimonio............................................................Pag.22
CAP 3
L'accettatziune................................................................................Pag.28
CAP 4 Il
matrimonio..................................................................................Pag.36
CAP 5 Sa
coja
arradesa............................................................................Pag.52
CAP 6 Il
nubifragio...................................................................................Pag.63
CAP 7 Il
perdono
negato...........................................................................Pag.90
Biografia.........................................................................................Pag.110
Quarta di
copertina
…....................................................................Pag.111
Commento di
Maria
Germinario..............................................................................................Pag.113