domenica 2 novembre 2014

SA FURUNCA A DON LARIU

SA FURUNCA A DON LARIU

Don Lariu primu possidenti
de su passau antigu,
d-onnya tramatzesu essenti
dd'adi intendiu amigu.

Su prusu arricu de proclami
de terrasa in primera,
de marengus e bestiami
de lauru e laurera.

Sa rikesa nomonada
meis passadas prus impettu,
de gelosa guturada
sa furunca dd'ianta infettu.

De sa fura nomonada
cun clamori ndanti nau
sa muleri abruskinada
cun su trebi arrobiscau.

Sa rikesa ki cicanta
no ddianta intrabissida
cun sa bertula vacanta
sa furunca fia finida.

Is serbidoris abrusciaus
in sa forada de calcina,
zaraccus inforraus
cun patera in sa ruina.

Su santu cun is marengus
su meri ddu cicada
non dd' iat biu nemus
et issu ribattada.

Su capu furunkeri in sa ritirada
un omini iat motu,
cramonau cun volverada
“ melua tui motu ki no deu connotu”.


Antonio Giuseppe Abis
Gonnostramatza 29 Ottobre 2014





domenica 19 ottobre 2014

A LILLETTA

A LILLETTA

Un'anima serena
s'est piobada in celu nostu,
leggera ke falena
In paradisu picca postu.

Parenti mia carrabi
cun santidu dignitosu,
amiga mia corabi
de affettu rispettosu.

In d-onnya ricorrentia mia,
sesi stada tui presenti,
prenendi de alligria
s'anima e sa menti.

De bidda s'est partida
po un' amori ki est istorrau,
mai s'est pentida
de su ki at lassau.

S'est fatta una vida noba
senza accumpahgiada
at biviu sempri soba
cumenti disigiada.

Lilletta mia adiosu,
de custu mundu se partida,
tengias tui gosu
in s'atra bella vida.

Tziu Migiu e tzia Adavigia
in s'ecca de su celu funti in posa,
arricinti a sa figia
cun is arrunzus de una sposa.

Custu cantu miu
ti dd'onu cun su coru,
po cantu apessi biu
de custu mindi onoru.


Antonio Giuseppe Abis

Milano 17 Ottobre 2014

venerdì 3 ottobre 2014

ISPOSUS NUEDDUS

ISPOSUS NUEDDUS

Mistica sa sposa
cun Federicu vigorosu,
prus bella de una rosa
po onorai su sposu.

S'anti scambiau is goneddus
po sigillai s'eventu,
anti pronunciau is fueddus
cun d-onnya sacramentu.

Arrunzus de usanza
cun su ritu antigu
po augurai abbundanza
de saludi e trigu.

At riuniu is parentis
e amigus de costau
in tempus differentis
s'orgogliu at sotterrau.

At donau importanza
a su sentimentu antigu
po bivi in s'allianza
comenti a d-onnya amigu.

Custa die gioiosa
ddeis prena de alligria
su sposu cun sa sposa
ki bivanta in armonia.

Sa fortuna s'accumpangidi mei disigius,
e sa sorti si biada a manu pigada,
in d-onnya ora si durinti is fastigius.
In beccesa s'inci porti custa strada.
Po custa dì gioiosa
cun totus arralligrius
po nosu siat diciosa
po cantu asessi bius.


Antonio Giuseppe Abis, Gonnostramatza 23 Agosto 2014

Per le nozze di Mistica e Federico

sabato 26 aprile 2014

LE DOMESTICHE DI GONNOSTRAMATZA

LE DOMESTICHE DI GONNOSTRAMATZA

Nel 1920 mia madre aveva 10 anni e si presentò da privatista ad Ales per sostenere l'esame di licenza elementare.
Sua sorella maggiore, Modestina, era già maestra e sapeva come muoversi per farle frequentare la scuola ginnasiale, l'unica disponibile allora ad Ales.
Mia madre era troppo piccola per viaggiare tutti i giorni da sola e non c'erano neanche mezzi di trasporto adeguati. Sua sorella decise quindi di prepararla privatamente e farle sostenere gli esami alla fine di ogni anno scolastico. Allora era una prassi consolidata per i pochi studenti della nostra zona, proprio per la scarsità dei mezzi di trasporto che collegavano i centri urbani.
Zia Modestina fece arrivare da Cagliari i libri di testo e organizzarono la preparazione privata come convenuto.Tutto funzionò alla perfezione per i primi anni del ginnasio.
Alla vigilia dell'esame della licenza la madre di mia mamma volle farle interrompere gli studi per mandarla a Cagliari a fare la domestica. Una vecchia compagna di scuola di zia Modestina, figlia di una Marchesa, cercava una bambinaia e mia nonna, che conosceva quella famiglia, viste le condizioni economiche precarie in cui versava a causa della morte del marito, volle approfittarne anche per sistemare la sua figlioletta.
Mia madre partì senza batter ciglio e se da un lato era dispiaciuta per l'interruzione degli studi, da un altro lato era contenta di andare a lavorare presso una famiglia, che pure lei conosceva e poteva contribuire contemporaneamente a rimpinguare le finanze di famiglia.
L'intento era quello di riprendere gli studi in tempi migliori, tanto non c'era fretta.
I tempi migliori per riprendere gli studi non arrivarono mai e nella casa della marchesa Giustiniani ci rimase dieci anni. I rapporti erano diventati molto intimi, la figlia era amica di zia Modestina e continuavano a frequentarsi, mia nonna andava a trovarla una volta al mese. Volevano mangiare il pane fatto in casa e con la scusa di andarglielo a portare mia nonna ne approfittava per vedere sua figlia. Nel periodo di carnevale le facevano fare le zippole perché quelle delle offelerie di Cagliari non erano così buone.
Quando mia madre si fidanzò con mio padre, sua madre la fece licenziare per farle apprendere, in famiglia, i mestieri della massaia sarda. Macinare il grano e lavorare la farina per fare il pane, tessere e accudire il bestiame domestico; erano cose semplici ma non si potevano imparare se non si facevano direttamente e stando in città non si potevano apprendere.
I due anni prima del matrimonio li passò in casa di sua madre a fare la massaia tramatzese ma tenne sempre i rappori con la famiglia della marchesa, la invitarono persino al matrimonio della figlia, l'amica di zia Modestina, che andò a vivere a Milano. La trattavano come una di famiglia e quando la marchesa andò a trovare sua figlia a Milano, si fece accompagnare da mia madre, sebbene non lavorasse più in casa sua. Di quel viaggio mamma ne parlò per tutta la vita: nel 1934, per una ragazza di Gonnostramatza, fare un viaggio a Milano non era cosa comune, le fecero visitare Como e Venezia e tornò a casa con un entusiasmo che non abbandonò mai. Quando mamma smise di lavorare per la marchesa ci mandò una figlia di sua sorella e a casa della figlia che si era stabilita a Milano ci mandò un'altra figlia della sorella, e ci lavorò per 20 anni.
Fu proprio quella nipote, Angiulina, che si era recata a Milano per rimanerci qualche mese, ma poi ci rimase sessant'anni.
Dopo qualche anno di faticoso lavoro si comprò la casa e potè ospitare tutte le ragazze di Gonnostramatza che approdavano a Milano per cercare lavoro.
Non solo metteva a disposizione delle sue paesane la propria casa ma le aiutava anche a cercare lavoro e a inserirle in una metropoli come Milano. Era considerata la mamma di tutte le ragazze tramatzesi.
Anche le mie sorelle quando vennero a Milano la prima volta approdarono a casa di Angiulina e lei non solo le aveva ospitate in casa sua e aiutate a trovare lavoro ma le aveva seguite passo passo tenendo i contatti con le signore di riferimento, nello stesso tempo comunicava con mamma per tranquillizzarla sulle figlie lontane da casa.
Dalla fine degli anni '50 quasi tutte le ragazze del paese, finita la quinta elementare, sotto la protezione di qualche parente o amica di famiglia, emigravano nelle grosse città del continente.
In ogni città importante c'era una persona di riferimento che aiutava le ragazze ad inserirsi.
Proprio negli anni del boom economico le ragazze che da anni lavoravano a Cagliari si trasferirono in una delle grosse città del continente per guadagnare di più.
In quel periodo il punto fermo di riferimento a Milano, per le ragazze di Gonnostranatza, era Angiulina: lei metteva a disposizione la sua casa e cercava per loro una signora che le accogliesse come domestiche e facesse per loro un po' da mamma.
Angiulina poi comunicava con le famiglie telefonicamente, l'avviso di chiamata avveniva attraverso il telefono pubblico di Giovino.
Angiulina, a sua volta era in contatto anche con altre vecchie domestiche di altri paesi della Sardegna, che riferivano per le ragazze dei loro paesi. Angiulina era molto amica di una donna di Aritzo, sistemata a Milano, nel periodo del dopoguerra. Una donna forte e battagliera che interveniva presso le signore quando qualche ragazza veniva trattata male o addirittura molestata: minacciava la signora di denuncia e di escluderla dalla rete di distribuzione della maestranza sarda.
La domenica pomeriggio, giornata di riposo delle domestiche, il ritrovo era in piazza del duomo per tutti: si ritrovavano le paesane e le amiche, si scambiavano le notizie ed eventuali desideri di cambiamento. Angiulina cercava di accontentare tutti per il solo gusto di vedere intorno a sé il popolo del suo paese, che le dava la sensazione di non essere mai andata via dalla Sardegna.
L'appuntamento fisso di ritrovo per tutte le domestiche e tutti gli emigrati di Gonnostramatza era per la festa di San Michele: qualche giorno prima arrivavano in famiglia ed il ritrovo per la processione e la messa cantata era sacrosanto. All'uscita della chiesa “su ballu 'e cresia”, al centro della piazza si sedeva zio Eugenio Tuveri, fisarmonicista ceco, che con la sua fisarmonica intonava il suono del suo ballo sardo “Mediana pippia”.
Tutte le persone presenti, a braccetto, si disponevano su cerchi concentrici e danzavano magicamente quel passo lento e solenne del ballo paesano. Il priore organizzatore della festa si metteva al centro del cerchio e con una canna dava dei colpetti sulle gambe delle persone per allargare il giro e formare il ballo tondo. Quel passo di avanti e indietro e spostamento in senso orario dava la possibilità a tutti di incrociarsi con gli sguardi e salutarsi con un sorriso o cenno di capo, dopo quella lunghissima e meravigliosa danza, lo scioglimento e i saluti. Quelle ragazze che erano partite con ancora le trecce e le gonne lunghe, ora, con i capelli corti, i vestiti all'ultima moda e la borsetta, sembravano altre persone. Solo qualche anno prima, quel cambiamento avrebbe suscitato scandalo. Quel portamento elegante e composto, però, piaceva a tutti, anche alle vecchie nonne che gurdavano incredule le giovani ragazze e commentavano dicendo: “Depid'essi istrangia, no dda connoxu”.
Ricordo che al mio rientro a casa dopo il ballo della chiesa, nel nostro vicinato erano tutti fuori ad aspettare il passaggio delle ragazze per salutarle prima del pranzo: “Belle ragazze” ripetevano tutti, “ Dio vi assista”.
Dopo circa una settimana, quando le ragazze ripartivano, portavano con sé qualche nuova ragazza, sorella, parente o solo amica di qualcuna, che aveva terminato la quinta elementare ed era pronta ad incominciare il lavoro col ruolo di bambinaia, solo dopo un po' di tempo si diventava “serbidora” e poi ancora dopo, “serbidora manna”.
Questi passaggi avvenivano anche in tempi passati, quando le ragazze del paese, dopo una breve esperienza presso i benestanti del posto, andavano a Cagliari a “s'agodrai”.
Era rara in paese la donna che non avesse fatto l'esperienza de “sa zaracchia”.
Anche nonna Margherita da Las Plassas,dove era nata, andò a Cagliari a fare la bambinaia a soli nove anni. Raccontava che quando i bambini, prima di dormire, si mettevano a piangere perchè volevano la mamma, piangeva anche lei che voleva la sua.
Poi il pianto passò, divenne serbidora manna e qualche anno prima di sposarsi, serbidora manna presso i ricchi del suo paese per imparare il mestiere di massaia sarda.
Un rito che si ripeteva da secoli, lo stesso percorso lo aveva fatto anche la mamma di mia nonna, un lavoro che responsabilizzava e insegnava il controllo di se stesse. Quando una ragazza veniva affidata ad una signora, sebbene conosciuta ed onesta, il destino di quella ragazza era affidato solamente alla sua capacità di autodeterminazione che la portava a diventare responsabile verso la padrona e verso se stessa, quell'autodeterminazione che la faceva diventare alla fine del percorso servile, serva padrona in casa d'altri e poi vera padrona in casa sua.







IS SERBIDORAS DE GONNATRAMATZA

In su 1920 mamma mia teniada dexi annus e si fudi presentada da privatista in Abasa po sustenni s'esami di licenza elementari.
S sorri manna sua. Modestina, fu giai maista e iscidiada cumenti si movi po ddi fai frequentai s'iscola ginnasiali, s'unica disponibili, insaras in Abasa.
Mamma mia fudi troppu pitia insarasa po viaggiaia soba d-onnya die e non ci fianta nimancu mezzus de trasportu adeguausu.
Sa sorri sua iada decidiu insarasa de dda preparai privadamenti e a ddi fai sustenni is esamis a sa fini de d-onnya annu iscolasticu. Insarasa fudi una consuetudini po is pagus studentis de sa zona nosta, prpriu po sa scarsidadi de is mezzus de trasportu ki colleganta is centrus abitausu.
Ziedda Modestina iada fattu arribai de Casteddu is librus ki serbianta e ianta organizzau sa preparazioni privada cumenti ianta cumbeniu. Totu fudi andau a sa perfezioni finzasa a sa quarta ginnasiali. A su espuru de s'esami de quinta ginnasiali sa mamma de mamma mia ddiada fattu interrompi is istudius po dda mandai a Casteddu a fai sa serbidora.
Una cumpangia beccia de iscolla de ziedda Modestina, filla de sa marchesa Giustiniani fudi cikendi una bambinaia e nonna mia, ca conosciada cussa famiglia, bidasa is condizionis economicas precarias aundi ci fianta arrutus dopo sa motti de su pobiddu, indi obiada approfittai po sistemai sa fillixedda.
Mamma fudi partida senza ribatti cillu e si de una parti fudi dispraxia po ai interrompiu is istudius, de un ateru fudi cuntenta de andai a traballai un gussa famiglia ki issa puru conoxiada e podiada contribuiri a risollevai is finanzas de sa famiglia.
S'intentu fudi cussu de torrai a pigai is istudius in melus tempus, tanti pressi non c'indi fiada.
Is melus tempus po torrai a is istudius non fianta prus torraus e in domu de sa Marchesa Giustiniani ddui fudi abarrada dexi annus. Is relazionis fianta diventadas meda intimas, sa filla fudi amiga de ziedda Modestina e si sighianta a frequentai, aiaia mia andada a dd'agattai un' orta a su mesi.
Olianta mandigari su pani tattu in domu e cun sa scusa de sinci ddu portai, aiaia mia indi oaprofittada po biri a sa filla sua.
In tempus de carrasegare ddi fadianta fai is azipuas poite ka cussas de is ofelerias de Casteddu non fianta aci bellas.
Candiu mamma si fudi fatta a isposa cun babbu, sa mamma dd'iada fatta licenziai da sa meri po ddi fai imparai, in famiflia, is artis de sa massaia sarda.
Mobi su trigu e fai sa farra po fai su pani, tessiri e attendi is arresis de domu, fianta cosas semplicis, ma non si podianta imparai ki no si fadianta direttamenti e abarrendi in cittadi non si podianta imparai.
I dus annus prima de si cojai ddus iada passaus in domu de sa mamma a imparai a fai sa massaia tramatzesa ma sighiada a tenni relazioni cun sa famiglia de sa Marchesa, dd'ianta invitada finzasa a sa coja de se filla, s'amiga de ziedda Modestina, ki fudi andada a bivi a Milanu. Dda trattanta cumenti a una de famiglia e candu sa Marchesa fudi andada a visitai a sa filla a Milanu si fudi fatta accumpangiai da mamma, mancai non fesseda prusu traballendi in cussa domu. De cussu viaggiu mamma indiada kistionau totu sa vida: in su 1934 po una picciocca de Gonnatramatza , fai unu viaggiu a Milanu non fiada una cosa meda comuni, dd'ianta fattu visitai Comu e Venezia e fudi torrada a domu cun d'unu entusiasmu ki non iada abbandonau mai. Candu mamma non traballada prusu po cussa famiglia, c'iada mandau una filla de sa sorri e a domu de sa filla ki si fudi stabilida a Milanu iada mandau un'atera filla de sa sorri e ddu iada traballau 20 annus. Fu propriu cussa netta Angiulina, ki fudi andada a Milano po traballai cuncu mesi e ddui fudi abarrada sessanta annus.
Dopu cuncu annu de traballu trumentau iada comprau sa domu e podiada ospitai totu is piccioccas de Gonnadramatza ki aprobianta a Milanu po cicai traballu. Non solu poniada a disposizioni de is paesanas suas sa domu, ma dda s'agiudada puru a cicai traballu e a dda sa inseriri in d'una cittadi manna cumenti a Milanu. Fudi considerada sa mamma de totus is picciccas tramatzesas. Is sorris mias puru candu fianta benidas a Milanu sa primu borta fianta aprobiadas a domu de Angiulina e issa non solu dda s iada ospitadas in domu sua e agiudadas a cicai traballu, ma ddas sighiada passu passu e teniada su cuntattu cun is merisi de riferimentu e comunicada cun mamma po dda tranquillizzai de is fillas atesu de domu.
Da sa fini de is annus 50 casi totus is piccioccas de bidda, cumenti finianta sa quinta elementari, asutta de sa protezioni de cuncu parenti o amiga de famiglia, emigraianta in is cittadis mannas de continenti.
In d-onnya cittadi importnti ci fiada una persona de riferimentu ki agiudada is piccioccas a s'inseriri.
Propriu in is annus de su sviluppu economicu is picciocas ki de annus traballanta in Casteddu si fianta trasferidasa in d'una cittadi de continenti po guadangiai de prusu.
In cussus tempus su puntu de riferimentu a Milanu po is picciocas de Gonnadramatza fudi Angiulina: issa poniada a disposizioni sa domu sua e cicada po issasa una meri ki dda s'arricessada e ddi si fadessada un pacheddu da mamma.Angiulina poi comunicada cun is famiglias telefonicamenti: s'avvisu de izzerriada ddu fadiada a su telefunu pubblicu de Giovinu.
Angiulina da parti sua fudi in cuntattu cun atras serbidoras mannas de atra biddas de sa Sardinia ki riferianta po is picciocas de sa bidda insoru. Angiulina fudi meda amiga de una femmina de Aritzu sistemada a Milanu , issa puru in su periudu de su pustis guerra. Una femmina forti e battagliera ki interveniada cuntras is merisi candu calincuna piccioca beniada trattada mali o addirittura molestada: minacciada is meris de denuncia e da beni escludiasa da sa rete de distribuzioni de sa maestranza sarda. Su domigu amerì, die libera po is serbidoras, su rotrovu po totus fudi in sa pratza de su Duomu po totus: si agatanta is paesanas e is amigas, si scambianta is notizias e is eventualis disigius de cambiamentu. Angiulina cicada de accontentai a totus po su solu gustu de biri accanta sua sa genti de sa bidda sua ki ddi donada sa sensazioni de no s'incessi mai andada da sa Sardinia.
S'appuntamentu po totus is serbidoras e is emigrantis de Gonnatramatza fudi po sa festa de Santu Michebi: cunqua die prima arribanta in famiglia e su ritrovu po sa prucessioni e sa missa cantada fudi sacrosantu. A sa bessida de cresia, “ su ballu 'e cresia”: in mesu de sa pratza si sezziada tziu Eugeniu Tuveri fisarmonicista zurpu, ki cun sa fisarminica sua intonada su sonu de su ballu sardu
mediana pippia”.
Totus is personas presentis, a brazzettu, si ponianta in tundu a prus fileras danzendi magicamenti cussu passu lentu e solenni de su ballu paesanu. S'obreri organizzadori de sa festa si poniada in mesu de su ballu cun d'una canna in manus e dda battiada a is cambas de is personas po allargai su giru e formai su ballu tundu. Cussu passu de ananti e a pabasa e girada a manu esta donada a totus sa possibilidadi de incrcia sa castiada e si saludai cun d'unu sorrisu o un cinnu de conca.
Dopu cussa longa e meravigliosa danza, su scioglimentu e is saludus. Cussas picciocas ki fianta partidas ca potanta ancora is pateddas e is gunneddas longas, imoi cun is pius crutzus e is bistiris a s'urtima moda e sa borsetta, parrianta atras personas. Sceti cuncu annu prima cussu cambiamentu iadài fattu scandalu. Cussu portamentu eleganti e cumpostu, parou, praxiada a totus, puru a is femminas beccias, ca castianta spantadas is piccioccas giovanas e cumentanta narendi “depid'essi istrangia no dda conoxu”. M'arragodu ca candu torranta a domu apustis de su ballu de cresia, a sa intrada de su bixinau nostu, is bixinus fianta totus in foras po aspettai candu passanta is piccioccas de su bixianu, prima de su prangiu: “Bellas piccioccas” , dicevano tutti:“Deus s'assistada”.
Dopu una cidixedda, candu is piccioccas torranta a partiri, ingollianta cun cussas cunqua picciocca noba, sorri, parenti e sceti amiga de cuncuna, k'iada finiu sa quinta elementari e fudi pronta a inghizzai su traballu cun su ruolu de bambinaia e sceti dopu unu pagheddu de tempus si diventada “ serbidora “ e dopu ancora, “serbidora manna”.
Custus passaggius ci fianta puru in tempus passaus candu is piccioccas de bidda dopu unu pagu de esperienza in domus de benestantis de sa bidda, andanta a Casteddu a s'agodrai.
Fudi rara in bidda sa femmia ki non essi fattu s'esperienza de sa zarakia.
Nonna Margherita, ki no fudi mancu de Gonnadramatza, fudi andada a Casteddu a fai sa bambinaia, ki teniada sceti noi annus: contada ca candu is pippius , prima de si crocai, si ponianta a prangi ca obianta sa mamma insoru, prangiada issa puru ca obiada a sa sua.
Poi su prantu ddi fudi passau, fudi diventada serbidora manna e cuncu annu prima de si cojai, serbidora manna in domu de genti arricca de sa bidda sua po imparai a fai sa massaia sarda.
Unu ritu ki si ripetiada da seculus, su stessu itinerariu dd'ia fattu puru sa mamma de nonna mia, unu traballu ki responsabilizzada e imparada a a tenni su controllu de issas a totu.
Candu una picciocca beniada affidada a una meri, mancai cannottae onesta, su destinu de cussa picciocca, fudi affidai solamenti a sa capacidadi de si determinai da sé ki ci dda portada a diventai responsabili ananti a is meris e ananti a issa e totu, cuss'autodeterminazioni ki dda fadiada diventai a sa fini de su percorsu da sa zarakia, meri e serbidora in domu alena e poi vera meri in domu sua


Antonio Giuseppe Abis, Cusano Milanino 25 Aprile 2014

venerdì 14 marzo 2014

la sposa abbandonata

LA SPOSA ABBANDONATA

Quando feci il mio primo viaggio a Milano era il mese di Agosto del 1966. Mia sorella Lalla era già a Milano da tempo ed era ricoverata in ospedale per partorire Alessandra, la sua seconda bambina. C'era quindi bisogno che io badassi ad Antonio, il primo figlio. Quel viaggio avrebbe dovuto farlo mia madre, ma lei partì in cielo e il viaggio a Milano lo feci io.
Nei due mesi in cui rimasi da mia sorella, veniva a trovarci molto spesso una nostra cugina, Agostina, trapiantata a Milano da più di vent'anni. Di Agostina non sapevo quasi nulla, l'avevo incontrata in paese pochissime volte e in casa nostra non se ne parlava mai in mia presenza.
Durante le visite che faceva da Lalla, parlava molto di Gonnostramatza e delle relazioni parentali della gente del paese, come se non si fosse mai allontanata. Era molto informata sui fatti e sulle vicende che la legavano alla nostra famiglia e li raccontava con passione mista a malinconia.
La mia curiosità era grande per i racconti di episodi della mia famiglia e della sua, riportati da una persona vissuta in paese dagli anni venti fino al dopoguerra.
Nella mia spontaneità, le chiesi il motivo che la spinse ad andarsene dal paese alla fine degli anni quaranta. Non fece fatica a rispondermi e cominciò a parlarmi del periodo trascorso in famiglia fin dalla sua adolescenza.
Era la terza di nove figli e suo padre morì appena nacque l'ultimo. Sua madre, rimasta vedova con nove figli, era stata costretta ad organizzare i lavori di pastorizia e di agricoltura con le sole forze delle figlie femmine. I maschi invece, troppo piccoli per lavori così pesanti, al massimo potevano dare una mano a governare il bestiame. Agostina e le altre due sorelle più grandi dovevano pascolare le pecore e mungerle, badare ai buoi, portarli al pascolo e aggiogarli per i trasporti e per le arature delle terre. Le tre ragazze lavoravano in campagna come gli uomini, non si risparmiavano in nulla. La loro madre non andava in campagna ma organizzava i lavori di tutti e faceva il formaggio in casa ogni giorno. Quella era l'attività che provvedeva al sostentamento familiare: il formaggio di quella famiglia era noto per la bontà e genuinità e non si faceva in tempo a farlo che c'era già qualcuno che lo comprava. Sua madre non andava in campagna ma in casa non si menava i pollici: nove figli a cui badare, fare il pane, pulire la casa e tenere il telaio sempre in movimento. Le cose da tessere erano sempre tante, l'orbace per i sacchi neri da pastore, i sacchi di cotone per i raccolti, le bisacce e in aggiunta c'era in corso di tessitura sempre qualche pezzo di corredo per le figlie. Un po' alla volta bisognava portare avanti il lavoro di qualche coperta, coberibangu o bisaccia. Tutte cose allora indispensabili per il corredo di una donna e in quella casa di figlie femmine ce n'erano sette, tre già in età da marito. Nonostante le difficoltà per la mancanza del padre, sua madre non si perdeva d'animo quando doveva darsi da fare. Avevano la fortuna di possedere un bel gregge di pecore e una quantità discreta di terre ereditate dal padre le consentiva di trarre il profitto necessario per vivere e costruire un futuro ai figli nel rispetto delle tradizioni. Non circolavano molti soldi in quella casa, ma i prodotti naturali che ricavavano dal lavoro erano sufficienti a gettare le basi per la preparazione delle doti da sposa delle sette figlie.
Subito dopo la seconda guerra mondiale, Agostina che era fidanzata con un giovane del paese, decise di sposarsi. Il fidanzato aveva la casa già pronta e lei possedeva il corredo e tutte le cose fondamentali che potevano servire. Doveva comprarsi solamente i mobili e per questo non aveva i soldi, così decise di partire per Milano per qualche mese a fare la domestica. Lo stipendio allora era alto e in meno di un anno sarebbe stata in grado di acquistare i mobili. Partì dopo la festa di San Michele e prese servizio in casa della figlia di una marchesa di Cagliari che conosceva mamma. La laboriosità di Agostina era proverbiale, tanto che non si limitava solo a fare tutti i lavori domestici, ma puliva anche le scale di tutto il palazzo; questo le consentiva di guadagnare quasi due stipendi mensili. Mandava i soldi a sua madre che puntualmente li metteva in posta. Nel periodo di pasqua dell'anno successivo aveva deciso di tornare in paese per organizzare le nozze, dato che la cifra che le serviva l'aveva già accantonata, voleva rimanere solamente un altro mese per avere qualche soldo in più a disposizione.
Un brutto giorno di Aprile le arrivò una lettera da sua madre, con la quale veniva informata di un fatto a dir poco sconcertante: il suo fidanzato aveva fatto le pubblicazioni del matrimonio con un'altra donna del paese; la madre le consigliava quindi di non tornare più. Agostina emise un urlo mescolato al pianto che fece accorrere la sua signora, la quale fu molto d'aiutò ad Agostina in quel frangente.
Agostina mi raccontò questa storia con le lacrime agli occhi e con voce commossa, aggiunse che in paese ritornò solo dopo molti anni e per pochi giorni, il tempo necessario per salutare sua madre e le sue sorelle. Lei decise di non sposarsi con nessuno e il suo corredo lo cedette a una sorella. Al fidanzato fedifrago augurò tutto il male del mondo e tanta infelicità con la sua nuova famiglia.
Erano passati vent'anni e Agostina covava ancora molto rancore. Nel cuore conservava però anche tanto amore per il suo paese, per la sua storia e le tradizioni di quell'angolo di terra; una terra che non può essere dimenticata neanche dopo tutte le vicessitudini e le sofferenze, una terra che non potrà mai essere invisa nonostante il dolore da sposa abbandonata.








































SA SPOSA ABBANDONADA

Candu seu beniu a Milanu fudi su mesi de Austu de su 1966; depia agiudai a sorri mia Lalla a castiai su pippiu, Antoni, a su mentrisi ki dda ricoveranta in su spidali po su partu de se segunda filla.
Cussu viaggiu ddu depia fai mamma, cumenti dd'iat fattu candu fudi nasciu su primu pippiu de Lalla, ma custa borta, issa fudi partida a su celu e su viaggiu a Milanu dd'ia fattu deu.
In cussus dus mesis ki fui abarrau cin sorri mia, beniada a s'agattai una sorresta nosta.
Agustina, trapiantada a Milanu da prusu de binti annus.
Agustina dd'ia attopada in bidda pagus bortasa e de issa no iscidia nudda, in domu nosta no s'indi kistionada mai ananti miu.
Me is visitas ki fadiada a domu de Lalla, kistionada meda de Gonnostramatza e de is relazionis parentalis de sa genti de bidda cumenti ki no sinci fessada mai stesiada.
Fudi meda informada de is fattusu e is vicendasa ki dd'accapianta a sa famiglia nosta e dda narada cun passioni e malinconia.
Sa curiosidadi mia fudi manna po is contusu de sa famiglia mia e de sa sua, fattusu da una persona bivvia in bidda da is annis binti a su dopuguerra.
In sa spontaneidadi mia dd'ia domandau calli fudi istau su motivi ki dd'iada spinta a s'inci andai de bidda a sa fini de su coranta.
Non iada fattu fatiga a m'arraspondi e po mi fai accumprendi is verasa arrascionis de s'emigrazioni iada inghizzau a mi kistionai de su tempus passau in famiglia finzasa de candu fudi pitia.
Fudi sa terza de noi fillusu e su babbu fudi mottu appena ki fudi nasciu s'utimu fillu.
Sa mamma, abarrada fiuda cun noi fillusu, fudi custrinta a organizzai is trabalus de pastorizia e de s'agricoltura cun is solas forzas de is fillas femminas poite ka i mascusu fianta ancora piticusu po is trabalus graisi, massimamente podianta donai una manu a castiai su bestiami.
Agustina cun is atras duas sorris prus mnnas depianta pasci is brabeis e dd'asa mulli, castiai is boisi, a ci ddus bogai a pasci e a dd'usu giungi po tirai su carru e po arai is terrasa.
Custas tres picciocasa trabalanta in su sattu cumenta a is ominis e no s'arrispramianta in niscuna cosa.
Sa mamma insoru no andada a su sattu ma organizzada su traballu de totusu e fadiada su casu in domu d'onnya die.
Cussa fudi s'attividadi ki provvidiada a su sostentamentu de sa famiglia: su casu pesau de issa fudi nomonau po sa buntadi e genuinidadi e no fadiada a tempus a ddu fai ka ci fiada gia cuncunu ki ddu comprada appena pesau.
Sa mamma no andada a su sattu ma in domi no si trotoxada is didusu: noi fillus de castia, fai su pani e allikidiri su logu e su trobaxu sempri andendi e torrendi. Is cosas de tessi fianta sempri medasa,
S'obraci po is saccus nieddus de pastori, is saccus de sakeria po s'incungia, is bertulas po su sattu, e in prusu ci fudi sempri in tessimenta cuncu pezzu de corredu po is fillas. A pagu a pagu toccada a potai ainnantisi su traballu de cunqua faniga, coperibangu o bertula. Totu cosas insaras indispensabilis po su corredu de una femmina e in cussa domu is femminas fianta setti, tresi giai in edadi de coianza. Nonostanti i difficoltadisi po sa mancanza de su babbu, sa mamma sua no si fudi pedria de animu candu si depiada donai de fai po pensai a su futuru de is fillus.
Tenianta sa fortuna de posseidi unu bellu tallu de brabeisi e bellas patis de terra k'iada eredidau da su babbu, ki ddi cunsintiada de fai sempri una bella incungia po bivi beni e costriuri su futuru po is fillus in su rispettu de is tradizionisi.
No girada meda dinai un cussa domu, ma s'arragotta ki fadianta cun su traballu insoru fudi abbastanza po ghettai sa basi po sa preparazioni de sa doti de isposa ki in cussa domu iantessi setti.
Apustis de sa guerra Agustina iada accabau sa coia cun d'unu piccioccu de bidda e iada decidiu de si coiai.
Su sposu teniada sa domu gia fatta e issa teniada is cosas ki serbianta in d'una domu cumenti fudi organizzada sa fida in bidda a sa fini de su coranta.
Depiada comporai solu is mobilis e po cussus no teniada su dinai, e aici di accodriu cun sa mamma e is sorrisi iada decidiu de partiri a Milanu po una pariga de mesis a fai sa serbidora.
Su stipendiu insaras fu bellu e in pru pagu de un annu iadessi arranescia a comprai is mobilis po sa domu. Fudi partida dopu sa festa de Santu Michebi e iada pigau servizio in domu de sa filla de una marchesa de Casteddu ki conosciada mamma. S'industriosidadi de Agustina fiada proverbiali tantu ka no si limitada a fai se serbidora in domu de sa meri anca prestada serviziu, ma sciacquada is as scabas de totu su palazzu, custu ddi cunsintiada de guadangia casi dusu stipendius mensilis.
Su dinai ddu mandada a sa mamma ki puntualmenti ddu poiniada in sa posta.
In tempus de Pasca de s'annu in fattu iada decidiu de ci torrai a bidda po organizzai sa coia, datu ka su tanti ki ddi serbiada dd'iada accantonau, obiada sceti abarrai unu mesi in prusu po tenni cuncu francu a disposizioni po cuncu imprevistu. De sa torrada a bidda indiada kistionau puru cun sa meri po ddi donai sa possibilidadi di si cicai una persona po dda sostituiri.
Una die leggia de apribi ddi fudi arribada una litera de sa mamma, cun cussa dd'informada ca su sposu suu iada fattu is pubblicazionis in sa potta de sa cresia ca si depiada coiai cun d'una atera femmina de bidda, sa mamma ddi consillada annuncasa de no torrai a bidda. Agustina indiada ghettau unu itzerriu amasturau cun prantu ki indiada fattu suncurri sa meri, kiada agiudau meda Austina in cussu frangenti.
Agustina m'iada contau custu fattu cun is ogus prenus de prantu e sa boxi cummovia e iada acciuntu ca a bidda fudi torrada andai sceti dopo medas annus e po pagus disi, su tempus necessariu po saludai a sa mamma e a is sorris.
Issa iada decidiu de no si coiai cun nemus e su corredu suu ddiada cediu a una sorri.
A su sposu iada augurau, cun totu s'arrabia ki potada in su coru, totu su mabi de su mundu, tanti da no si podi gosai sa famiglia noba.
Fianta passaus binti annus de insaras ma Agustina, nonostanti totu s'arrabia, potada in su coru ancora totu s'amori po sa bidda sua, po sa storia sua e po is tradizionis de cuss'angulu de terra ki sighiada ad amai nonostanti sa storia leggia bivvia de isposa abbandonada.





















Antonio Giuseppe Abis, Cusano Milanino 13 Marzo 2014

martedì 11 febbraio 2014

IL TAPPETO DELLA CHIESA

Il Tappeto della Chiesa

Nel periodo delle trebbie del 1959 mio fratello Giovanni partì per il servizio militare e in quei giorni di molta fatica ricordo che nonna Margherita, durante il raccolto del grano, disse a mia mamma che il canonico Vacca le aveva chiesto di interessarsi della tessitura di un grande tappeto da sistemare ai piedi dell'altare, perchè quello esistente era diventato troppo liso.
Mamma era preoccupata per la fatica immane di quei giorni e, dovendo fare a meno anche dell'aiuto di Giovanni che sarebbe partito il giorno dopo, non aveva molto tempo da dedicare ad altre cose, rispose, comunque, che ne avrebbe parlato con Zia Modestina, sua sorella, per capire che tipo di collaborazione poteva dare per fare questo dono alla chiesa.
La prima volta che zia Modestina venne a casa, mamma mi mandò a chiamare nonna Margherita per parlare con lei della questione del tappeto. Furono tutte e tre favorevoli ad avviare un progetto di tessitura con la collaborazione di zia Beatrice Marongiu e Zia Virginia Cadeddu, professioniste del telaio.
Zia Modestina era disposta a comprare il cotone per l'ordito e la lanetta per i ricami, mamma avrebbe procurato la lana di pecora nera e nonna Margherita avrebbe provveduto alla cardatura e alla filatura della lana.
Zia Modestina si era impegnata a chiedere alle tessitrici la loro collaborazione per impiantare i telai e coordinare eventuali altre tessitrici disponibili a regalare qualche ora di tessitura per la realizzazione di questo progetto.
In men che non si dica Zia Modestina fece arrivare da Mogoro il cotone per l'orditura e dalle professioniste tessitrici non ottenne solamente la collaborazione e consulenza, ma la loro completa disponibilità a realizzare personalmente la tessitura.
Decisero di impiantare contemporaneamente i due telai di loro proprietà nelle rispettive case e zia Beatrice non solo si dedicò personalmente alla tessitura, ma coinvolse anche sua figlia Tarcisa, per non lasciare il telaio fermo, quando lei si doveva dedicare ad altro. Nonna Margherita, man mano che filava, trasportava la lana nelle case delle tessitrici per non fare mancare il materiale.
Dovevano tessere due teli a testa con un motivo de briabi a bagas di colore nero nella parte centrale e una fascia blu di mezzo telo nei bordi.
Avevano convenuto di non riprodurre mostas ricamate per risparmiare tempo e perchè sul tappeto bisognava camminarci, le parti ricamate si sarebbero rovinate subito.
In casa di zia Beatrice si altenavano nella tessitura non solo sua figlia Tarcisa, ma anche zia Serafina Abis e Zia Barbara Zedda; in casa di zia Virginia Cadeddu andava quasi tutti i giorni zia Paolina Seddora e zia Rita Concu, per accelerare i lavori e non lasciare mai fermo il telaio.
Un giorno di fine agosto, nonna Margherita, al ritorno da una visita fatta a casa delle tessitrici, riferì con rammarico che il lavoro era una perfetta sconceria, ci mettevano le mani troppe persone e si vedevano da lontano le diverse lavorazioni. Mamma la rassicurò dicendole che, alla fine del lavoro, il tappeto doveva essere bagnato e tenuto arrotolato stretto per qualche giorno: questo sarebbe servito a rendere uniforme il lavoro. Faceva così anche sua madre, anche lei maestra del telaio.
Con ritmo così serrato, a metà settembre finirono il lavoro di tessitura. Dovevano verificare che le misure dei teli fossero tutte uguali e legare finalmente i fili al subbio anteriore del telaio per terminare la tessitura e fare i lavori di assemblamento.
Riservarono questa operazione a Tarcisa che unì i quattro teli e cucì a macchina l'orlatura con un nastro di cotone grezzo, di colore violaceo.
Quando finirono il lavoro, le tessitrici chiamarono zia Modestina per farglielo vedere. Ci andò anche mamma e, quando Tarcisa srotolò il tappeto nella veranda, il lavoro sembrava perfetto.
Per il giorno di San Michele, l'altare della chiesa fu adornato da questo enorme tappeto di quattro metri di lunghezza e tre di larghezza.
In quella occasione Tarcisa regalò alla chiesa anche due suoi coberibangus con sa mosta ricamata a perra posta, da usare come passatoia sui gradini dell'altare.
Il canonico Vacca nell'omelia della messa cantata di S. Michele ringraziò e si complimentò con tutte le donne che si prodigarono per la realizzazione di questa grande opera e in modo particolare con zia Beatrice Marongiu e zia Virginia Cadeddu che le definì con fervore ed entusiasmo le tessitrici più brave di Gonnostramatza.






Su coberibangu de sa cresia

In su tempus de is argiolas de su 1959 fradi miu Giovanni fu partiu po fai su sordau e in cussas disi de meda trumentu, m'arragodu ka nonna Margerita in mesu de s'arragotta de su trigu narada a mamma ka su cabonigu Vacca dd'iada domandau de s'interessai po una tessidura de unu coperibangu mannu da sistemai a is peis de s'altari poita ka su ki ddu fiada non di giuada prusu.
Mamma fu preoccupada po s'atrupigliu dei cussas disi, dobendi fai a mancu de Giovanni ka depiada partì sa dì in fattu e no teniada meda tempus da dedicai a is atras cosas , ma dd'iat nau ka nd'iadai kistionau cun sa sorri Modesina po cumprendi ita tipu de agitoriu podia donai po fai custu donu a sa cresia.
Sa prima borta ki ziedda Modestina fu benida a domu nosta, mamma m'iada mandau a izzerriai a nonna Margherita po kistionai ananti a issa de sa kistioni de si coperibangu. Fianta totu a is tresi de accordiu po incarrebai sa tessidura cun s'agiudu de tzia Beatrice Marongiu e Tzia Virginia Cadeddu, maistas de trobaxiu.
Tziedda Modestina fu disposta a comprai su cotoni po s'odrìu e sa lanetta po sa mosta, mamma depiada pricurai sa lana de brabei niedda e nonna Margherita depiada accramiai sa lana e dda depiada fibai.
Tziedda Modestina si fudi impegnada a kistionai cun is maistas de su trobasxu po domandai s'opera insoru e su controllu de sa tessimenta de is atras femminas ki si rendianta disponibilis a donai qunqua ora de tessidura po realizzai custu progettu.
In mancu ki non si nerada, Tziedda Modestina iada fattu arribai da Moguru su cotoni po s'odriu e de is maistas de trobaxu non solu iada otteniu sa collaborazioni insoru ma sa cumpleta disponibilidadi a realizzai sa tessimenta intera.
Ianta decidiu de imprantai contemporaneamenti i dus trobaxus insoru, ognuna in domu sua e tzia Beatrice, non solu si fiat dedicada personalmenti a sa tessitura ma iat coinvoltu puru sa filla sua Tarcisa po no lassai su trobaxu frimu candu issa teniada atera cosa de fai.
Nonna Margherita manu a manu ki fibada sa lana ci dda potada a domu de is tessitorasa po no fai ammancai su materiali.
Depianta tessiri dus teusu a cadauna cun briabi a bagasa de colori nieddu in sa parti de mesu e a giru in giru un oru de da mesu teulu de cabori bleu.
Ianta cumbeniu de no fai mostas in perra posta po risparmia tempus e po su fatto ka a pizzusu de su coperibangu ci depìanta camminai e is partis ricamadas si antessi rovinadas de allestru.
In domu de tzia Beatrice si intravaranta in sa tessimenta, non solu sa filla Tarcisa, ma puru tzia Zarafina Abis e tzia Brabara Zedda: a domu de tzia Virginia Cadeddu andada giai d'onnya die tzia Paolina Seddora e tzia Rita Concu. Custu po su motivo di essi prus lestrus e po no lassai mai su trobaxu frimu.
Una die de fini austu, nonna Margherita, a sa torrada de una visita fatta a domu de is tessidoras, iada torrau a nai, cun dispraxei, ka su traballu fudi bessendi una primoria sconcesa, ci ponianta is manus tropus personas e si bidianta de atesu is diversas manus de traballamentu.
Mamma dd'iada assicurada narendiddi ka a traballu finiu su coperibangu andada sciustu e tentu arretulau po unu scantu dies. Custu iadessi serbiu at unitzai su traballu, fadiada aici puru sa mamma sua, issa puru maista de trobaxu.
Cun meda manu lesta a mesu cabudanny ianta finiu is trabalus de tessimenta, depianta avveriguai ki is misuras de is telus fessanta gualis e acapiai finalmenti is fius a su srubiu de ananti de si trobaxu e accabai sa tessimenta e cosiri is telus pari pari po fai su coperibangu interu.
Custa faina dd'ianta arreguada a Tarcisa ka iada cosiu is quattru teusu a macchia e fattu s'undrollu cun bitta capicciosa de cabori viola.
Candu ianta finiu su traballu, ianta izerriau a tziedda Modestina po si ddu ammostai. Ddui fudi andada mamma puru, e candu Tarcisa iada spoliau su Coperibangu in su stabi, su traballu parriada de primoria.
Po sa die de Santu Michebi s'altari de sa cresia dd'ianta cuncodrau cun custu coperibangu mannu ,longu quattru e ladu tres metrus.
In cussa circustantia Tarcisa iada arragallau a sa cresia dus coperibangus susu cun mosta ricamada a perra posta , da poniri po passatoia in is iscaberis de s'altari.
Su cabonigu Vacca in sa predica de sa missa cantada de Santu Michebi iada arringraziau cun cumprascentia totus is femminas ki si fianta prodigadas po avverai custa opera manna e in modu particolari a tzia Beatrice Marongiu e tzia Virginia Cadeddu e dda s'iada declamadas cun animosu fervori comenti a is tessidoras prus bravas de Gonnostramatza.

Antonio Giuseppe Abis

domenica 9 febbraio 2014

Alla mia sposa

Alla mIa Sposa

A su kitzi su primu pensamentu m'inci portada a tui, amori miu! larbas tuas disigiu onnya momentu, po ti onai s'abidu miu.(1)

Su trobaxu ki movisi a mengianu po tessiri su nomini miu, in su coru ti pongu sa manu, po t'intendiri su sentidu, ki est miu.(2)

In s'ora ki passu cun tui, s'anima tua mi sanziat su coru, mi stringit sa fida cun tui, e mi pota po prenda de amori.(3)

Su sinnu miu ti lassu in s'intrannia e in su coru, ki prusu non passu, cunserva tui su tesoru.(4)



Antonio Giuseppe Abis Gonnostramatza, 29 Settembre 1969








1 Al mattino il mio primo pensiero, mi porta fino a te amore mio! Le tue labbra desidero in ogni momento per donarti l'alito mio.
2  Quando muovi il telaio la mattina, per tessere il mio nome, sul tuo cuore metto la mia mano per ascoltare il tuo sentimento per me.
3  Nell'ora che passo con te la tua anima culla il mio cuore, stringe la mia vita alla tua e mi tiene come pegno d'amore.
4   Lascio il mio segno nel tuo seno e nel tuo cuore, se non farò ritorno,
conserva tu quel tesoro.












mercoledì 15 gennaio 2014

ADIOSU BIDDA MIA


Adiosu Bidda mia

Adiosu bidda mia
deu partu in continenti,
seu prenu de angustìa
in s'anima e sa menti.


Tui ses terra cunsagrada
cun fogu e sentimentu,
de medas ammirada
in d-onnya giru e' bentu


Adiosu genti mia
intrisida de sudori,
de bosatrus m'est benìa
s'arguzia e su scipiori.


Is artis imparadas
ottenias cun s'impegnu
is solas credenziadas
po rendi s'omi degnu.


A sa genti e' pratza cresia
severa giudicanti,
de d-onnya femmia scesia
de pabasa e de ananti.


Adiosu sposa mia
de anima gioiosa,
melus mottu mi obia,
ki no ti biri sposa


Adiosu amigus mius
de iscolla e de su jogu
de candu fiaus pitius
impari in d-onnya logu.

Adiosu su bixiȃu
chi m'at biu crescendi,
prangendi m'anti nȃu:
«ti ollu bì torrendi».


A su frumi miu solenu
ki mi passada in bixiȃu
de arragodus tui m'at prenu
mi bidas poi rientrau.


A babbu miu prangendi
imprassu in su potabi:
«Ti ollu bì torrendi,
no t'indi parra mabi».


Cumenti fazzu in terra alena
a cantai sa terra mia,
cumenti a is canis in cadena
murrungendi s'arruȋa.


Cun megus t'indi leu,
e nemus ddu scidi,
asessi tui e deu
e custu non si bidi.



Gonnostramatza, Giugno 1970


Antonio Giuseppe Abis