giovedì 20 ottobre 2011

BIOGRAFIA








Abis Antonio Giuseppe
(Gonnostramatza 1951 - )

 
 Antonio Giuseppe Abis è nato a  Gonnostramatza in provincia di Oristano nel 1951. L'amore per gli usi e i costumi della sua terra lo ha appassionato fin da bambino. E' vissuto nel suo paese natale fino al conseguimento della maturità per poi trasferirsi a Milano dove ha coltivato con molta determinazione due grandi passioni: gli studi giuridici, che lo hanno portato al conseguimento della laurea in giurisprudenza, e l'arte culinaria, che ha avuto modo di approfondire lavorando nell'ambito della ristorazione. Se pur in terra "straniera" non ha mai smesso di amare ed utilizzare con passione la lingua del suo paese natio e custodire gelosamente gli usi di quel popolo singolare che tanto ha amato da celebrarlo nelle sue opere. Nel 2010 ha pubblicato una raccolta di poesie in lingua sarda: LA POESIA DI GONNOSTRAMATZA e due racconti autobiografici: IS ARRAGODUS; FILLU DE ANIMA

RECENSIONE DI "IS ARRAGODUS"




IS ARRAGODUS

IS ARRAGODUS

Antonio Giuseppe Abis

Prezzo: €12.90

978-88-567-2861-3
Numero pagine: 63




                                  



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Una storia autobiografica che prende le mosse da un paesino dell'entroterra sardo negli anni a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta. Le tradizioni, gli usi e i costumi di un mondo lontano raccontati con le parole di un ragazzo che le ha vissute sulla sua pelle, con quella immediatezza e semplicità di chi affonda nei ricordi mentre scrive. È la forza della tradizione che spinge Antonio Giuseppe Abis a parlare delle sue origini, delle sue radici, usando tutto il fascino di una lingua fatta di suoni che sembrano venire da molto lontano, duri e forti, come la gente di quella terra avara che i contadini corteggiavano per ricevere dei frutti. Ma sono i rapporti umani che si portano in primo piano in questo racconto: rapporti veri, segnati dal dolore, anche se a volte chiusi dietro a riti e cerimonie che servono a dare una voce a sentimenti che difficilmente riescono a trovarla; rapporti che parlano di legami familiari profondi, che solo la morte può scalfire. Un racconto profondamente sentito, che in alcuni momenti sembra rivelare un sottofondo di nostalgia per quel mondo ormai lontano.

Antonio Giuseppe Abis è nato a Gonnostramatza (OR) nel 1951. Dopo la maturità si è trasferito a Milano, dove ha conseguito la laurea in Giurisprudenza e dove ha lavorato nell'ambito della ristorazione.

In copertina: foto dell'Autore.

mercoledì 19 ottobre 2011

" IS ARRAGODUS" COPERTINA


IS ARRAGODUS di Antonio Giuseppe Abis

Della  Prof.ssa Maria Germinario Calzi
  

Mi ha teneramente portato alle radici dell' essere “speciale”del suo autore. Ho seguito con partecipata condivisione la faticosa e lenta costruzione della sua identità, raccogliendo i valori che gli ha trasmesso l'intera geometria di una famiglia allargata, dove, ognuno sapeva mantenere il proprio spazio e, all'occorrenza, fare un passo indietro per non sovrapporsi.
Elevatissima espressione di civiltà di una cultura primigenia atavica, fatta di gesti e di silenzi, di sentimenti forti e coesioni ancestrali, rafforzati da canti nuziali e lamenti funebri.
L'autocontrollo dominante delle due sagge figure femminili (perché di matriarcato si tratta) molto attente a non esorbitare anche nel dare consigli, specie se non richiesti, crea nella sua narrazione sobria e asciutta, in un'età smemorata come la nostra, la naturale epopea della trasmissione di una memoria che non è solo legata alla navigazione del suo vivere, ma costituisce l'architrave della famiglia patriarcale tradizionale, che,  al di là di qualche tratto oppressivo di bambini non facilmente sostenibile, nel suo reciproco aiuto organizzativo e affettivo faceva transitare pressoché liberamente le crescenti nuove aspettative delle immature vite in espansione.
Povera scuola dello stato orientata in senso pseudoconoscitivo contrapposto all'energico dinamismo del quotidiano formativo familiare, fatto di apprendimenti esperenziali, di praticità, di raccordi continui alle molteplici variabili della vita naturale e animale.
La scansione del tempo, determinata dalle continue attività manuali, anche ordinarie, sottese dall'amalgamante “rosario”, sembra allontanare dalla permanente presenza delle problematiche terrene per trasferire ad un divino sempre incombente, pensieri semplici e profondi nello stesso tempo.






















INTERVISTA


Questo racconto è nato come sfogo a un grande dolore.
Ero un ragazzo di 15 anni e non riuscivo ad accettare la morte di mia madre.
Fu nonna Margherita ad incitarmi a scrivere per raccontare quella vicenda dolorosa che non mi lasciava vivere.
Per dare un senso logico al racconto, ho dovuto allacciarmi alle vicende della vita che hanno preceduto la morte di mia madre.
Si tratta del periodo della mia infanzia, quando ancora i piccoli erano considerati davvero tali e bisognava avere un forte rispetto per i grandi. Il rispetto per le persone, era il cardine della vita sociale, il rispetto per la saggezza degli anziani, che era considera la colonna portante della convivenza civile, era quasi una sacralità.
Io ho avuto la fortuna di avere come madrina di battesimo una persona anziana molto saggia e abile , durante la malattia di mia mamma e poi dopo la sua morte si prese cura di me in modo assolutamente puro e cristiano.
Io ero il suo figlio d'anima, per tale motivo la coscienza imponeva che mi venisse trasmesso tutto l'amore e le premure che mia madre non aveva fatto in tempo a darmi.
Di sicuro,mia nonna non si era risparmiata nei doveri di madrina. Quella che narro nel mio racconto è una delle tante storie vissute dai ragazzi della mia generazione fra gli anni cinquanta e sessanta.
Storie di contadini, pastori, bovari, dense di sacrifici, primo fra tutti, quello di dover trovare il tempo per andare a scuola.
Non ricordo solo una vota di aver fatto i compiti o studiato a casa: leggevo, scrivevo e ripetevo le lezioni seduto davanti ai buoi che brucavano l'erba.
Per guadagnarsi il rispetto bisogna essere istruiti, ripeteva mia mamma, ed io questa frase la interpretavo nel senso materiale del termine: ero il più piccolo di sette figli e avevo bisogno di guadagnarmelo davvero quel rispetto, se volevo sopravvivere alla legge del più forte.
Questa parola magica ,“ istruzione,” mi ha poi accompagnato nel prosieguo dei miei anni e mi ha fatto amare sempre di più lo studio che non solo mi ha cambiato la vita ma mi ha anche arricchito interiormente.
Il racconto è stato scritto di gettosubito dopo la more di mia madre, ma ora ho deciso di riprenderlo in mano e pubblicarlo, perchè ho il grande desiderio di far conoscere a mia moglie che non è sarda e alle mia figlie i luoghi e le persone di una Sardegna antica che scandiva ogni vicenda della vita con riti,tradizioni e costumi, ora non più esistenti
Ora i costumi si usano solamente per le sfilate folkloristiche, una volta erano l'abbigliamento quotidiano; la lingua sarda veniva parlata da tutti , anche dagli intellettuali ed era musicale e poetica perfono nella bocca degli analfabeti: era davvero lo strumento che consentiva di esprimere appieno tutti i sentimenti.
La vita veniva celebrata in ogni circostanza, gioiosa e dolorosa e la partecipazione della comunità era sempre corale ed intensa.
Nelle vicende di morte,la solidarietà sopratutto quella delle donne, era davvero speciale, il morto veniva pianto col rito de s'attitidu, una sorta di poesia cantata e pianta allo stesso momento, attraverso la quale veniva declamato al defunto l'ultimo.saluto..
Una storia davvero singolare quella della Sardegna antica che dopo secoli è cambiata improvvisamente ed è per questo che desidero raccontare alle mie figlie e alle nuove generazioni come si viveva in Sardegna nel periodo della mia infanzia.Pertanto ritengo sia doveroso , per me, documentare questo cambiamento, perché solo le persone come me che hanno fatto a tempo a conoscere la vita della Sardegna antica possono darne testimonianza alle nuove generazioni.
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RECENSIONE DEL RACCONTO "Fillu de Anima"


RECENSIONE DELLA PROFESSORESSA MARIA GERMINARIO CALZI

Antonio Giuseppe Abis, l'autore de Fillu de anima, riprende il suo articolato narrativo, sempre in controtendenza, essendo la sua tenace aspirazione a tenersi ben lontano dal linguaggio e dalle idee della modernizzazione letteraria sempre più avanzata, non certo perché del nostro tempo non ne accetti il cambiamento, ma per la maturata consapevolezza che la vera innovazione trasgressiva, oggi, è riposta nella riscoperta della tradizione, quella non scritta, che ci consente di meglio penetrare il mistero del vivere. E' il suo un personalissimo modo per confermare di esserci e per esprimere gratitudine di esserci sempre stato nel calendario di quel tempo vissuto a Gonnostramatza, sempre attento alle più riposte sinuosità della sua gente, scrupoloso custode dei fondamentali archetipi del suo vivere. Abbeveratosi alla sorgente di quella civiltà pastorale (non bucolica) e contadina, aprendo il taccuino delle sue preziose memoria, ci rende partecipi del vissuto di quella piccola comunità, il cui cuore pulsante respira nella proiezione della sua composita famiglia, primigenia realtà di secolare avvicendamenti umani, di incroci matrimoniali allargati ai paesi vicini. Nell'intricato dedalo di esperienze faticosamente vissute, si affaccia in dinamico equilibrio la parità dei sessi non alterata dalla industrializzazione non pervenuta; le donne per essere anche portatrici di nuova vita si impongono nel circolare gioco delle parti nel loro ruoli ben definiti ma non invalicabili. In questo paese isolano quasi astorico (se non fosse per le ricadute delle guerre e della pestilenza che generano vittime impreviste) l'umanità che lo abita non disdice il suo destino, si affida, mai rassegnata, alla sua tenace voglia di vivere e migliorare e il troppo tragico e il poco gioioso che avanza, nel fluire ininterrotto del tempo nutre gesti, relazioni, corrobora parole in lingua naturale, perfeziona operatività tramandate,sollecita emozioni e sentimenti che si fanno per noi strade di senso. La parsimonia non in contrasto con la generosità permette alla famiglia di aprirsi ad altri come alla forestiera amabilmente integrata, nonna Margherita, divenuta parte integra non supplementare; nella galleria di molteplici vite oscure mai comunque banali, irrompe il binomio mamma Ninna – nonna Margherita, due creature in sintonia empatica, più forti della non speranza, espressioni, la prima, di una civiltà più avanzata (sa leggere e ricamare, amministra anche il frantoio), l'altra sa tessere, cucire, coltiva la terra, segue gli animali domestici, sa lavorare la farina e fare il pane, è analfabeta, ma è in legame organico con gli esseri umani, con la natura, con i prodotti della terra, con gli animali. Sono madri entrambe, con due diverse ma complementari espressioni di maternità, convinte che per quanto dura la vita merita di essere vissuta e difesa sempre; sanno accettare con gratitudine e ricambiare con generosità, usano la loro intelligenza naturale e le voci profonde del cuore reciprocamente rafforzandosi nell'essere se stesse nel logorante cammino, facendosi ragionevole scudo di credi millenari come attestano i testamenti spirituali e la consegna ultima di tutta la loro vita. Non guida il racconto la voce professorale, ciò che arriva dai professori non sempre è chiaro agli allievi, né spendibile nella vita, chi ha titolo ad educare, anche nella veste di madre supplente è l'analfabeta nonna Margherita che possiede una peculiare identità personale, fino a scoprirne il marchio quasi a fuoco, titanica volontà sempre impegnata a costruire il futuro (non per sé), radicalmente innervata nei semplici mezzi della sua corposa saggezza, padrona riconosciuta di molteplici attività pratiche assorbite e perfezionate, sempre piegata alla protezione di Dio che veglia dall'alba al tramonto e si presenta nei quotidiani gesti: la croce sul pane quotidiano e su quello fatto per gli sposi e per i morti e nei riti devozionali; nei momenti tragici e solenni, quel Dio che si fa calmante del dolore esistenziale è anche il sorriso che riscalda i cuori tormentati dal gelido freddo di un destino opprimente, quando non basta più la morbida orbace bianca a ripararsi. Sono pagine che non si sfogliano, si leggono attentamente per addentrarvisi come negli scavi archeologici, avvalendosi anche della suggestiva e sintetica lingua naturale, soprattutto quella in versi che scioglie il grumo di antiche e ancora vive memorie e che valorizza l'alfa e l'omega del senso del vivere.

COPERTINA " FILLU DE ANIMA"