mercoledì 19 ottobre 2011

" IS ARRAGODUS" COPERTINA


IS ARRAGODUS di Antonio Giuseppe Abis

Della  Prof.ssa Maria Germinario Calzi
  

Mi ha teneramente portato alle radici dell' essere “speciale”del suo autore. Ho seguito con partecipata condivisione la faticosa e lenta costruzione della sua identità, raccogliendo i valori che gli ha trasmesso l'intera geometria di una famiglia allargata, dove, ognuno sapeva mantenere il proprio spazio e, all'occorrenza, fare un passo indietro per non sovrapporsi.
Elevatissima espressione di civiltà di una cultura primigenia atavica, fatta di gesti e di silenzi, di sentimenti forti e coesioni ancestrali, rafforzati da canti nuziali e lamenti funebri.
L'autocontrollo dominante delle due sagge figure femminili (perché di matriarcato si tratta) molto attente a non esorbitare anche nel dare consigli, specie se non richiesti, crea nella sua narrazione sobria e asciutta, in un'età smemorata come la nostra, la naturale epopea della trasmissione di una memoria che non è solo legata alla navigazione del suo vivere, ma costituisce l'architrave della famiglia patriarcale tradizionale, che,  al di là di qualche tratto oppressivo di bambini non facilmente sostenibile, nel suo reciproco aiuto organizzativo e affettivo faceva transitare pressoché liberamente le crescenti nuove aspettative delle immature vite in espansione.
Povera scuola dello stato orientata in senso pseudoconoscitivo contrapposto all'energico dinamismo del quotidiano formativo familiare, fatto di apprendimenti esperenziali, di praticità, di raccordi continui alle molteplici variabili della vita naturale e animale.
La scansione del tempo, determinata dalle continue attività manuali, anche ordinarie, sottese dall'amalgamante “rosario”, sembra allontanare dalla permanente presenza delle problematiche terrene per trasferire ad un divino sempre incombente, pensieri semplici e profondi nello stesso tempo.






















INTERVISTA


Questo racconto è nato come sfogo a un grande dolore.
Ero un ragazzo di 15 anni e non riuscivo ad accettare la morte di mia madre.
Fu nonna Margherita ad incitarmi a scrivere per raccontare quella vicenda dolorosa che non mi lasciava vivere.
Per dare un senso logico al racconto, ho dovuto allacciarmi alle vicende della vita che hanno preceduto la morte di mia madre.
Si tratta del periodo della mia infanzia, quando ancora i piccoli erano considerati davvero tali e bisognava avere un forte rispetto per i grandi. Il rispetto per le persone, era il cardine della vita sociale, il rispetto per la saggezza degli anziani, che era considera la colonna portante della convivenza civile, era quasi una sacralità.
Io ho avuto la fortuna di avere come madrina di battesimo una persona anziana molto saggia e abile , durante la malattia di mia mamma e poi dopo la sua morte si prese cura di me in modo assolutamente puro e cristiano.
Io ero il suo figlio d'anima, per tale motivo la coscienza imponeva che mi venisse trasmesso tutto l'amore e le premure che mia madre non aveva fatto in tempo a darmi.
Di sicuro,mia nonna non si era risparmiata nei doveri di madrina. Quella che narro nel mio racconto è una delle tante storie vissute dai ragazzi della mia generazione fra gli anni cinquanta e sessanta.
Storie di contadini, pastori, bovari, dense di sacrifici, primo fra tutti, quello di dover trovare il tempo per andare a scuola.
Non ricordo solo una vota di aver fatto i compiti o studiato a casa: leggevo, scrivevo e ripetevo le lezioni seduto davanti ai buoi che brucavano l'erba.
Per guadagnarsi il rispetto bisogna essere istruiti, ripeteva mia mamma, ed io questa frase la interpretavo nel senso materiale del termine: ero il più piccolo di sette figli e avevo bisogno di guadagnarmelo davvero quel rispetto, se volevo sopravvivere alla legge del più forte.
Questa parola magica ,“ istruzione,” mi ha poi accompagnato nel prosieguo dei miei anni e mi ha fatto amare sempre di più lo studio che non solo mi ha cambiato la vita ma mi ha anche arricchito interiormente.
Il racconto è stato scritto di gettosubito dopo la more di mia madre, ma ora ho deciso di riprenderlo in mano e pubblicarlo, perchè ho il grande desiderio di far conoscere a mia moglie che non è sarda e alle mia figlie i luoghi e le persone di una Sardegna antica che scandiva ogni vicenda della vita con riti,tradizioni e costumi, ora non più esistenti
Ora i costumi si usano solamente per le sfilate folkloristiche, una volta erano l'abbigliamento quotidiano; la lingua sarda veniva parlata da tutti , anche dagli intellettuali ed era musicale e poetica perfono nella bocca degli analfabeti: era davvero lo strumento che consentiva di esprimere appieno tutti i sentimenti.
La vita veniva celebrata in ogni circostanza, gioiosa e dolorosa e la partecipazione della comunità era sempre corale ed intensa.
Nelle vicende di morte,la solidarietà sopratutto quella delle donne, era davvero speciale, il morto veniva pianto col rito de s'attitidu, una sorta di poesia cantata e pianta allo stesso momento, attraverso la quale veniva declamato al defunto l'ultimo.saluto..
Una storia davvero singolare quella della Sardegna antica che dopo secoli è cambiata improvvisamente ed è per questo che desidero raccontare alle mie figlie e alle nuove generazioni come si viveva in Sardegna nel periodo della mia infanzia.Pertanto ritengo sia doveroso , per me, documentare questo cambiamento, perché solo le persone come me che hanno fatto a tempo a conoscere la vita della Sardegna antica possono darne testimonianza alle nuove generazioni.
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