Caro
Beppe,
ai
nostri figli e più ancora ai nostri nipoti dell'era digitale, al
nuovo che avanza con i nuovi codici di linguaggio e di vita
individuale e sociale immessi
nel quotidiano flusso contemporaneo, la tua ansia profonda di
raccogliere, recuperare e allungare la memoria perchè si sappia e
non si dimentichi chi eravamo, che cosa eravamo appena 60 anni
addietro, è il vero compito della letteratura, il tuo lascito.
Nel
tuo procedere appassionato di ricerca non si avverte contrapposizione
ma, direi quasi una illuminante meditazione sul passato che si fa
fatica, oggi, perfino ad immaginare, con i suoi linguaggi i suoi
segni, le sue voci, i suoi canti, le analisi dei suoi vissuti,
un'interiore accordatura generazionale che tende soltanto
all'affermazione dell'essere, soprattutto nella dimensione femminile.
Estranei
al tuo vocabolario le attuali “ crisi, austeriti, depressione,
precariato, spread, perchè tu segnali che la vita è la vita che
esige pezzi di scarto, che intesse passioni divoranti che nessun
psicologo può curare, perchè la vita anche senza il sostegno del
welfar non si fa travolgere perfino quando si presenta più feroce
della morte.
Le
tue eroine sono sempre le donne, mamme e figlie, anche se
diversamente ferite, custodiscono inalterato il naturale amore per la
vita, per i bambini anche se non nati e le accidentali e inattese
nascite o morti sono raggi di luce o tenebre oscure che scombinano
gli equilibri faticosamente raggiunti, facendo emergere rancori
primordiali, indegnità vituperevoli, amarezze incurabili.
Le
macerie della guerra e lo spirito della ricostruzione tzia Costantina
e Gaia Fatteri le reggono bene sulle loro spalle, non siamo ancora
nel mondo delle sartine e delle macchine da cucire ma alla sapienza
della manifattura, alle maestre tessitrici, alle grandi interpreti di
una cultura artigianale millenaria che colleziona permanentemente
prodotti rari ed eccezionali la cui differenza nei dettagli creativi
e cromatici segna l'orgoglio e la biografia vivente di ogni lembo di
terra.
Le
due donne escluse dal censorio codice di vita sociale, si
autoproteggono con il loro talento, con l'umanesimo del lavoro, non
si lasciano vivere, ma vivono nell'inesauribile voglia di un
cambiamento che si attagli al loro abito mentale.
Sono
le protofemministe sarde che non inseguono facili scorciatoie
sottoposte solo all'antica virtù dell'austerità e sobrietà, Sono
la variabile umana che sa di valere, che riflette inconsapevolmente
la visione di vita della morale di kant “chi sa fa verme non può
poi lamentarsi di essere calpestato”.
Sfugge
loro
la
catarsi finale e un bradisismo emotivo coglie ogni lettore chino
sulle frustate a sangue di quel balordo prepotente che chiude il
respiro di una vita che prepotentemente insegue ad occhi aperti
sogni per sé e per il proprio figlio.
Anche
il lamento funebre non aiuta a disperdere le note dolenti della
perdita sostanziale di una memoria che si incarna nell'orgogliosa
identità etnica della propria terra, della tua terra, che da
trapiantato in terra lombarda, senti più viva in te, ne custodisci
il respiro umanissimo e tragico e l'avvolgi di filiale comprensione.
Maria
Calzi Germinario
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